In tema di misure precautelari sussiste l’interesse del pubblico ministero a proporre ricorso per cassazione avverso il provvedimento reiettivo della richiesta di convalida del decreto di allontanamento di urgenza dall’abitazione familiare, emesso ai sensi dell’art. 384-bis, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 11, comma 1, legge 24 novembre 2023, n. 168, anche nel caso in cui non vi sia stata una coeva richiesta di applicazione di misura cautelare, stante la vigenza della regula iuris, evincibile dal disposto dell’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., interpretato alla luce del parametro costituzionale fissato dall’art. 111 Cost., che vuole vi sia una necessaria verifica giurisdizionale sulla legittimità dei provvedimenti che incidono, limitandola, sulla libertà personale.
In sede di convalida del decreto applicativo della misura precautelare dell’allontanamento d’urgenza dall’abitazione familiare, emesso dal pubblico ministero ex art. 384-bis, comma 2-bis, cod. proc. pen., il giudice è tenuto a verificare, in esito al contraddittorio delle parti e sulla base degli elementi acquisiti nel corso dell’udienza, la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e del pericolo di reiterazione di condotte che mettano a rischio, grave e attuale, la vita o l’integrità fisica della persona offesa.
A cura di Giuseppe Calderazzo (Avvocato del foro di Locri e vicepresidente della Camera Penale di Locri)
- Con i motivi di ricorso il Pubblico Ministero denuncia violazione di legge, in relazione alla valutazione degli elementi strutturali della misura di cui all’art. 384- bis, comma 2-bis cpp. e ai poteri di valutazione del giudice in sede di convalida (art. 391, comma 4, cpp) poiché il giudice per le indagini preliminari ha ritenuto insussistenti i gravi indizi di reato alla luce di fatti successivi costituiti essenzialmente dalle dichiarazioni rese dall’indagata e trascurando che la legittimità del provvedimento di allontanamento, in quanto misura precautelare, deve essere valutata attraverso lo standard probatorio proprio dell’udienza di convalida e, dunque, sulla scorta di una valutazione ex ante.
Il provvedimento era stato adottato, in via d’urgenza, dal Pubblico Ministero, sulla base delle riprese video e del referto che attestavano la consumazione di reiterate aggressioni, con uso della violenza fisica, ai danni di un’anziana, assistita quotidianamente dall’indagata. Il Giudice per le indagini preliminari riteneva che, alla stregua di quanto emerso nel corso dell’interrogatorio dell’indagata, non potevano ritenersi sussistenti gli elementi idonei a giustificare l’adozione della misura e che, quantomeno sotto il profilo del dolo, non erano stati acquisiti gravi indizi di colpevolezza.
La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso, ha colto l’occasione per puntualizzare alcune differenze tra il nuovo istituto previsto dal comma 2 bis dell’art. 384 bis cpp, quello analogo previsto dal comma 1 e il fermo di indiziato di delitto.
- Intanto val bene precisare che sussiste l’interesse del pubblico ministero a ricorrere avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di convalida della disposta misura di allontanamento di urgenza anche nel caso in cui al provvedimento non abbia fatto seguito alcuna richiesta di applicazione di misura cautelare.
Come noto la disciplina dettata dall’art. 384-bis, ai commi 2-ter, 2-quater, 2- quinquies e 2-sexies prevede che entro quarantotto ore dall’esecuzione del decreto di allontanamento d’urgenza, il pubblico ministero richiede la convalida al giudice per le indagini preliminari competente in relazione al luogo in cui il decreto è stato eseguito. Il giudice fissa l’udienza al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive, dandone avviso senza ritardo al pubblico ministero e al difensore; la normativa rinvia, infine, in quanto compatibili, alle disposizioni di cui agli artt. 385 e seguenti del Titolo IV (arresto in flagranza e fermo). Le disposizioni del comma 2-ter e ss., con riferimento ad una misura che risulta differente dal fermo di indiziato di delitto disposto dal pubblico ministero per il suo grado di incidenza sulla libertà personale, richiamano, dunque, l’applicazione, in quanto compatibili, di tutte le disposizioni che regolano il procedimento che segue alla esecuzione del fermo, all’evidente scopo di evitare il rischio che la mancanza di restrizione diretta della libertà della persona nei cui confronti la misura dell’allontanamento è stata disposta, potesse legittimare soluzioni interpretative poco garantiste, soprattutto in materia di termini di efficacia della misura precautelare.
Seguendo tale impostazione, appare di determinante rilevanza la circostanza che l’art. 391, comma 4 cpp, applicabile come si è visto anche alla misura dell’allontanamento disposta in via d’urgenza, preveda che contro l’ordinanza che decide sulla convalida il pubblico ministero e l’arrestato o il fermato possono proporre ricorso per cassazione, al pari di quanto accade per il provvedimento con cui viene definita l’udienza di convalida delle principali misure precautelari.
Diventa, perciò, utile rammentare quanto chiarito dalla Suprema Corte in tema di interesse della persona sottoposta ad arresto a proporre ricorso per cassazione contro il provvedimento di convalida della misura, al quale non sia seguita l’adozione di una ordinanza di applicazione di misura cautelare e, per converso, di interesse del pubblico ministero a ricorrere per la cassazione avverso l’ordinanza di mancata convalida del fermo: ciò, ovviamente, tenuto conto della disposizione generale recata dall’art. 568, comma 4 cpp, secondo cui per proporre impugnazione è necessario sempre avervi interesse. Orbene, nel primo caso, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che l’interesse dell’indagato non può presumersi, avendo l’interessato l’onere di manifestare, in termini positivi e univoci, la sua intenzione di servirsi della pronuncia richiesta per proporre una specifica azione di riparazione per l’ingiusta detenzione (così, tra le altre, Sez. 5, n. 9167 del 31/01/2017, Fanu, Rv. 269038). D’altro canto si è affermato che sussiste l’interesse del pubblico ministero a ricorrere avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di convalida del fermo di indiziato di delitto, in ragione del principio generale per cui è sempre necessaria la verifica di legittimità dell’arresto e del fermo (così, tra le molte, Sez. 1, n. 37634 del 23/03/2023, Uzdienov, Rv. 285283; Sez. 6, n. 3410 del 17/11/1993, dep. 1994, Comerci, Rv. 197371).
La conferma che l’interesse ad impugnare del pubblico ministero si atteggia, in tali situazioni, in termini del tutto peculiari si desume dal principio, pure enunciato dalla Cassazione, per cui, in caso di arresto per più reati, cui abbia fatto seguito la convalida e la custodia cautelare solo per uno degli stessi, non sussiste l’interesse del pubblico ministero a ricorrere per cassazione avverso il provvedimento di mancata convalida (Sez. 6, n. 14085 del 16/03/2021, Cimmino, Rv. 281156), giacché detta convalida, ancorché parziale, costituisce comunque riconoscimento della legalità dell’arresto medesimo (Sez. 1, n. 556 del 06/02/1992, Vitale, Rv. 189693). Alla stregua dei principi innanzi richiamati, la Suprema Corte ha ritenuto che sussista l’interesse del pubblico ministero a impugnare con il ricorso per cassazione la mancata convalida del provvedimento di allontanamento di urgenza dall’abitazione familiare, anche nel caso in cui non vi sia stata una coeva richiesta di applicazione di una misura cautelare nei confronti dell’indagato, poiché il riconoscimento dell’interesse della pubblica accusa è evincibile dalla lettura dell’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., alla luce del parametro fissato dall’art. 111 Cost., dunque di una regula iuris che vuole che vi sia sempre una necessaria verifica giurisdizionale sulla legittimità di un provvedimento che, sia pure con effetti più limitati rispetto a quelli prodotti dall’arresto e dal fermo, incide limitandola sulla libertà personale.
- Nel merito il ricorso non è fondato.
Il nuovo comma 2-bis dell’art. 384-bis cpp, infatti, stabilisce che “Fermo restando quanto disposto dall’articolo 384, anche fuori dei casi di flagranza, il pubblico ministero dispone, con decreto motivato, l’allontanamento urgente dalla casa familiare, con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei confronti della persona gravemente indiziata di taluno dei delitti di cui agli articoli 387-bis, 572, 582, limitatamente alle ipotesi procedibili d’ufficio o comunque aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, e 612-bis del codice penale o di altro delitto, consumato o tentato, commesso con minaccia o violenza alla persona per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni, ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave e attuale pericolo la vita o l’integrità fisica della persona offesa e non sia possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice”.
Tale misura precautelare può, dunque, essere adottata dal pubblico ministero in relazione ad una limitata categoria di reati prescindendo dalla sussistenza della flagranza di uno di quei delitti, diversamente dall’analoga misura di allontanamento dalla casa familiare che, invece, ricorrendo la flagranza di uno degli illeciti di cui all’art. 282-bis, comma 6 cpp e previa autorizzazione del pubblico ministero, può essere adottata dalla polizia giudiziaria; misura, questa, disciplinata dal preesistente comma 1 dello stesso art. 384-bis, cpp..
Si tratta, perciò, di misura riconducibile al genus delle cd. misure precautelari, in relazione alla specifica funzione di prevenzione e contrasto delle forme di violenza sulle persone offese vulnerabili e di violenza di genere o domestica. La giurisprudenza di legittimità si è finora occupata della diversa ipotesi dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare con riferimento ai casi in cui tale provvedimento è adottato, in via di urgenza, dalla polizia giudiziaria e, con riferimento a tale misura, è stato enunciato il principio secondo cui, in sede di convalida, il giudice deve controllare la sussistenza dei presupposti legittimanti l’eseguito allontanamento, valutando la legittimità dell’operato della polizia in relazione allo stato di flagranza e all’ipotizzabilità di uno dei reati richiamati dall’art. 282-bis, comma 6,cpp: con la precisazione che il giudice valuta la sussistenza del “fumus commissi delicti” secondo una verifica “ex ante”, tenendo conto della situazione conosciuta dalla polizia giudiziaria al momento dell’esecuzione del provvedimento (così, tra le diverse, Sez. 6, n. 17680 del 27/05/2020, P, Rv. 278965).
Al di là della difficoltà di attribuire un preciso contenuto alla nozione di quasi flagranza, si è puntualizzato che la percezione diretta, da parte della polizia giudiziaria, che un reato sia in corso a giustificare l’esercizio del potere di privazione della libertà personale o di una sua particolare declinazione, quale quella dell’allontanamento dal luogo di abitazione, tanto è vero che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che è illegittimo l’arresto in flagranza operato dalla polizia giudiziaria sulla base delle informazioni fornite dalla vittima o da terzi nell’immediatezza del fatto, poiché, in tale ipotesi, non sussiste la condizione di “quasi flagranza”, la quale presuppone la immediata ed autonoma percezione, da parte di chi proceda all’arresto, delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato (Sez. U, n. 39131 del 24/11/2015, dep. 2016, Ventrice, Rv. 267591).
Diversamente dalla anzidetta misura eseguita in via d’urgenza dalla polizia giudiziaria, l’adozione del provvedimento di allontanamento d’urgenza dalla casa familiare da parte del pubblico ministero presuppone la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per uno dei reati tassativamente indicati, come è evincibile dalla previsione normativa che, dopo avere richiamato, in via generale, la disposizione di cui all’art. 384 cpp, sul fermo di indiziato di delitto, precisa che la misura può essere adottata “nei confronti di persona gravemente indiziata di taluno dei delitti […] ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave e attuale pericolo la vita o l’integrità fisica della persona offesa e non sia possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice”.
Non è, pertanto, condivisibile il tentativo del ricorrente di sostenere che anche in relazione al provvedimento del pubblico ministero adottato ai sensi dell’art. 384-bis, comma 2-bis cpp, sia sufficiente una valutazione ex ante. In tal senso, non è pertinente il richiamo operato dal Pubblico Ministero alla giurisprudenza di legittimità che si è formata in materia di convalida dell’arresto, e, in particolare, al principio secondo cui il giudice della convalida è chiamato a verificare la legittimità dell’arresto operato dalla polizia giudiziaria mediante una valutazione ex ante: cioè, sulla base di un controllo delle sole circostanze che gli agenti hanno conosciuto – o avrebbero potuto conoscere usando la dovuta diligenza – dunque, di un accertamento della ragionevolezza dell’operato della polizia, in relazione allo stato di flagranza e del reato che consente il provvedimento restrittivo.
E’ proprio lo specifico tenore della disposizione che consente l’esercizio di tale potere di urgenza del pubblico ministero che induce a ritenere che una siffatta iniziativa possa essere adottata solo in presenza della accertata sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza: sicché la successiva verifica della legittimità di una misura incidente sulla libertà personale non può che essere condotta sul piano del controllo della gravità indiziaria, secondo lo schema tipico del contraddittorio (art. 111 Cost.). Al pari di quanto accade per la misura del fermo di indiziato di delitto disposta dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 384 cpp, anche la misura dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare di cui all’art. 384-bis, comma 2-bis, cpp, costituisce esercizio di un potere che trova la sua fonte nella legge e che da questa è precisamente regolata quanto agli elementi costitutivi, permettendo l’adozione di un provvedimento giudiziario che – a differenza di quanto accade per l’iniziativa della polizia giudiziaria, legata ad altri presupposti – deve corrispondere alla logica del “modello legale” tassativamente disciplinato dalla legge nella forma e nei suoi contenuti. Essendo, quindi, necessario un riscontro richiesto anche in ordine alla gravità degli indizi, non è dubbio che, in sede di udienza di convalida di quella misura, gli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari devono costituire oggetto di una adeguata valutazione da parte del giudice separata rispetto a quella eseguita dal pubblico ministero: verifica che, dunque, il giudice deve esprimere al termine dell’udienza di convalida e, pertanto, dopo aver sentito le giustificazioni dell’indagato.
Ne consegue che è erroneo l’assunto secondo cui, sia pure ai limitati fini della pronuncia sulla richiesta di convalida, il giudice debba utilizzare soltanto gli elementi acquisiti al momento della richiesta del pubblico ministero; sicché va affermato il principio che la misura precautelare dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare adottata dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 384- bis, comma 2-bis cpp costituisce un provvedimento di natura giudiziaria e che il giudice della convalida, è tenuto a compiere, in esito al contraddittorio delle parti e sulla base degli elementi acquisiti nel corso dell’udienza di convalida, una verifica sostanziale sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e sul pericolo di reiterazione di condotte che pongano in grave e attuale pericolo la vita o l’integrità fisica della persona offesa.
Cass. Pen. sez. VI sentenza n. 3892 del 22 gennaio 2025 ( dep. il 30 gennaio 2025)
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