Una delle metodologie di ricerca per le quali la trascrizione è uno strumento imprescindibile è l’Analisi della Conversazione (AC), un approccio interdisciplinare che accomuna sociologia, linguistica e psicologia sociale e affonda le sue radici nei pionieristici lavori di Goffman (1967) e Garfinkel (1967) e nelle rivoluzionarie lezioni di Sacks (1992).
Se dovessimo definire in parole semplici l’oggetto di studio dell’AC, potremmo dire che essa esamina la produzione e l’organizzazione del parlato in situazioni quotidiane di interazione sociale (cfr. Hutchby & Wooffitt 2008: 11). Per essere più precisi, l’AC considera la comunicazione parlata come il frutto delle azioni coordinate degli interattanti, che, in qualità di membri di una data comunità linguistica, dispongono di procedure, metodi e risorse che consentono loro di costruire, collaborativamente, un ordine conversazionale e dei significati condivisi entro questo ordine.

Questa definizione ha due importanti conseguenze sul piano teorico e metodologico. In primo luogo, l’AC adotta una prospettiva emica, vale a dire interna all’interazione, in virtù della quale ci si focalizza su ciò che i partecipanti rendono interazionalmente rilevante qui e ora. Si tratta di ciò che, in termini tecnici, viene definito “rilevanza condizionale” (Schegloff 1972), cioè il fatto che ogni turno di parola proietta una o più azioni rilevanti da parte del parlante del turno successivo, come avviene nelle cosiddette coppie adiacenti, tra cui saluto-saluto, domanda-risposta, invito-accettazione/rifiuto (Sacks et al. 1974: 716). Queste sequenze hanno carattere normativo, tant’è che, in assenza della seconda parte della coppia, chi ha enunciato la prima produrrà inferenze su tale assenza. Tale “implicatività sequenziale” (Schegloff & Sacks 1973: 296) rende la produzione del parlato doppiamente contestuale: ogni enunciato sarà determinato dal contesto precedente e al tempo stesso determinerà, fungendo da contesto, gli enunciati successivi (Drew & Heritage 1992: 18). In secondo luogo, poiché la conversazione è il frutto delle azioni dei partecipanti, chi la studia si occupa di comportamenti il cui significato è veicolato tanto da elementi linguistici quanto da fenomeni paraliguistici (cfr. Vineis 1995: 541). Quest’ultimo termine è comunemente utilizzato per raggruppare non solo caratteristiche prosodico-intonative, come ritmo, intensità, velocità di elocuzione e pause, ma anche elementi non verbali quali gestualità, mimica facciale, direzione dello sguardo, postura (si veda anche la sezione “Annotare una trascrizione”). Sin dagli inizi, una delle sfide dell’AC è stata proprio quella di elaborare un sistema di trascrizione che rappresentasse sulla pagina questi elementi del parlato in una sorta di partitura funzionale alla dimensione analitica sopra illustrata. L’ideatrice del primo sistema di questo genere, che è poi diventato lo standard di riferimento per gli analisti della conversazione, è Gail Jefferson, il cui modello viene riportato nel paragrafo 2.2. L’importanza cruciale dei tratti non verbali in determinate situazioni comunicative (si pensi alla conversazione faccia a faccia), che emerge chiaramente già a partire dagli anni Sessanta nella ricerca di area psicologica (cfr. Kendon 1967 e 1980; McNeill 1985) e in quella di stampo sociologico sull’interazione (cfr. Goodwin 1981), porterà, nell’AC, a una vera e propria svolta multimodale, di cui un’esponente di spicco è Lorenza Mondada. Al suo modello di trascrizione è dedicato il paragrafo 2.3. …

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