Il marchese Giovanni Battista Carafa e il suo caso giudiziario al tempo del viceré di Napoli Pedro de Toledo (1548-1552)

La furia edace del tempo ha fagocitato la memoria della lunga e intricata vicenda giudiziaria di cui fu protagonista Giovanni Battista Carafa (1492-1552), marchese di Castelvetere (odierna Caulonia) e conte di Grotteria, in Calabria: il quale, arrestato nel 1548 e da allora ristretto in carcere, fu infine giustiziato dopo un processo penale durato quattro anni.

Di recente, la controversa figura di quel feudatario è stata studiata da valenti storici, i quali, con i loro preziosi contributi, hanno così aperto uno squarcio tra le poche luci e le fitte ombre che avvolgevano il processo che lo vide imputato.

Grazie a ciò, si è avuta quindi l’opportunità di potere meglio investigare le cause, dirette ed indirette, per le quali la giustizia dell’epoca, infine, condannò quel marchese alla pena capitale.

Sull’argomento, il saggio storico dell’Avv. Filippo Racco del Foro di Locri, “Il destino di un feudatario. Il marchese Giovanni Battista Carafa e il suo caso giudiziario al tempo del vicerè de Toledo” (Edizioni Corab, Gioiosa Jonica 2019, pp. 142 con illustrazioni), ripropone quella contorta vicenda processuale, la quale ha solcato, obliata, i vorticosi flutti dell’infinito oceano del tempo.

Nell’accurata ricerca storiografica svolta dall’Autore, oltre ai fatti che originarono il processo, si avvicendano come in un caleidoscopio, tra la Calabria e Napoli, personaggi di ogni ceto sociale: tra i quali, soprattutto, il viceré Pedro de Toledo, il marchese Giovanni Battista Carafa e la di lui coniuge Lucrezia Borgia (nipote ex fratre della omonima duchessa di Ferrara e di Cesare “il Valentino”); in particolare, costei, donna audace e spregiudicata come per propria tradizione familiare, nel tentativo di disperdere le prove, nel corso delle indagini preliminari organizzò, nei feudi del marito (gli attuali territori comunali dei quali ricadono nel circondario del Tribunale di Locri), sia la pressante intimidazione di testimoni con il sostegno di una masnada di violenti malviventi da lei stessa ingaggiati, sia la corruzione degli investigatori mandati sui luoghi dal Tribunale della Vicaria di Napoli, ufficio titolare dell’inchiesta giudiziaria.

Ciò nonostante, successivamente gli astuti e occulti stratagemmi operati dal viceré de Toledo, con il tacito consenso dell’imperatore Carlo V, indirizzarono il processo penale verso l’inevitabile condanna dell’imputato alla pena capitale per la confessione da lui rilasciata, tra indicibili sofferenze, nell’interrogatorio sotto tortura cui fu sottoposto: in quanto, suo malgrado, capro espiatorio per un sanguinoso tumulto scoppiato in Napoli nel 1547, organizzato dalla nobiltà partenopea con il concorso della locale cittadinanza, grazie al quale fu impedita, nella città, l’istituzione del Tribunale della Santa Inquisizione, fortemente voluto, invece, da quel viceré.

Sicché, infine, il destino di quel feudatario, già segnato anche per altre concause prospettate dall’Autore, si compì ineluttabilmente alle prime luci del 17 dicembre 1552, allor quando la scure del boia lo decapitò in esecuzione della condanna a morte ordinata dal Tribunale della Vicaria, longa manus della feroce repressiva vendetta del viceré de Toledo: il quale intese così dare un esemplare monito ai sudditi e, soprattutto, alla riottosa aristocrazia napoletana di cui il giustiziato fu uno dei più noti e potenti esponenti dell’epoca.

Fu dunque il marchese Giovanni Battista Carafa vittima innocente per un fato a lui avverso, oppure fu responsabile dei reati (omicidi, violenza carnale, lesioni personali, minacce etc.) ascrittigli e le cui colpe ebbe a scontare con la vita?

Al riguardo, l’Autore, oltre le proprie conclusioni, lascia comunque spazio a quelle di ogni lettore interessato a quell’antica e dimenticata vicenda giudiziaria di cui tratta il saggio storico gratuitamente scaricabile da questo sito.

(Prefazione della Camera Penale di Locri)

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