Incapàcità processuale e incapacità di intendere e di volere. Dovere da parte del Giudice di procedere all’acceertamento della capacità nelle sue varie declinazioni. Modalità di accertamento. Elementi utilizzabili ai fini della valutazione. Rilevanza del contenuto delle dichiarazioni rese dall’imputato nel corso dell’interrogatorio al fine di provarne l’incapacità processuale. La irrilevanza degli atti di autodifesa. Il Mancato riconoscimento della efficacia preclusiva della richiesta di giudizio abbreviato. La necessità della valutazione comparativa di tutti gli elementi ricavabili dagli atti del procedimento per decidere in ordine alla necessità di disporre l’accertamento peritale. La mancata valutazione globale degli elementi, vizio motivazionale. Sussistenza. 

La Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento, ha annullato la sentenza con la quale la corte territoriale respingeva il gravame omettendo di argomentare con riferimento alla dedotta incapacità dell’imputata e alla correlativa necessità di disporre idoneo accertamento peritale inteso a verificarne la sussistenza.

La vicenda in esame riguarda una donna M.C. incolpata di aver dato ausilio, con la propria condotta, al convivente L.C. accusato di aver rubato una cosa propria dopo essersi introdotto in una casa che era, anche, di sua proprietà.

Pertanto, l’imputato L.C., accusato del furto di cosa propria commesso a casa propria, veniva tratto in arresto unitamente alla convivente M.C. incolpata “a titolo di concorso” nel medesimo.

L’imputata, nel corso dell’udienza di convalida, dopo aver reso interrogatorio chiedeva di essere giudicata allo stato degli atti.

La difesa, preliminarmente, chiedeva al giudice competente di disporre idoneo accertamento peritale inteso a verificare la capacità processuale dell’imputata adducendo che costei, già reputata portatrice di un ritardo mentale, aveva, nel corso dell’interrogatorio, falsamente, sostenuto di non avere figli e, quindi, di non essere madre.

Le riferite circostanze costituivano, secondo la difesa, un principio di prova in ordine alla incapacità processuale dell’imputata che andava, dunque, accertata con le forme della perizia.

Il giudice di primo grado rigettava la richiesta rilevando che l’imputata era pienamente capace posto che aveva reso interrogatorio ed, anche, personalmente richiesto il giudizio abbreviato.

La corte territoriale, uniformandosi alla valutazione espressa dal tribunale, reputava infondato il motivo di censura formulato, con l’atto di impugnazione, sul punto evidenziando che la scelta del rito speciale è elemento dimostrativo della capacità processuale e ne preclude l’accertamento giudiziale.

La Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dalla difesa e annullava per vizio di motivazione la sentenza impugnata.

La rilevanza della pronuncia in esame risiede nel fatto che, con essa, la Corte di Cassazione sembra sfatare il dogma della efficacia preclusiva normalmente assegnata, in tema di capacità, agli atti compiuti dall’imputato nel corso del procedimento.

Tale principio deve trovare applicazione anche nel caso in cui gli atti compiuti dall’imputato logicamente implicano la sua partecipazione alla difesa.

La Suprema Corte, con la citata pronuncia, ha escluso l’efficacia preclusiva degli atti in questione correlativamente imponendo, al giudice di merito, di valutarne criticamente i contenuti e di tener conto di tutti gli altri elementi, eventualmente, disponibili siccome ricavabili dagli atti del procedimento.

Di tal che, la verifica della capacità costituisce un procedimento incidentale cui il giudice non si può sottrarre e del quale occorre compiutamente dar conto nella motivazione della sentenza.

Tale procedimento, che condiziona la validità del giudizio, postula la analitica valutazione di tutti gli elementi ricavabili dagli atti o, comunque, suscettibili di percezione giudiziale e aventi efficacia dimostrativa sul punto.

In proposito, devesi evidenziare che non esistono prove insuperabili in tema di capacità né l’esistenza della medesima è assistita da presunzioni assolute o relative collegate al compimento di atti procedimentali comportanti la partecipazione dell’imputato.

Il riferito assunto sembra essere conseguenziale alla pronuncia in commento atteso che, con essa, la corte di cassazione ha delimitato il valore assegnato dal giudice di merito alla scelta del rito alternativo operato dall’imputata nel corso del procedimento escludendo che la stessa sia elemento pienamente dimostrativo della capacità della medesima.

Il contrario asserto del giudice di merito si arrestava al fatto che l’imputato, optando per il rito alternativo e sottoscrivendo la procura speciale funzionale alla proposizione della relativa richiesta, dimostra di essere capace poiché agisce all’interno del procedimento.

Il censurato assunto non tiene conto del fatto che la scelta del rito è un atto procedimentale per la cui effettuazione è necessario disporre della capacità processuale la cui esistenza non viene, per legge, preventivamente accertata.

Pertanto, la validità dell’atto dipende dall’esistenza della capacità.

E, ancora, l’esistenza della capacità processuale è condizionante rispetto alla possibilità di operare una scelta valida e consapevole in relazione al rito alternativo.

Ciò implica che la scelta del rito speciale non può provare la capacità processuale dell’imputato non avendo, per legge, tale funzione e non essendoci alcun automatismo dimostrativo che sia normativamente previsto.

Di converso, occorre, semmai, dimostrare che l’imputato era mentalmente idoneo a effettuare la scelta del rito e che tale atto è valido siccome compiuto da un imputato pienamente capace di determinarsi e agire nel corso del giudizio.

Pertanto, la capacità è il necessario presupposto di qualsiasi attività processuale ivi compresa la scelta del rito e la sua verifica è indispensabile per stabilire la validità dei singoli atti che compongono il processo.

Né, invero, il difensore è autonomamente tenuto a verificare la capacità processuale dell’imputato non avendo, per legge, tale potere né potendo calibrare le proprie scelte sulla base di una incapacità meramente ipotizzata che non sia stata ritualmente accertata e dichiarata del giudice.

Né, tantomeno, il mancato compimento di un atto a cagione della pretesa incapacità processuale dell’imputato è accadimento che automaticamente  esclude la perenzione del termine previsto per il suo compimento o l’eventuale inammissibilità dell’atto tardivamente compiuto o che, in ipotesi, esime il difensore da qualsiasi responsabilità connessa ala mancata effettuazione del medesimo.

Né esistono efficaci meccanismi tesi all’accertamento preventivo della capacità dell’imputato che siano interamente rimessi alla volontà del difensore e dipendano dalla operatività del medesimo.

Il difensore ha, sul punto, unicamente un potere di impulso ed è, comunque, tenuto a compiere, nei termini previsti dalla legge, tutto ciò che necessita per garantire la migliore difesa anche trovandosi al cospetto di un imputato evidentemente incapace di agire e determinarsi nel corso de processo.

Né, invero, il puntale espletamento dei doveri difensivi può generare la prova della capacità dell’imputato ovvero introdurre elementi di dubbio in ordine all’attività del difensore o alle iniziative che questi è tenuto ad assumere siccome volte alla verifica della legittimità degli atti dallo stesso precedentemente compiuti unitamente all’imputato incapace.

Inutile precisare che la legge processuale nulla dispone, in modo espresso, sul punto obbligando, di fatto, il difensore al compimento di atti richiedenti la partecipazione necessaria dell’imputato e prescindendo dalla preliminare verifica afferente la capacità del medesimo.

Orbene, proprio su tali questioni indirettamente interviene la Corte di Cassazione evidenziando come l’imputato che sottoscrive una procura speciale o che personalmente richiede il giudizio abbreviato non dimostra, con tale condotta, di essere capace.

Di converso, l’imputato, pur realizzando tale atto, ben può essere incapace e tale attività non preclude alla difesa di richiedere il compimento del relativo accertamento e al giudice di disporlo ove ne ravvisi, sulla base degli atti, la necessità.

Ciò premesso, peculiare rilievo assume la pronuncia in esame anche nella parte in cui assegna piena efficacia dimostrativa alle dichiarazioni rese dall’imputata in sede di interrogatorio imponendo al giudice di tenerne conto quale elemento eventualmente dimostrativo della incapacità.

Tale pronuncia postula, con riferimento al punto considerato, una particolare attività valutativa da parte del giudice posto che questi è, sostanzialmente, chiamato a operare una selezione tra le dichiarazioni rese siccome documentate nel relativo verbale e a discernere, tra le mandaci, quelle che sono soltanto di falso contenuto da quelle, invece, che sono, anche, sintomatiche dello stato di incapacità dell’incolpato.

Pertanto, l’interrogatorio si connota non soltanto quale strumento di difesa, ma, anche, quale eventuale mezzo di prova della incapacità dell’imputato.

Né, invero, la portata dimostrativa degli elementi ricavabili dal contenuto dell’interrogato è automaticamente neutralizzata dalla successiva scelta del rito speciale attesa la valutazione comparativa che il giudice è tenuto a compiere per assumere le necessarie determinazioni concernenti la verifica della capacità dell’imputato.

Una ulteriore questione, emergente dalla citata pronuncia, riguarda il valore indirettamente assegnato al fatto che l’imputata era assistita, nella fase temporale coeva alla realizzazione del reato, da un amministratore di sostegno  a cagione della acclarata incapacità di provvedere, da sola, ai propri interessi stante la rilevata esistenza di un ritardo mentale accertato in altro procedimento.

Orbene, tale situazione, talvolta reputata irrilevante in tema di (in)capacità processuale, diviene segnale della dedotta incapacità e deve costituire, insieme con gli altri elementi, oggetto di valutazione giudiziale.

Peraltro, la postulata valutazione deve essere globale nel senso che deve riguardare tutti gli elementi ricavabili dagli atti processuali aventi, seppure in astratto, efficacia dimostrativa in punto di incapacità.

La mancata valutazione di tali elementi e la correlativa assenza di una specifica argomentazione sul punto determina la sussistenza del vizio motivazionale.

Avv. Antonio Russo (Avvocato del foro di Locri)

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