FALSA POLITICA, ANZI NO: QUANDO IL PATTO DI FERRO NON C’È 

“Su 15 imputati tratti originariamente in arresto, 4 sono stati giudicati colpevoli e, tra essi, solo un politico. Gli altri hanno riconquistato la libertà ma a caro prezzo.”

di Giuseppe Belcastro (Penalista – vice presidente della Camera Penale di Roma)

l’accusa

  • Associazione per delinquere di stampo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso

Gli imputati

Una serie di soggetti ritenuti vicini alla cosca ‘ndranghetista Commisso di Siderno, tra cui consiglieri regionali, provinciali e comunali calabresi.

le date

  • 2012 Nell’ambito di una maxi-inchiesta coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria vengono eseguite 15 ordinanze di custodia cautelare.
  • 2016 All’esito del giudizio di primo grado presso il Tribunale di Locri il consigliere regionale imputato viene condannato a 12 anni di reclusione. Condanne anche per gli altri imputati.

Com’è finita

Per alterne vicende solo 4 delle condanne inflitte reggono alle varie verifiche in Appello e Cassazione. Il consigliere regionale Cherubino, dopo aver scontato 4 anni in carcere, viene definitivamente assolto perché il fatto non sussiste, come pure gli altri tre amministratori locali.

falsa politica

Storia del Processo

Forse numericamente non così rilevante, dunque, ma assai significativo e, per certi aspetti, addirittura emblematico. Per questo abbiamo deciso di parlarne.

È la mattina del 21 maggio 2012 quando, nella cittadina calabrese di Siderno, le forze di polizia irrompono nelle case degli indagati per eseguire gli arresti. Segue la sfilata dei malcapitati in manette in favore di telecamere e la conferenza stampa, condite di particolari declinati, al solito, col piglio della certezza investigativa. Cose così, a quelle latitudini, non fanno quasi più notizia: si apprende di buonora dell’operazione; si scrutano le testate online e i telefonini alla ricerca di nomi, foto e video di persone che, in un modo o nell’altro, capita di conoscere; si commenta davanti a una tazzina di caffè e, infine, si torna alle proprie fatiche, in attesa che la prossima operazione riavvii la stanca trafila.

Solo che stavolta, a finire in ceppi, ci sono anche cinque rappresentanti del ceto politico territoriale che hanno avuto ruoli amministrativi, nemmeno secondari, in Comune e alla Regione. Su di essi, ca va sans dire, si concentra l’attenzione smodata della stampa: fa un certo effetto vederli uscire in ceppi dalla questura con sulle braccia il tomo della misura cautelare che, a malapena, nasconde il luccichio delle manette; roba da terzo mondo. A costo di perdere qualche battuta, val la pena rileggere due righe del Corriere della Sera di quella mattina:

«Un patto di ferro tra politica e ‘ndrangheta. Condizione principale per garantire stabilità e buon governo nella città di Siderno, centro dello Jonio reggino. L’alleanza è stata interrotta dalle indagini della dda di Reggio Calabria che ha chiesto ed ottenuto …».

A leggere cose così, da cittadini, c’è da sentirsi al sicuro, efficacemente protetti di fronte a questi protervi e deviati patti di ferro che ammorbano l’amministrazione locale e soffocano economia e società civile.

Solo che l’ipotizzato patto, tanto di ferro non era; anzi, non era e basta.

falsa politica
falsa politica

Tra il lusco e il brusco, infatti, sdoppiatosi come quasi sempre accade in un troncone ordinario ed in un altro abbreviato, il processo Falsa politica ha avuto vita lunga, ma esiti opposti agli iniziali salmi degli inquirenti e della stampa: su quindici imputati tratti originariamente in arresto, quattro sono stati infine giudicati colpevoli e, tra essi, solo un ex-amministratore. Più che di ferro, un patto impalpabile, insomma.

Gli altri imputati hanno riconquistato la libertà, ma a caro prezzo: non solo perché hanno dovuto fronteggiare un lungo processo (il consigliere regionale ci ha messo dieci anni per venirne fuori sfiancato nel fisico e nella mente), ma pure perché quel processo e quella gogna hanno gravemente deviato il corso delle loro vite, imponendo ad esempio agli amministratori locali di abbandonare irreversibilmente ogni incarico pubblico.

Anche la collettività ha pagato il suo prezzo, nel senso ideale di aver assistito in qualche maniera alla regolamentazione per via giudiziaria della sua gestione amministrativa, ma pure in quello più prosaico di aver sborsato, in disparte il costo delle indagini, del processo e delle custodie cautelari, anche qualche centinaio di migliaia di euro di ingiuste detenzioni. Tra ipotesi dimostratesi vacue e notizie di esiti investigativi declinati come fossero il verbo, più che falsa politica sembra sia stato tutto un autentico abbaglio.

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