Tutto svaniva nella nebbia. Il passato veniva cancellato, la cancellazione
dimenticata, e la menzogna diventava verità
”.

(Il Grande Fratello vi guarda – George Orwell).

Nel 2009, il film di fantascienza Avatar appassionava tutti gli amanti del genere coinvolgendo un folto pubblico con la storia di alcuni ibridi di laboratorio, utilizzati e controllati da esseri umani, dai quali avevano ricevuto il dna per costruirli.

A poco più di una decina di anni di distanza, questo scenario si è materializzato divenendo terreno per la necessaria regolamentazione giuridica di ciò che viene definito metaverso.

Con tale denominazione, coniata dallo scrittore Neal Stephenson, si intende un vero e proprio mondo costituito da una realtà virtuale condivisa con altri utenti della rete.

Una trasformazione di internet poiché l’odierna navigazione al di qua dello schermo, con il metaverso, consentirà di entrare al suo interno, ossia nella realtà virtuale.

In tale luogo, rimanendo fisicamente a casa od in ufficio, utilizzando speciali occhiali finalizzati a proiettare nella realtà aumentata mediante un proprio avatar che si muoverà all’interno di un mondo virtuale, la persona interagirà conducendo un’esistenza organizzata secondo le sue consuetudini quotidiane, incontrando gli amici, partendo per un viaggio o assistendo ad uno spettacolo.

Ciò che sembrava confinato alla pura realtà cinematografica risulta già capace, invece, di dominare l’esistenza umana, coinvolgendo una galassia di soggetti a tutela dei quali i giuristi stanno opinando di diritti e protezione su privacy, proprietà intellettuale e prevenzione del cybercrime.

Anche perché l’avatar, inevitabilmente, porrà in essere condotte giuridicamente rilevanti nel metaverso; con la trasformazione del virtuale-parallelo in virtuale-sostitutivo della realtà.

Il soggetto, quindi, potrà scegliere il metaverso (ambiente virtuale) che preferirà e, con la sua proiezione, ovvero col proprio avatar, potrà esplorare la piattaforma in libertà; un’avventura che comporterà il contatto, il confronto, talora il conflitto, con i suoi simili (avatar anch’essi) e la relazione con  oggetti, edifici, strutture e quant’altro.

Tali interazioni origineranno conseguenze positive, negative o neutre, al pari di quanto accade per la società umana; anche se il metaverso, trovandosi in fase di definizione, presenta, allo stato, confini incerti circa divieti e sanzioni:si immagini, a puro titolo di esempio, la punizione prevedibilmente più severa dell’espulsione dell’avatar dal metaverso (pena di morte virtuale?).

Attualmente, i reati consumabili nel metaverso potrebbero essere raggruppati nelle seguenti tre categorie: protezione dei dati, proprietà intellettuale e cybercrime.

Quanto alla prima (protezione dei dati), l’utilizzo di tecnologie all’avanguardia, supportate dall’intelligenza artificiale, impone il controllo sulla raccolta delle informazioni degli utenti, soprattutto circa i dati sensibili.

Preoccupa il tracciamento dei movimenti oculari e delle espressioni facciali utilizzabili per archiviare informazioni su preferenze ed interessi della persona, anche in merito a dati biometrici o a stati emotivi.

Sin dal suo primo ingresso nella piattaforma, bisognerà acquisire la certezza che il soggetto sia effettivamente consapevole delle modalità di trattamento dei suoi dati: non sarà sufficiente la semplice informativa routinaria, come oggi avviene per le app, ma sarà necessario realizzare un sistema che aiuti l’interessato ad acquisire contezza della mole dei dati che condividerà e sull’uso che la piattaforma ne farà.

A chi apparterrà la proprietà intellettuale del metaverso?

Fino all’identificazione dei titolari dei diritti, qualsiasi cosa, in un mondo digitale, potrebbe essere di chiunque; la soluzione prospettabile potrebbe essere la registrazione di marchi dedicati al metaverso, secondo l’attuale orientamento di importanti multinazionali.

Peraltro, si registrano già le prime aspre controversie giudiziarie sulla c.d. proprietà intellettuale; come, ad esempio, quella insorta fra una nota griffe di moda francese ed un artista proprio del metaverso in punto applicabilità della normativa sui brevetti agli oggetti immateriali.

Per l’effetto, pure la legislazione sul cybercrime potrebbe essere modificata a cagione del rischio che si creino false identità col deep fake, tecnica di costruzione di volti credibili di persone non esistenti, sfruttando, mediante l’intelligenza artificiale, la sovrapposizione di immagini e/o di video esistenti.

Insomma, avatar fittizi di individui che celino la propria identità per commettere
reati nella dimensione virtuale: un elevatissimo pericolo di consumazione di truffe o furti con corrispondente danno all’avatar-vittima ed una ricaduta negativa per tutto il sistema.

Occorre domandarsi allora, sotto il profilo penalistico, quale influenza potrebbe subire il principio della responsabilità personale contemplata dall’art. 27 della Costituzione per un delitto posto in essere dall’avatar in nome e per conto del soggetto reale da cui derivi ed il riverbero della relazione individuo-avatar sul provider, ossia sul fornitore del servizio internet.

Quesiti ai quali solo una prossima legislazione, verosimilmente, potrà fornire adeguata risposta.

Avv. Giuseppe Maria Gallo

(Patrocinante in Cassazione)

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