SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Ne bis in idem e concorso formale eterogeneo. – 2.1. Il concetto di idem factum e le soluzioni dottrinali e giurisprudenziali italiane – 3.L’esperienza giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell’uomo. – 3.1. La posizione della Corte costituzionale. – 4. Conclusioni.

1.     Introduzione

 

Storicamente l’istituto del giudicato è stato studiato al fine di comprendere i due fondamentali effetti ad esso connessi che, nello specifico, sono quello della intangibilità dei provvedimenti, non più sottoponibili ad impugnazione ordinaria, e quello del così detto ne bis in idem.

Nel corso degli anni e soprattutto successivamente all’introduzione della Costituzione repubblicana l’assolutezza del giudicato penale quale fisiologica manifestazione della sovranità statale ha ceduto il passo a una idea liberale di “cosa giudicataˮ, da intendersi come garanzia del singolo soggetto rispetto all’instaurazione di un nuovo procedimento per il medesimo fatto. In buona sostanza, il mito dell’intangibilità della res iudicata, a conclusione dei vari gradi di un accertamento processuale penale, risulta oggi sbiadito proprio alla luce della rinata centralità della tutela dei diritti fondamentali dell’individuo, ciò in ragione del fenomeno di accentuazione del profilo soggettivo del giudicato penale e del passaggio da una concezione autoritaria e stato-centrica dell’ordinamento ad una più marcatamente rivolta alla tutela della persona umana1.

A conferma della superiore riflessione può osservarsi come sempre più numerosi siano gli strumenti, offerti agli organi dell’esecuzione penale, i quali permettono di incidere sul giudicato già formatosi, mutandone e financo azzerandone il suo contenuto. Basterà, in questo senso, prendere in considerazione gli istituti della rescissione del giudicato2 e la nuova ipotesi di revisione così detta “europeaˮ, per come formulata attraverso una sentenza additiva delle Corte costituzionale3, per citare quelli più recenti, ovvero la modifica dell’art. 175 c.p.p.4, mediante la quale l’ordinamento italiano ha posto rimedio alle violazioni convenzionali rinvenute in seno al processo contumaciale5 e, segnatamente, del diritto dell’imputato a comparire e difendersi qualora non vi abbia rinunciato in modo non equivoco, per citare quelli ormai più datati.

Particolare risalto, nel senso che qui interessa, deve essere altresì dato alle puntuali affermazioni che in materia provengono dalle Sezioni unite della Corte di cassazione in seno alle quali in termini inequivoci si chiarisce che «la Costituzione della Repubblica e, successivamente, il nuovo codice di procedura penale hanno ridimensionato profondamente il significato totalizzante attribuito all’intangibilità del giudicato quale espressione della concezione autoritaria dello stato e ne hanno, per contro, rafforzato la valenza di garanzia individuale6». Anche in seno alla elaborazione giurisprudenziale si è assistito, pertanto, ad un affievolimento della intangibilità del giudicato laddove si entri in conflitto con esigenze di garanzia del singolo, si pensi al caso in cui una nuova valutazione del caso definito con sentenza irrevocabile conduca a un trattamento più favorevole.

Tutto ciò palesa come in ambito penale la forza della cosa giudicata si esprima essenzialmente a mezzo del divieto di un secondo giudizio al quale viene conferito nel vigente diritto processuale penale la valenza di principio generale.

Quanto sin qui considerato ci anticipa l’importanza della garanzia offerta dal divieto di un secondo giudizio sulla eadem res e della sua rilevanza in seno al nuovo assetto che la materia processuale penale ha acquisito, conducendoci all’indagine della reale portata del ne bis in idem, soprattutto in considerazione delle rilevanti problematiche sorte all’esito dei plurimi interventi giurisprudenziali, tanto in ambito nazionale, quanto, e forse soprattutto, in ambito sovranazionale.

Più in particolare, mediante una indagine che parta dalla valutazione dei limiti oggettivi del giudicato, potrà affrontarsi la questione, ancora irrisolta, attinente le ipotesi di concorso formale eterogeneo, stante le annose problematiche che, nella volontà di trovare un valido equilibrio tra corretta interpretazione del dato normativo e ragioni di giustizia sostanziale, continuano ad alimentare incertezze a causa di criteri di risoluzione distanti tra loro, tanto in sede dottrinale, quanto in sede giurisprudenziale. In questo senso, come anticipato, i dubbi vengono ad acuirsi in ragione delle diverse letture che del principio in parola sono state fornite dai Giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo e da quelli della Corte costituzionale italiana.

2.     Ne bis in idem e concorso formale eterogeneo.

Nella volontà di inquadrare il fenomeno che dovrà essere affrontato, è fondamentale considerare come il principio del ne bis in idem7, considerato dalla unanime dottrina e dalla recente giurisprudenza come diritto fondamentale dell’individuo, ingeneri una garanzia che risulta essere fortemente condizionata dagli incerti confini normativi, così per come incastonati nella dinamica multilivello connessa alla sua tutela8. Alle diversità che caratterizzano le plurime previsioni normative, deve aggiungersi, infatti, la carente determinatezza di queste ultime. Si pensi in questo senso alla previsione dell’art. 649 c.p.p. che dà rilievo alla «medesimezza del fatto» quando gli art. 4 prot. 7 CEDU e 50 CDFUE si esprimono in termini di «same offence» o «same infraction», con conseguenziale rinvio all’interpretazione giudiziale della reale portata di tali concetti. Non sorprende, pertanto, che l’analisi delle norme in parola si caratterizzi per una spasmodica ricerca di significati e contenuti che permettano soluzioni coerenti e, nello specifico, in grado di coniugare il codice di procedura penale italiano in ossequio all’obbligo costituzionale che impone di interpretare il diritto interno sulla scorta dei canoni convenzionali e del diritto dell’Unione europea. Tale complessa operazione, volta alla precisa ricostruzione del concreto contenuto della garanzia concernente il divieto di un secondo giudizio, determina un costo assai marcato in chiave di certezza del diritto e delle situazioni giuridiche soggettive9. Rischi fisiologicamente connessi sono quello che il ne bis in idem si risolva in un diritto meramente teorico e illusorio, che la sua portata non sia prevedibile dai consociati e che non possano eliminarsi inaccettabili disparità di trattamento.

Le problematiche appena trattate si manifestano nei termini più marcati in riferimento alle ipotesi di concorso formale eterogeneo, e cioè nei casi in cui il soggetto agente ex uno actu violi contemporaneamente più norme dell’ordinamento giuridico. Proprio in tale ipotesi, infatti, sorgono problemi interpretativi che rischiano di vanificare la tutela della fondamentale garanzia della quale ci si occupa.

Risulterà, così, opportuno prendere in considerazione gli approdi che, tanto in chiave nazionale, quanto in  chiave  sovranazionale,  sono  stati  raggiunti  nel  percorso interpretativo di cui si è dato conto al fine di valutarne correttezza e rispondenza ai principi generali.

Trattasi dei casi di concorso formale di reati, logicamente scindibile dalle ipotesi di concorso apparente di norme nelle quali ad una condotta dovrà applicarsi, facendo buon governo dei principi previsti dall’art. 15 c.p. e da quelli formulati dalla giurisprudenza sul punto, un’unica norma penale sostanziale.

 

  • Il concetto di idem factum e le soluzioni dottrinali e giurisprudenziali italiane. In ambito italiano la reale portata del divieto normativamente considerato dalla lettera dell’art. 649 c.p.p. è stata diversamente ricostruita sulla scorta della interpretazione del concetto di identità del fatto che, unitamente alla identità soggettiva, costituisce fondamentale requisito per l’operare del divieto.

Il concetto di fatto non può certo essere ritenuto univoco, posta la natura polisemica che lo pone in gioco in una molteplicità di ambiti e, in ragione di ciò, è da contestarsi una sua nozione omnicomprensiva, mutando il suo contenuto in base alle finalità al cui soddisfacimento l’ordinamento mira10, basti in tal senso fare riferimento ai necessari distinguo a seconda che si abbia riguardo all’identificazione del fatto a scopi “endoprocessualiˮ ovvero “extraprocessualiˮ.

Sul punto, non può essere revocato in dubbio che il concetto di identità del fatto contenuto nella norma precedentemente richiamata non abbia alcun riferimento con quello che il legislatore prende in considerazione in tema di correlazione tra accusa e difesa11. Tradizionalmente la dottrina afferma l’equivalenza tra il termine fatto e il termine condotta12, sulla considerazione che l’art. 649 c.p.p. esclude chiaramente i dati variando

i quali muterebbero “titolo”, “grado” e “circostanze”, lasciando così fuori il nucleo identificato dalla condotta13.

Diverso percorso e approdi antitetici caratterizzano il «diritto vivente» che, nell’ottica di elidere risultati ritenuti non accettabili in termini di politica criminale, ha inteso includere tra i parametri rilevanti anche elementi altri rispetto alla mera condotta, con ciò limitando i casi di identità tra res iudicata e res iudicanda con contestuale erosione dell’area di rilievo del divieto. In questo senso si è inteso valorizzare l’incidenza del rapporto di causalità e dello stesso evento giungendosi a ritenere sussistenze una medesimezza del fatto solo in caso di identità di tutti i suoi elementi costitutivi14.

La evidenziazione di questo principio ha, così, condotto i giudici di legittimità ad escludere l’operatività del ne bis in idem nei casi in cui, a seguito di una sentenza definitiva per lesioni colpose, si proceda nei confronti dello stesso soggetto per l’ipotesi di omicidio colposo in seguito alla morte della persona offesa a causa delle ferite inferte con la medesima condotta precedentemente oggetto di giudizio.

Per altra via, era il ricorso a elementi di tipo storico – naturalistico come condizioni di tempo di luogo e di persona ad orientare l’indagine realizzata in via «pretoria»15.

Come anticipato, scopo perseguito da tale attività esegetica era quello di dare risposte concrete ad applicazioni che potrebbero definirsi “distratteˮ delle posizioni dottrinali contestate. Così, i giudici, investititi delle questioni concrete, nel desiderio di offrire una risposta punitiva piena suggerivano correttivi che, frutto di commistioni simbiotiche tra dogmatica ed esigenze di giustizia sostanziale, si caratterizzano per un marcato contrasto con il dato normativo, che ne risulta neutralizzato, come nei casi sopra richiamati, vanificando la previsione dell’irrilevanza del grado e del titolo16.

Invero, una più scrupolosa lettura delle soluzioni dottrinali avanzate avrebbe potuto evitare le interpretazioni contra legem sostenute, si pensi alle attente considerazioni per le quali medesimezza del fatto sia non unicamente condotta nel caso in cui essa incida su un oggetto, con ciò realizzandosi tanti fatti quanti oggetti siano attinti dalla stessa17, esattamente come avviene nell’ipotesi di assoluzione per reato di mera condotta che, successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, venga rivalutato a causa dell’evento ulteriore determinatosi mediante incisione su un oggetto diverso (si prenda ad esempio il caso di sentenza relativa a una contestazione per violazione del limite di velocità e secondo giudizio per l’ipotesi di lesioni ovvero omicidio fondato sul medesimo coefficiente colposo)18.

In buona sostanza, non è l’adesione a una concezione «normativa» di fatto la via da perseguirsi nell’intento di risolvere i problemi concreti di cui si è dato conto, potendosi, in chiave di necessario rispetto del tenore normativo, valorizzarsi una caratteristica fisiologica dello stesso. Il connotato strutturale della “transitivitàˮ conduce una applicazione del principio contenuto nell’art. 649 c.p.p. che, per un verso, permette un corretto bilanciamento tra pretesa punitiva e tutela soggettiva quale vera ratio del fondamentale principio del ne bis in idem, per altro, evita conclusioni apodittiche e frutto di sconsiderate astrazioni19.

Tanto chiarito risulta evidente come tali percorsi esegetici condizionino i risultati cui si perviene allorquando si intenda risolvere i problemi concernenti il concorso formale di reati. Infatti, ritenere che fatto sia mera condotta pone nette premesse per sostenere l’impossibilità di un secondo giudizio, tanto in ipotesi di concorso formale omogeneo, quanto in quelli di concorso formale eterogeneo20, versandosi in entrambe le ipotesi in una diversa considerazione del medesimo fatto sotto il profilo del titolo.

Qualora si consideri che la condotta vada qualificata anche in ragione dell’oggetto materiale su cui ricade, il divieto non opererà nei casi di concorso formale omogeneo, posto che a fronte di una sola condotta si sostanzieranno più fatti, data la pluralità di oggetti fisici, così come in alcuni casi di concorso formale eterogeneo, allorquando la condotta provochi un unico evento naturalistico21 pur integrando due diversi reati.

Una puntuale precisazione può effettuarsi se si considera come l’odierna lettera dell’art. 649 c.p.p. ripropone in termini fedeli la previsione di cui al vecchio art. 90 del codice Rocco, intitolato “inammissibilità di un secondo giudizioˮ. A ripercorrere, infatti, la genesi di quell’articolo è possibile comprendere come proprio la previsione di una eccezione al divieto di un secondo giudizio in caso di concorso formale eterogeneo, così come formulata nel terzo comma dello stesso articolo, fosse stata soppressa.

Ciò nonostante, attraverso il riferimento al concetto dell’idem in senso legale, cioè quale fattispecie penalmente rilevante e perciò contenente fatto – nesso di causalità – evento, la giurisprudenza ha sostanzialmente riesumato, contra legem, l’idea lanciata in qual terzo comma dell’art. 90 codice Rocco22, determinando una sorta di automatismo per il quale fosse inapplicabile il divieto di un secondo giudizio ogni qual volta si affrontasse una ipotesi di concorso formale eterogeneo.

 

3.     L’esperienza giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell’uomo.

 

Spostando adesso l’indagine in ambito sovranazionale è possibile notare, in prima battuta, come tanto la Convezione europea dei diritti dell’uomo che la carta fondamentale dell’UE abbiano trovato una evidente coincidenza in termini di presupposti del divieto di un secondo giudizio, ciò in virtù di una consolidata elaborazione giurisprudenziale. Nonostante, infatti, il lavorio interpretativo si sia caratterizzato per soluzioni non univoche, oggi i contenuti e gli spazi di operatività del ne bis in idem sono stratificati e pacificamente riconosciuti.

Si è così passati da arresti che si connotavano per una lettura di tipo formale e, perciò, maggiormente aderente al tenore letterale della previsione di cui all’4 prot. 7 della Cedu, per le quale un secondo accertamento fosse possibile ogni qualvolta la condotta ricadesse sotto diverse fattispecie normative23, a una, poi definitivamente consolidatasi, per la quale la necessaria impronta di garanzia dell’individuo imponeva di non svilire il divieto in oggetto riconoscendo rilevanza all’identità del fatto materiale24, in questo senso orientandosi sulla scorta della interpretazione effettuata dalla Corte di giustizia sul contenuto dell’art. 50 CDFUE25.

Il percorso giurisprudenziale non si è ovviamente fermato alle ipotesi riguardanti reati di mera condotta, dato questo rilevante per quanto si dirà in ordine alla lettura fatta dalla Corte costituzionale italiana, essendosi prese in considerazione ipotesi nelle quali i giudici convenzionali pongono l’accento su una condotta medesima e rivolta nei confronti della stessa vittima per dedurne la violazione dell’art. 4 prot. 7 Cedu nonostante fossero posti a raffronto un reato di mera condotta e uno di evento, o due reati di diverso evento26.

In ottica ricostruttiva può affermarsi che a partire dall’arresto della Grande Camera Zolotukhin c. Russia del 2009 la Corte di Strasburgo ricollega la medesimezza del fatto a elementi completamente diversi rispetto a quelli che compongono la triade valorizzata dalla tesi normativa. Il nesso e l’evento, anche se considerati nella loro dimensione empirica, restano di matrice normativa e, dunque, irrilevanti nella prospettiva sovranazionale. Più nello specifico, è la discontinuità spazio temporale degli accadimenti a segnare il mutamento del fatto, non ravvisandosi alcun rilievo nella circostanza che il primo giudicato copra solo alcuni segmenti delle condotte, eventi e relativi nessi causali di rilievo penalistico.

La eventuale natura inestricabile delle circostanze storiche da valutarsi, può semmai dar luogo a una contestazione cumulativa mediante una individuazione da effettuarsi ab origine. Un pregnante esempio può cogliersi in una recente pronuncia nella quale si è riscontrata la violazione del ne bis in idem a causa di una prima contestazione avente a oggetto l’illecito di atti di disordine per avere ingiuriato e minacciato il personale di un bar e, poi, di una seconda condanna per avere cagionato lesioni allo stesso personale e danneggiato gli arredi del medesimo bar27. La corte ha motivato rilevando che i fatti rilevanti, pur se non menzionati nella precedente contestazione, traggono comunque origine dalla medesima e continuativa condotta solo parzialmente descritta nella prima decisione, così operando una selezione di taluni comportamenti dal contesto complessivo che viene ritenuta artificiosa, soprattutto in considerazione del fatto che la polizia era intervenuta pressochè in flagranza avendo, perciò, avuto l’opportunità di accertare in modo completo il caso sulla scena del reato.

Da quanto appena posto in evidenza può cogliersi il differente livello di tutela maturatosi in considerazione degli arresti giurisprudenziali della Corte di cassazione.

Non deve sorprendere che il contrasto appena narrato abbia reso necessario l’intervento della Corte Costituzionale alla quale la questione è stata correttamente rimessa mediante il richiamo della norma interposta di cui all’art. 117 cost.28

 

3.1.   La posizione della Corte costituzionale.

 

La Corte, appurata l’esistenza di tratti di divergenza tra la nozione di medesimo fatto adottata dal diritto vivente interno, fondata sul concetto di idem legale, e quella fatta propria dai giudici di Strasburgo, criterio dell’idem factum, ha inteso allinearsi alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo dichiarando “l’illegittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p. nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale eterogeneo tra il reato giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale”.29

Uno sguardo deve essere dato alla parte motiva della citata sentenza, nella quale il Giudice delle leggi coglie il conflitto tra l’accezione interna e quella convenzionale dell’idem factum a causa del continuo riferimento della giurisprudenza italiana alla necessaria coincidenza dei tre elementi costitutivi del reato, condotta, nesso di causalità ed evento, ritenendosi il rilievo della modificazione dell’ultimo sia in chiave naturalistica che in chiave giuridica.

Interessante notare come i giudici costituzionali, nel tentativo di decifrare il concetto di fatto per come interpretato dalla Corte di Strasburgo, abbia preliminarmente inteso porre in essere una analisi delle posizioni maturatesi in seno alla stessa.

Deve subito rilevarsi come i risultati non possano essere a pieno condivisi, soprattutto nella parte in cui si ritiene che non debba essere esclusa la rilevanza dell’evento e del nesso di causalità, da interpretarsi, però, in chiave strettamente naturalistica, oltre ovviamente all’oggetto su cui incide la condotta. Il rilievo sarebbe occasionato dalla impossibilità di cogliere argomenti a contrario in seno agli arresti giurisprudenziali richiamati nell’ordinanza di rimessione, a partire dalla sentenza Grande Stevens, trattandosi in essi di reati di mera condotta e, in buona sostanza, non potendo l’indagine fare altro che coinvolgere solo quest’ultima30.

Tale affermazione risulta essere errata in ragione di una non corretta lettura complessiva dei risultati interpretativi della Corte europea dei diritti dell’uomo della quale la Corte costituzionale non ha evidentemente saputo intercettare i passaggi e gli approdi conclusivi, con ciò contribuendo a un panorama ancora incerto che lascia margini non definiti e foriero di interpretazioni concrete nel senso di una inaccettabile riduzione della garanzia del ne bis idem.

Continuare a considerare rilevante l’evento, anche se inteso in chiave naturalistica, non permette di cogliere nella sua essenza la natura della garanzia in parola e, per tornare a esempi concreti, lascia spazio a nuovi giudizi in caso di lesioni e della successiva morte del soggetto attinto dalle condotte valutate nel precedente giudizio. In questo caso, per certo si determinerà un nuovo evento in senso naturalistico, vedasi la morte di un soggetto a fronte di un primo evento dato dalla lesione di un organo, altrettanto nuova sarà l’indagine che riguarderà il nesso tra la condotta e la causa mortis, all’evidenza nuovo e altro rispetto a quello che ricollega la condotta all’evento cagionato dalla lesione. Il rilievo dell’evento in tal modo considerato dovrebbe, così, condurre alla possibilità di un nuovo giudizio anche nell’ipotesi di formazione progressiva del reato con ingiustificabile violazione dell’art. 649 c.p.p. in riferimento alla irrilevanza del grado dell’offesa.

Problematica ancora più marcata se si considera la possibilità di elevare contestazioni nei confronti di soggetti che rivestono posizioni di garanzia e che, ai sensi della clausola generale di cui all’art. 40 comma 2, rischiano una inaccettabile sottoponibilità reiterata a processo in relazione a eventi diversi magari prodottisi in archi temporali assai rilevanti31. Si pensi all’attività imprenditoriale e industriale.

 

4.     Conclusioni.

L’operato confronto tra giurisprudenza interna e Corte europea dei diritti dell’uomo continua a manifestare il profondo iato tra le differenti letture, traducendosi in una garanzia al ribasso dai risvolti draconiani. Nemmeno l’intervento dell’arbitro costituzionale è riuscito a risolvere i problemi, come può evincersi dagli ultimi arresti nei quali, dietro una lettura rinnovata sulla scorta delle motivazioni della sentenza della Corte costituzionale, si celano le solite soluzioni intrise di giustizialismo e istanze di punizione. Per tutte valga il caso del soggetto già giudicato per false comunicazioni sociali, poi nuovamente sottoponibile a processo per l’ipotesi di bancarotta impropria. In tale caso, motiva la cassazione, l’aggravamento o la determinazione del dissesto determina una differenza strutturale tra il fatto storico – naturalistico del reato di cui all’art. 223, comma 2, n. 1, legge fallimentare e quello oggetto del reato di falso in bilancio32.

Anche alcune voci di rilievo della dottrina italiana hanno apertamente commentato le considerazioni del giudice delle leggi nel senso di ritenere operante il divieto di un secondo giudizio solo in ipotesi di concorso apparente di reati33, soluzione non condivisibile posta la differenza fenomenica con il concorso formale, dovendosi in quel caso applicare solo una delle norme apparentemente riconducibili al caso concreto.

Ciò che colpisce nella problematica de qua è che anche la logica dello standard di garanzia più elevato, che dovrebbe operare in chiave di eterointegrazione tra diritto interno e sovranazionale, non riesca a condurre ad approdi apprezzabili, quasi come a doversi giustificare soluzioni che continuano fuggire dalla assiologia strettamente connessa all’art. 649 c.p.p.

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di Diego Foti – Avvocato cassazionista del Foro di Messina, Dottore di ricerca in discipline penalistiche sostanziali, docente a contratto presso l’Università degli Studi di Messina di diritto processuale penale, diritto dell’esecuzione penale e diritto della prova penale. 

 

NOTE:

1 Puntualmente in questo senso A. Bigiarini, La crisi del giudicato penale nell’esecuzione delle sentenze della corte europea dei diritti dell’uomo; Tra legalità processuale, giurisprudenza creativa e suggestioni d’oltralpe; Giuffrè, Milano, 2020, considerazioni introduttive.

2 Il riferimento è all’istituto previsto dalla lettera dell’art. 629 bis c.p.p., inserito in seno al codice di rito dall’art. 1, comma 71, della L. 23 giugno 2017, n. 103 (riforma Orlando) con contestuale abrogazione del precedente art. 625 ter c.p.p.

3Con la sentenza n. 113 del 2011, i giudici delle leggi hanno dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 630 c.p.p. nella parte in cui non prevede una ulteriore ipotesi di revisione penale, quando ciò risulta necessario per conformarsi a una decisione definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo. Più precisamente, quando la Corte europea ha condannato con sentenza definitiva lo stato italiano per violazione di una norma convenzionale in tema di giusto processo penale. La sentenza additiva della Corte costituzionale ha in tal modo introdotto una ulteriore ipotesi di ricorso al mezzo straordinario di impugnazione delle sentenze penali passate in giudicato, coniando la nuova figura di revisione più comunemente conosciuta come europea.

4 Modifica realizzata con d.l. n. 17 del 2005, convertito con modificazioni in L. n. 60, del 2005.

5 Il riferimento è alle note sentenze Somogy c/Italia, n. 67972/01 del 18 maggio 2004 e Sejdovic c/Italia,

  1. 56581/00 del 10 novembre 2004.

6 Cass. pen., sez. un. N. 42858 del 29 maggio 2014 (Gatto), in Riv. It. dir. pen. proc., 2015, p. 975, con nota di D. Vicoli, L’illegittimità costituzionale della norma penale sanzionatoria travolge il giudicato: le nuove frontiere della fase esecutiva nei percorsi argomentativi delle Sezioni unite.

7 SUL TEMA tra i contributi più recenti, M. Bontempelli, La litispendenza penale, Giuffrè, Milano, 2017, p. 52; R. Fonti Il principio del ne bis in idem in Ceresa Gastaldo M. (a cura di) Procedura penale esecutiva Giappichelli, Torino, 2020, p. 42; F. Caprioli – D. Vicoli, Procedura penale dell’esecuzione, Giappichelli, Torino, 2011, p. 67.

8 Sui nuovi e complessi orizzonti di tutela delle garanzie fondamentali mediante il ricorso a schemi di etero integrazione nazionale e sovranazionale, M. Daniele, La triangolazione delle garanzie processuali tra Diritto dell’unione europea, CEDU e sistemi nazionali, in Dir. pen. cont. ed. on line, 6 aprile 2016, p. 1.

9 Acutamente in questo senso, S. Cassiba, I limiti oggettivi del ne bis in idem in Italia tra fonti nazionali ed europee, Rev. Bras. De Direito Processual Penal, Porto Alegre, 2018, vol. 4, n. 3, p. 953.

10 Nel senso della necessità di evitare pericoli di generalizzazione della nozione di fatto, A. Pagliaro, Fatto, Diritto Processuale Penale, in Enc. d., XVI, pag. 962; P. Rivello, La nozione di “fattoˮ ai sensi dell’art. 649

c.p.p. e le perduranti incertezze interpretative ricollegabili al principio del ne bis in idem, in Riv. It. dir. pen. proc., 2014, p. 1411.

11 G. Lozzi, Lezioni Di Procedura Penale, Giappichelli, Torino, 2020, pag. 839, per il quale “ai senso dell’art. 521 comma 2 c.p.p., si realizza la diversità del fatto e, quindi, sorge per il giudice l’obbligo di disporre con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero anche se la diversità tra il fatto, così come emerge a conclusione dell’istruttoria dibattimentale ed il fatto contestato nel decreto che dispone il giudizio (ovvero nelle contestazioni effettuate in sede dibattimentale ai sensi degli artt. 516, 517, 518 c.p.p.), concerne una semplice modalità cronologica o topografica, mentre siffatte variazioni non rilevano ai fini del ne bis in idem”.

12 A. Pagliaro, Fatto, Diritto Processuale Penale, cit., pag. 964. Secondo l’autore, che pur si rivolge al testo dell’art. 90 del vecchio codice, “fatto è soltanto la condotta esteriore (movimento corporeo o inerzia) che fu presa in considerazione nella precedente sentenza”.

13 “La decisione irrevocabile impedisce nuovi giudizi sulla “res”, comunque venga poi rievocata: non importa che giorno o luogo siano diversi; e così i motivi dell’aggressione, nonché l’arnese (…), purchè i rispettivi enunciati descrivano lo stesso avvenimento”. F. Cordero, Procedura Penale, Giuffrè, Milano, 2012, pag. 1206.

14 Tra le tante possono prendersi in considerazione Cass. Pen. sez. un., 28 giugno 2005, n. 34655, Donati, in Cass. Pen. 2006, pag. 28; Cass. Pen., sez. V, 7 marzo 2014, n. 32352, in C.E.D. Cass., n. 261937.

15 Si veda in questo senso tra le molte Cass. Pen., sez II, 27 maggio 2010, Rapisarda, in Cass. Pen., 2011, pag. 1846.

16 Da ultimo D. Grosso, Ne bis in idem e concorso formale eterogeneo, in Studi e ricerche di scienze umane e sociali, (a cura di) R. Delle Donne, fedOAPress, Napoli, 2014, pag. 154.

17 Per F. Cordero, op. cit., pag. 1206, “fattoˮ significa condotta: e questa struttura nucleare include l’oggetto fisico, dove ne esista uno (reati così detti materiali); le condotte transitive sono individuate da ciò su cui cadono.

18 F. Caprioli – D. Vicoli, Procedura Penale Dell’Esecuzione, Giappichelli, Torino, 2011, pag. 87 e ss.

19 D. Siracusano – A. Galati – G. Tranchina – E. Zappalà, Diritto Processuale Penale, Ed. (a cura di) G. Di Chiara, V. Patanè, F. Siracusano, Giuffrè, Milano, 2018, pag. 876, per i quali “i concetti di fatto, condotta ed evento, non sono che il prodotto di una astrazione e, quindi, dell’arbitraria scomposizione della realtà, col rischio che astraendosi più del consentito le conclusioni finiscono col cadere nell’assurdo.

20 A. Pagliaro, op. cit., pag. 964, secondo il quale: “La medesima condotta non può formare oggetto di un nuovo giudizio penale neanche quando si tratti di addebitare un reato in concorso con il reato precedentemente giudicato. Ciò, perché l’attribuzione di un reato diverso importa una diversa considerazione del «fatto» (inteso come condotta) «per le circostanze», contro l’esplicito disposto dell’art. 90”.

21 Vale precisare che l’accezione di evento naturalistico viene ricostruita sulla scorta dell’incidenza che la condotta ha nella realtà fenomenica a causa della transitività di alcune condotte. Può, perciò, affermarsi che per l’autore un nuovo evento naturalistico si realizza nel caso in cui la condotta attinga un nuovo oggetto.

22 F. Cordero, op. cit., 1183, vale riportare le parole con quali si riporta la posizione dello stesso Alfredo Rocco: “«questa disposizione parve non equa alla commissione parlamentare, perché, quando i vari reati derivano da un unico fatto, è opportuno che vengano tutti imputati e giudicati con un unico procedimento»; e convinto del rilievo, «l’ho soppressa»”.

23 In questo senso, C. e.d.u., sez. I, 6 giugno 2012, Sailer v. Austria, par. 25; sez. III, 29 maggio 2001, Franz Fisher v. Austria, par. 25.

24 Un ruolo fondamentale in tale senso hanno avuto Corte e.d.u., Grande Camera, 10 febbraio 2009 Zolotukhin v. Russia; Corte e.d.u., sez. II, 4 marzo 2014, Grande Stevens v. Italia. Entrambe consultabili in www.echr.coe.int

25 Correttamente sul punto J. Vervaele, Ne bis in idem: verso un principio costituzionale transnazionale in UE?, in Riv. It. dir. pen. proc., 2014, p. 53.

26 Cfr. Corte e.d.u., sez IV, 14 aprile 2014, Mulija v. Bosnia Herzegonina e Corte e.d.u., sez. III, 23 giugno 2015, Butnaru e Bejan – Piser v. Romania. Entrambe consultabili in www.echr.coe.int. In particolare, nella prima veniva affrontato il caso nel quale il ricorrente, già giudicato per avere disturbato la quiete pubblica mediante condotte aggressive nei confronti della moglie, era stato successivamente processato per lesioni personali scaturenti da quelle condotte.

27 Cfr. Corte e.d.u., sez. V, 16 giugno 2016, Tarasov v. Ucraina, in www.echr.coe.int, par. 28.

28 Il meccanismo è quello delineato dalle c.d. sentenze gemelle, Corte Cost. n. 348 del 24 ottobre 2007 e

  1. 349 del medesimo giorno, entrambe consultabili in www.giurcost.org.

29 Corte Cost., n. 200 del 31 maggio 2016 in Proc. Pen. giust., Giappichelli, Torino, 2017, n. 1, con commento di B. Lavarini, Il ´fatto ai fini del ne bis in idem tra legge italiana e Cedu: La Corte costituzionale alla ricerca di un difficile equilibrio.

30 L’ordinanza di rimessione può essere letta su www.penalecontemporaneo.it, 27 novembre 2015, con commento di I. Gittardi, Eternit “bis in idem”? Sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p. in relazione all’art. 4 Prot. 7 CEDU.

31 In questo senso, D. Pulitanò, La Corte Costituzionale sul Ne Bis In Idem, in Cass. pen., n, 1, 2017.

32 Cass. Pen., sez. V, 26 novembre 2021, n. 1835, in CED cass. (rv. 282428-02).

33 P. Ferrua, La Sentenza costituzionale sul caso eternit: Il ne bis in idem tra diritto vigente e diritto vivente, in Cass. pen., n. 1, 2017, pag. 84. Contra, F. Caprioli – D. Vicoli, op. cit., pag. 89.

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