La cassazione ha stabilito che la pena accessoria ex art. 32 bis c.p. è pena ad ogni effetto penale ex art. 20 c.p.- pene principali e accessorie- tanto che essa consegue di diritto alla condanna, come effetti penali di essa.

L’imputato, in altro procedimento, già passato in giudicato, era stato condannato dalla Corte di Appello per il reato di evasione fiscale ed applicata nei suoi confronti la pena accessoria ex art. 32 bis c.p. dell’interdizione degli uffici direttivi della persona giuridica.

Nonostante l’interdizione l’imputato ha continuato a svolgere la funzione interdetta e per tanto era stato tratto a giudizio davanti al Tribunale per la violazione della pena accessoria ex art. 389 c.p.

In quella sede, nonostante l’imputato fosse destinatario della pena accessoria dell’interdizione dagli uffici direttivi della persona giuridica e avesse comunque compiuto atti di esercizio dell’attività d’impresa, il Tribunale lo aveva assolto ritenendo che l’art. 32 bis c.p. non configurasse “una pena in senso proprio”, tale da vietare l’attività interdetta, ma esprimesse soltanto una parziale incapacità di agire del condannato incidente sulla validità civilistica degli atti compiuti durante l’interdizione.

Il Procuratore della Repubblica ha impugnato la sentenza e chiesto  l’annullamento per violazione di legge con riferimento agli artt. 32 bis e 389 c.p. sostenendo che  l’ interpretazione del Tribunale è errata non solo perché contraria alla lettera dell’ art. 32 bis c.p., ma perché intrinsecamente contraddittoria rispetto alla ratio delle pene accessorie, disciplinate dal codice penale, la cui violazione, infatti, viene sanzionata dal delitto di cui all’art. 389 c.p. che, altrimenti, resterebbe privo di qualsiasi significato.

La Suprema Corte, dopo aver delineato la ratio della fattispecie contestata a partire dagli interventi normativi che l’hanno coinvolta, in accoglimento del ricorso ha  stabilito che  costituisce un’ interpretazione contra legem, oltre che illegittimamente abrogatrice dell’articolo 389 c.p., quella apoditticamente proposta dal Tribunale nella parte in cui stabilisce che la pena accessoria non sia “una pena in senso proprio” così mostrando di non confrontarsi con l’articolo 20 c.p. che non solo la denomina pena, ma stabilisce che essa consegua “di diritto alla condanna, come effetti penali di essa“, nel senso che non è necessaria un’espressa dichiarazione nella sentenza per la sua applicazione. Infatti, l’elemento oggettivo dell’art. 389 c.p. è costituito solo dalla trasgressione agli obblighi o ai divieti inerenti alla pena accessoria, intesi come esercizio di attività inibite, il cui rispetto è affidato al condannato.

Cass. pen., sez. VI, ud. 18 ottobre 2023 (dep. 21 novembre 2023), n. 46787-

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