Con il presente contributo si cercherà di fare chiarezza sulla possibile configurazione di due reati che spesso vanno a braccetto, poiché l’uno diviene presupposto dell’altro, vale a dire la “simulazione di infermità” art.159 c.p.m.p. e “Truffa militare” art.234 c.p.m.p.

La simulazione di infermità è sovente contestata come reato mezzo, congiuntamente alla truffa, considerato come reato fine: nel mezzo si pone passaggio probatorio dirimente al fine della configurazione, effettiva, di entrambi i reati ovverosia la contestazione o meno della genuinità dei certificati medici da parte del p.m..

Si analizzerà un caso concreto, trattato dallo studio della scrivente e di cui è allegata recentissima sentenza assolutoria, al fine di esaminare come si sia orientato il Collegio della I sez. del Tribunale Militare di Napoli sulla contestazione di entrambi i reati ad imputato appartenente all’Aeronautica Militare.

IL CASO:

La Procura Militare di Verona ascriveva a carico del sig. M.D. i reati di “Simulazione di infermità continuata aggravata” artt.159, 47 nr. 2 c.p.m.p., 81 cpv c.p.” e “Truffa aggravata e continuata” artt. 81 cpv c.p., 234 comma 1e 2, 47 n. 2 c.p.m.p.” perchè lo stesso, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, inviava numerosi certificati medici per una patologia “non realmente esistente o comunque di natura non invalidante” con ciò ponendo in essere quegli artifizi e raggiri  che inducevano in errore l’amministrazione militare e consentivano all’imputato di procurarsi un ingiusto profitto, pari a quasi ventimila euro. Il tutto si dipanava in un arco temporale di poco più di 10 mesi.

Quali principali fonti di prova a carico venivano prodotti dal Pubblico Ministero i certificati dei medici che il M.D. aveva inviato al Comando di appartenenza, i rilievi delle celle telefoniche che asseritamente avrebbero collocato il militare in luoghi differenti dalla propria abitazione, una serie di post prelevati dal Social Network Facebook e la presenza di attività presso il Comune di residenza essendo il M.D. consigliere comunale.

Il caso veniva successivamente trattato dal Tribunale Militare Penale di Napoli che a seguito di dibattimento assolveva l’imputato perché “il fatto non sussiste”.

La difesa  imbastiva due censure principali:

  1. A) In via principale, difetto dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato, ciò per quanto attiene il reato di cui all’art.159 c.p.m.p. con il conseguente venir meno anche del reato di cui all’art.234 c.p.m.p.

B)In via subordinata, laddove i reati si fossero ritenuti configurati, in ragione della errata formulazione del capo di imputazione con riguardo all’arco temporale in cui le asserite condotte criminose si sarebbero effettivamente svolte ( cioè 28 giorni spalmati su 10 mesi e non 10 mesi consecutivi), ciò avrebbe importato la configurazione non anche dell’art.159 c.p.m.p. bensì dell’art.161 c.p.m.p. il quale, esigendo il presupposto di procedibilità dell’art.260 c.p.m.p. che nel caso di specie mancava,  avrebbe comportato il pronunciamento di non luogo a procedere per mancanza del medesimo.

Ciò premesso risultava evidente come le condotte contestate al M. D. potessero essergli ascritte  solo operando una valutazione epidermica delle fonti di prova, ciò perché già l’esame della documentazione costituita dai certificati medici, gli esami strumentali relativi alla patologia sofferta e le SIT rese dai medici che tali certificati avevano sottoscritto, consentivano di pervenire, sin da subito ad un giudizio di totale estraneità del militare agli stessi.

Nel dettaglio:

A)In ordine al primo tema difensivo, si eccepiva l’assenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato ex art.159 c.p.m.p. e conseguente assenza del reato ex art.234 c.p.m.p.

La riflessione sul punto parte da una premessa semplicissima: individuare l’elemento oggettivo del reato.

E’ indubbio che nel caso di specie, l’elemento oggettivo della simulazione riguardi le certificazioni mediche prodotte dall’odierno indagato e le patologie in esso attestate. Sicchè il punto di partenza è la genuinità di detti certificati e del loro contenuto: in buona sostanza occorre (ed occorreva) chiedersi se i medici, che tali certificazioni avevano rilasciato, avessero commesso un falso ideologico -tutti, pronto soccorso compreso- per compiacere il militare imputato.

Se così fosse stato ( ipotesi assolutamente improbabile) allora ognuno dei medici che aveva sottoscritto e certificato la malattia del M.D. sarebbe dovuto essere posto sotto inchiesta, in quanto dette certificazioni fanno fede sino a querela di falso. Ovviamente alcuno dei medici certificatori è mai stato indagato per tali certificazioni.

La difesa sosteneva che, in generale, in assenza di un’azione della magistratura inquirente che minasse la genuinità delle certificazioni mediche non sussisteva alcun elemento per asserire che il militare, compreso quello del caso qui trattato, non fosse affetto dalla malattia per la quale aveva presentato certificazione, salvo disconoscere i certificati medici con l’unico mezzo possibile: una querela di falso ovvero una denuncia.

Ed allora poiché l’unico mezzo per indurre in errore l’amministrazione, nel caso di specie, sarebbe consistito nella produzione di certificati attestanti il falso,(ma la cui genuinità, di fatto, non era stata mai giuridicamente minata ) era evidente come l’elemento oggettivo richiesto dal reato fosse completamente assente: i certificati erano genuini e la patologia andava considerata del tutto reale e presente.

Nel caso in commento, tra l’altro, i medici specialisti nella patologia lamentata dal militare, ascoltati su delega del P.M. prima, ed escussi a dibattimento poi,  confermavano di aver redatto personalmente le certificazioni, a seguito di visita medica, riscontrando clinicamente quanto lamentato dal militare.

A supporto di ciò interveniva anche la certificazione di un secondo medico ed il certificato di ricovero in Pronto Soccorso, per una delle giornate in contestazione, sempre per la medesima patologia.

Per mezzo di cosa allora sarebbe stata indotta in errore l’amministrazione?

La circostanza che la patologia fosse del tutto comprovata da plurimi certificati di differenti medici, tra l’altro di struttura sanitaria pubblica, per la cui possibile assenza di genuinità non veniva operato alcun un vaglio giuridico, faceva venir meno anche l’elemento psicologico del reato, cioè la volontà di dissimulare il vero al fine di sottrarsi al servizio militare volontariamente assunto: il militare non si recava a lavoro semplicemente perché non poteva svolgere tutte le mansioni richieste dal servizio, durante la giornata, in ragione della patologia a lui diagnosticata.

Interessante notare che l’Amministrazione, che pure non è tenuta ad attenersi alle certificazioni del lavoratore, nulla eccepiva sulle certificazioni inviate dal militare, pur potendo disporre accertamenti propri per il tramite dell’invio del M.D. presso la C.M.O. competente ai fini di verificarne l’idoneità al servizio ed, implicitamente, la veridicità delle stesse certificazioni.

Sul punto la Giurisprudenza militare è concorde nell’asserire che “non costituisce simulazione di infermità l’esibizione di certificati medici civili, per di più attestanti malattie non aventi il carattere dell’impedimento, certificati ai quali l’amministrazione militare non è affatto tenuta a dar fede” (Corte Mil. App. Sez. dis. Di Napoli, 13 marzo 1987, Ruggiero, Rass. Giustizia Militare 1987,444)

Né, in assenza evidente dell’elemento oggettivo del reato e del conseguente dolo richiesto dalla norma incriminatrice, poteva essere idoneo a supportare l’accusa la circostanza che il militare avesse svolto attività di Consigliere Comunale, ovvero avesse postato foto che lo ritraevano in macchina con la famiglia, ovvero foto di eventi personali sul proprio profilo di facebook (in sentenza sarà possibile leggere dettagliatamente le motivazioni sul punto).

Va ricordato, infatti, che l’esenzione momentanea dal servizio per malattia viene concessa non solo in presenza di una malattia completamente invalidante, ma anche in presenza di una patologia che, con alti e bassi nella propria evoluzione, non consenta di espletare tutte le mansioni richieste, nessuna esclusa.

In buona sostanza, vi sono attività che possono essere svolte, pur in presenza di certificazione medica che attesti una patologia, in quanto tali attività non sono incompatibili con quel determinato profilo sanitario certificato.

Sul punto si cita  sentenza del Tribunale Militare di Verona del 21 settembre 2021, Sez. I n.53/2021 nella quale il Collegio correttamente rileva che “ …occorre chiedersi ai fini della regiudicanda, se le indicazioni diagnostiche e prognostiche in essi contenute possano ritenersi ideologicamente false. Infatti, in riferimento alla contestazione in a) (la simulazione) non bisogna dimenticare che simulare significa fingere: quindi il problema sotteso al processo è quello di appurare se nel periodo contestato la “…” fosse o meno affetta da patologia diagnosticata (..)

Innanzi alla congruità mai contestata della documentazione sanitaria, il T.M. di Verona sancisce che “vi è tra tutta la documentazione sanitaria sopra citata una persuasiva univocità che induce a ritenere che, anche qualora i certificati medici di cui in imputazione non fossero stati rilasciati previa visita diretta (cosa che invece accadeva nel caso di M.D.) (…) questo non costituirebbe la prova certa al di là di ogni ragionevole dubbio, che la “…” abbia simulato una malattia inesistente”.

Specificava altresì il Tribunale che la natura della predetta malattia non comprometteva l’espletarsi di determinate attività come quelle contestata all’imputata ed utilizzate per elaborare il reato di simulazione prima e Truffa poi; ed infatti, l’assoluzione resa nella sentenza in oggetto per il reato di simulazione travolgeva anche il reato di truffa, dichiarato insussistente.

Ribadendo quindi che le attività enucleate a carico del M.D. da parte del Pubblico Ministero, ai fini della configurazione dei reati, non potevano trovare spazio probatorio difettando l’elemento oggettivo e soggettivo del reato di “simulazione di infermità”, si precisava che il militare del caso in commento,  non era mai stato trovato a porre in essere attività incompatibili con la propria patologia, in quanto e come si era già dimostrato in sede di indagini difensive, le attività poste in essere da M.D. erano state o dettate dallo stato di necessità, ovvero coadiuvate da terze persone proprio per le difficoltà motorie dello stesso, ovvero frutto dell’attività di Consigliere Comunale che veniva svolta dopo le 19.00, cioè dopo l’orario nel quale sarebbe potuto passare il medico per la visita fiscale.

Del resto alcuna norma penale, attualmente. impone l’obbligo di permanenza domiciliare in caso di certificato medico per malattia; in realtà trattasi di mera raccomandazione la cui violazione non costituisce reato.

La normativa di riferimento è il Dlgs. 206/2017 il c.d. Decreto Madia che parla di fasce di reperibilità per il malato e di conseguenti possibili sanzioni disciplinari in caso di violazione. Sicchè ogni attività espletata oltre la fascia oraria al massimo potrebbe essere sanzionata disciplinarmente, permanendo esclusivamente la raccomandazione di dare avviso alla propria amministrazione in caso di allontanamento dal domicilio nelle fasce previste e nulla più.

b)In ordine al secondo tema difensivo, trattato in estremo subordine,  si eccepiva l’ errata formulazione del capo di imputazione, con riguardo all’arco temporale della commissione del fatto, che avrebbe importato una diversa ascrizione di reato: configurazione dell’art.161 c.p.m.p. all’uopo dell’art.159 c.p.m.p. e conseguente assenza del presupposto di procedibilità ex art.260 c.p.m.p.

Preliminarmente si chiarisce come, in questa seconda tesi difensiva, si cercava di forzare un po’ la mano, reinterpretando il dato letterale della norma incriminatrice. Tuttavia risultava una tesi perseguibile e giuridicamente sostenibile, sebbene solo in subordine.

L’ascrizione dei due reati a carico del militare veniva spalmata su un arco temporale di 10 mesi continuativi, arco che andava dal primo certificato medico attenzionato, all’ultimo, cioè dal 30 settembre 2019 al 17 luglio 2020, tanto è che al militare veniva richiesta la restituzione di una somma pari a circa 10 mesi di stipendio.

A tale conclusione il P.M. perveniva prendendo il primo e l’ultimo dei certificati presentati.

Tuttavia i giorni di attività incompatibili con la malattia. che emergevano  proprio a seguito di indagine, risultavano essere solo 28. A tale calcolo la difesa giungeva esaminando in proprio tutti i tabulati telefonici presenti, le certificazioni mediche presenti in atti, i ricoveri presso il Pronto Soccorso, i consigli Comunali in cui veniva dichiarata la presenza del militare e ricostruendo quelli che erano stati i presunti spostamenti del M.D. delle celle telefoniche rilevate per l’utenza dell’imputato.

Considerato pertanto che l’arco temporale risultava essere di soli 28 giorni in 10 mesi, cioè meno di 3 giorni al mese dovendo farne una media, nel caso di specie difettava quella ampiezza di arco temporale richiesta dall’articolo 159 c.p.m.p. per la configurazione dello stesso: risultavano infatti solo pochi giorni (tra l’altro giustificati) su 10 mesi.

Tale circostanza poteva far sostenere la richiesta di derubricazione del reato, facendolo passare dal reato ex art. 159 c.p.m.p. al più lieve 161 c.p.m.p.

Sul punto si cita Cassazione, Sezione 1 penale, Sentenza n. 37213/2014, chiamata a pronunciarsi su appello del Procuratore della Corte Militare di Appello di Roma, che proponeva impugnazione avverso tale decisione del Tribunale Militare di Verona il quale “con sentenza deliberata il 24 settembre 2013, dichiarava di non doversi procedere nei confronti del (OMISSIS) in ordine al delitto di “simulazione di infermita’ al fine di sottrarsi all’adempimento di alcuno dei doveri inerenti al servizio militare (articolo 161 c.p.m.p.), cosi’ modificata l’originaria qualificazione giuridica del fatto come “simulazione di infermita’ continuata” (articolo 159c.p.m.p.), perche’ l’azione penale non doveva essere iniziata, per mancanza della richiesta di procedimento.

Secondo i giudici di appello, in estrema sintesi, l’avere il (OMISSIS) simulato un’infermita’ inesistente (almeno secondo l’accusa), mediante presentazione di certificazione medica consegnata al comando di appartenenza, non realizzava il reato di simulazione di infermita’ previsto dall’articolo 159 c.p.m.p., prima parte che prevede che la condotta fraudolenta del militare sia commessa al fine di sottrarsi all’obbligo del servizio militare, finalita’ che di fatto non era stataperseguita dall’imputato.

La condotta simulatoria addebitata al (OMISSIS) era piu’ correttamente riconducibile alla fattispecie criminosa di cui all’articolo 161 c.p.m.p., per la cui realizzazione l’agente è mosso dall’intenzione di “sfuggire alla contingente prestazione di un particolare servizio (nello specifico l’attivita’ di pattugliamento da svolgere la notte tra il sabato e la domenica) e non gia’ la prestazione del servizio nella sua globalita’”.

Il ricorso del Procuratore di Corte Militare di Appello veniva pertanto rigettato con la seguente motivazione:

“La decisione impugnata si e’ infatti correttamente uniformata alle linee interpretative che questa Corte ha fissato in alcuni suoi arresti. In particolare con sentenza Sez. 1, n. 458 del 26/10/1993 – dep. 19/01/1994, P.M. in proc. Forte, Rv. 196315, e’ stato affermato che in tema di reati contro il servizio militare, nell’articolo 159 c.p.m.p. – che punisce la simulazione di infermita’ – sono delineate due figure delittuose: per quanto concerne la prima parte di detto articolo, la simulazione d’infermita’ e’ diretta all’esenzione totale dal servizio, sicche’ trattasi di reato a dolo specifico per il quale l’azione del reo deve intenzionalmente dirigersi a tale fine e non ad una temporanea sottrazione ai doveri connessi alle mansioni svolte dal militare. Mentre, per quanto riguarda la seconda parte del medesimo articolo, la simulazione e’ funzionale alla sottrazione a particolare servizio di corpo, arma o specialita’, di guisa che il dolo specifico dell’agente e’ diretto alla temporanea sottrazione all’obbligo del servizio militare per evitare i rischio gli inconvenienti connessi all’espletamento di mansioni particolari d’arma o di specialita’ di corpo (servizio sui sommergibili, conduzione di autovetture e non d’autocarri, servizio in speciali reparti dell’aeronautica, incursori aviotrasportati e non autotrasportati “et similia”).

In entrambe le ipotesi, peraltro, si tratta di simulazione diretta a sottrarsi a servizi, temporaneamente o definitivamente, inerenti allo “status” ricoperto all’interno dell’organizzazione militare, intendendosi per servizi le funzioni oggettive svolte da detta organizzazione a mezzo dei singoli militari.

Allorquando invece l’agente e’ mosso dall’intenzione di sottrarsi, mediante simulazione di infermita’, all’adempimento di alcuno dei doveri inerenti al proprio “status” di militare, trattasi di condotta costitutiva della diversa fattispecie criminosa di cui all’articolo 161 c.p.m.p..

Tale lezione interpretativa, peraltro, ha trovato sostanziale conferma, al di la’ dell’esito conclusivo delle specifiche vicende processuali, anche nella successiva giurisprudenza di questa Corte in argomento (Sez. 1, n. 5272 del 25/09/2000 – dep. 29/11/2000, Sisto, Rv. 217292)”.

Qualora si fosse ritenuto credibile il comportamento simulatorio del M.D., anche in considerazione della circostanza che lo stesso avesse ripreso il servizio più volte nell’arco dei dieci mesi contestati (nel mese di Dicembre 2019 per poi essere mandato in convalescenza dalla stessa infermeria del Comando per circa 20 gg del mese di Dicembre 2019), la restrizione della condotta a solo 28 giorni, su dieci mesi, poteva costituire la base per affermare che l’arco temporale così limitato non poteva bastare a configurare quell’intento di sottrarsi, globalmente, al servizio assunto volontariamente richiesto dal reato di “Simulazione di infermità”.

Più correttamente, sosteneva la difesa, sarebbe stato inquadrare l’ipotesi nell’alveo dell’art.161 c.p.m.p proprio in ragione dei pochi giorni spalmati nell’arco di 10 mesi.

Per tale ipotesi di reato sarebbe stato necessario il presupposto di procedibilità di cui all’art.260 c.p.m.p., che nel caso di specie era mancante, e ciò avrebbe comportato la declaratoria di impossibilità a cominciare l’azione penale.

Logica conclusione, previa rielaborazione della ipotesi di reato nella fattispecie di cui all’art.161 c.p.m.p., sarebbe stato il pronunziamento di non luogo a procedere per mancanza del presupposto di procedibilità.

A conclusione del dibattimento, passata la prima delle due linee difensive, la Prima Sez. Collegio del Tribunale Militare di Napoli , Sent. N. 43 del 13 settembre 2023, (Giudice estensore Dott.ssa Zoppoli, Presidente Dott. Verrone) nel pronunciare sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste” motivava con una serie di passaggi interessanti, agevolmente rintracciabili in sentenza  citata cui si rimanda per brevità.

Tuttavia se ne riportano un paio, in questa sede, a fondamento dell’importanza dirimente che assumono i certificati medici la cui genuinità non venga mai “ufficialmente” messa in dubbio con una inchiesta ad hoc.

Così si legge in sentenza: “Invero dalle dichiarazioni dei sanitari escussi e dalla documentazione medica richiamata, emerge con certezza che l’imputato, nel periodo in contestazione, era affetto dalla patologia ortopedica attestata dai certificati e rilevata, in termini obiettivi, dalle indagini strumentali effettuate nel periodo di riposo medico.

In ordine alla effettiva sussistenza della malattia assumono particolare rilevanza i positivi riscontri costituiti negli stessi esami strumentali svolti che mostrano evidenze oggettive della malattia, come tali non suscettibili di valutazione, nonché la concordanza delle valutazioni diagnostiche espresse dai diversi medici che ebbero a visitare il paziente, alcuni dei quali in possesso anche delle relative competenze specialistiche”.

Assodata la validità delle certificazioni mediche , porre in essere un certo tipo di attività in costanza di malattia non è sufficiente a comprovare la commissione dei reati contestati.

Sul punto sempre la medesima sentenza così motiva: “Quanto al successivo periodo di assenza , a fronte di esami diagnostici e strumentali che riconoscono la patologia riportata nei certificati acquisiti, non sono emersi solidi ed univoci elementi atti a dimostrare la simulazione della stessa, non potendo considerarsi decisivi in tal senso né gli spostamenti rilevati dai controlli SDI e dai tabulati telefonici, pure non contestati dall’imputato, né l’assenza o la mancata effettuazione di due visite fiscali.

Sotto il primo profilo deve rilevarsi che, anche a prescindere dalla relativa affidabilità della localizzazione basata sulle celle telefoniche, che peraltro localizza l’apparecchio e non la persona, gli episodi di allontanamento dalla abitazione e di spostamento dal comune di residenza ipotizzati, sono in numero esiguo (14) in relazione all’ampio arco temporale considerato (…)”.

Gli elementi a carico non venivano considerati idonei alla dimostrazione della simulazione di infermità, facendo pertanto decadere anche il correlato reato di truffa.

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Sentenza tribunale militare di napoli sez. 1 N 43 del 13 settembre 2023 (dep 13 ottobre 2023)

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Avv. Floriana De Donno, Penalista del Foro di Lecce (specializzata in Diritto Militare Penale ed Amministrativo)

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