Vi sarà certamente accaduto, spulciando tra gli atti processuali, di imbattervi in una specie di modulo parzialmente prestampato che viene compilato come un questionario ossia apponendo una crocetta nella casella prescelta.

Forse non ve ne sarete accorti subito, ma avete incontrato un O.E.I..

L’acronimo sta per ordine europeo di indagine e indica un innovativo strumento che consente al magistrato nazionale di commissionare l’effettuazione di atti di indagine o l’acquisizione di prove allorquando codeste attività vanno compiute all’estero.

Il procedimento acquisitivo, che ha soppiantato la rogatoria, è sin troppo agile posto che qualsiasi magistrato, barrando l’apposita casella, può liberamente richiedere all’omologo straniero di sequestrare, interrogare o intercettare naturalmente a beneficio di un procedimento avviato nel territorio dello Stato.

Il magistrato nazionale, impiegando con le descritte modalità il menzionato strumento, può anche richiedere la semplice trasmissione di atti di indagine formati all’estero nell’ambito di un procedimento penale colà avviato e, anche, di prove già assunte nel medesimo.

Fin qui nulla di strano perché la tutela della collettività e dell’ordine pubblico richiede che le indagini vengano effettuate in modo celere ed efficace anche fuori dal territorio dello Stato.

Sennonché si pone un problema ovvero quello di contemperare l’esigenza dianzi indicata con il diritto di difesa e quella ulteriore di garantire il rispetto delle altre libertà costituzionalmente previste.

In particolare, ci si domanda cosa può (e deve) fare il difensore che si trova al cospetto di una moltitudine di atti procedimentali acquisiti all’estero e trasmessi (dall’estero) per effetto di un O.E.I..

La superfetazione del fascicolo afferente il procedimento interno è dovuta allo sfrenato attivismo del magistrato straniero che ha ricevuto l’ordine di indagine e che lo esegue secondo la legge vigente nello Stato di appartenenza.

Invero, il magistrato nazionale indaga ordinando all’omologo straniero di indagare.

Il magistrato straniero ha indagato oppure ha assunto prove secondo le leggi del suo Stato e ha trasmesso i relativi atti, che ne documentano gli esiti, all’autorità giudiziaria italiana.

La costruzione normativa sembra lineare, il procedimento appare perfetto.

Però, quel che manca è la previsione di una sanzione processuale afferente tale atto e di un procedimento incidentale per richiederne l’applicazione.

Il rilievo non è di poco momento poiché il silenzio normativo sul punto oltre a ingenerare legittimi dubbi di carattere interpretativo sembra rendere immune l’O.E.I. da qualsiasi censura omettendo di prevederne l’impugnazione.

Taluni giudici interni hanno, addirittura, affermato che l’O.E.I. va impugnato all’estero posto che, colà, trovasi l’autorità giudiziaria chiamata a darvi esecuzione.

Ignoto appare ai più dinanzi a quale giudice andrebbe proposto il gravame e, soprattutto, come potrebbe il difensore averne conoscenza anticipata ovvero essere notiziato dell’emissione dell’ordine di indagine onde poterlo impugnare ancor prima della sua esecuzione.

Il dubbio appare legittimo considerata la segretezza che, per legge, circonda gli atti del procedimento e ancor più quelli delle indagini prima della loro conclusione.

Di tal che, l’impugnazione preventiva dell’OE.I. dinnanzi al giudice straniero è procedimento attuabile per qualche bancarottiere nostrano che, per avventura, dovesse rivestire lo status di indagato non anche per colui che, accusato di narcotraffico, rischia di avere conoscenza dell’ordine solo dopo l’esecuzione del provvedimento coercitivo magari emesso sulla base degli atti acquisiti e trasmessi per effetto del medesimo.

Pertanto, per molti indagati l’impugnazione preventiva dall’O.E.I., intesa a paralizzarne l’esecuzione, è ipotesi difficilmente praticabile attesa l’obiettiva impossibilità di averne preventiva conoscenza.

Ne consegue che tali indagati non possono presentarsi al cospetto del giudice interno esibendo il provvedimento favorevole emesso dall’omologo straniero che ha deciso sulla impugnazione preventiva dell’O.E.I.

L’assenza di tale impugnazione preventiva dinanzi l’autorità giudiziaria straniera renderebbe intangibile l’O.E.I. davanti al giudice interno che potrebbe, conseguentemente, disinteressarsi delle anomalie del medesimo.

La situazione testé descritta sarebbe evidentemente pregiudizievole per tutti quegli indagati che non avendo avuto conoscenza dell’ordine di indagine non hanno potuto eccepirne l’illegittimità prima della sua esecuzione dinanzi alla autorità giudiziaria straniera chiamata a compiere gli atti richiesti.

La Corte di Cassazione, recentemente accortasi di tale anomalia, ha censurato il riferito orientamento del giudice di merito nazionale imponendogli di analizzare e decidere le eccezioni rassegnate dalla difesa e concernenti l’illegittimità dell’O.E.I. nel caso in cui esso non abbia già costituito oggetto di impugnazione preventiva.

Di tal che, l’incolpato che non abbia impugnato l’O.E.I. dinanzi al giudice straniero può, adesso, farlo dinanzi a quello italiano e questi non può esimersi dal compito di controllare la legittimità dell’atto.

Un ulteriore problema che, evidentemente, si pone è quello concernente la individuazione dell’organo competente a emettere l’O.E.I. ossia a impartire l’ordine ivi contenuto.

La soluzione prescelta tiene conto della fase in cui si trova il procedimento.

Secondo tale impostazione il P.M. è competente a emettere l’O.E.I. durante la fase investigativa, mentre detta competenza spetta al giudice una volta concluse le indagini preliminari.

Quindi, il magistrato inquirente impartisce l’ordine nella fase procedimentale, mentre il giudice durante quella processuale.

Il riferito criterio di ripartizione non tiene conto della importante funzione che l’ordinamento processuale assegna al giudice anche durante la fase delle indagini preliminari sostanzialmente individuandolo quale garante dei diritti dell’indagato.

Peraltro, tale funzione non viene esercitata dal giudice unicamente nell’interesse della persona sottoposta alle indagini atteso che tale organo garantisce, anche in questa fase, il rispetto della legge processuale e, di conseguenza, la regolarità dell’intero procedimento.

Inoltre, devesi evidenziare che durante la fase investigativa vengono compiute talune attività che certamente incidono su interessi costituzionalmente protetti determinandone la compressione.

Tale fenomeno, che può essere unicamente giustificato dall’esigenza di tutelare la collettività e garantire l’ordine pubblico, può aver luogo solo in presenza di un provvedimento motivato emesso dalla autorità giudiziaria.

In alcuni casi, tale provvedimento può essere emesso dal pubblico ministero, ma ve ne sono altri in cui solo il giudice può provvedere.

È il caso delle “intercettazioni” nelle varie fogge che esse, oramai, assumono (telefoniche, ambientali, telematiche).

Giammai codeste operazioni ossia quelle intercettive potrebbero effettuarsi, a tempo indeterminato, senza un provvedimento che le disponga, che le convalidi o che ne proroghi la durata e che sia stato ritualmente emesso da un giudice deputato a controllarne la legittimità.

Tale rappresentazione, seppur riassuntiva, consente di comprendere l’anomalia di un ordine di indagine a mezzo del quale il solo pubblico ministero decide di effettuare “intercettazioni” demandandone il compito alla autorità giudiziaria straniera unicamente chiamata a darvi esecuzione.

Nel caso appena considerato la compressione dell’interesse costituzionalmente protetto unicamente avviene per volontà del magistrato inquirente in assenza di qualsiasi controllo effettuato dal giudice.

Si potrebbe obiettare che la normativa è diversa ovvero che il necessitato ricorso all’ordine di indagine consente di derogare rispetto alle previsioni del diritto interno.

L’ipotetica rappresentazione, testé esposta, non convince  atteso che l’O.E.I., seppure indirizzato alla autorità giudiziaria straniera, è, comunque, un atto procedimentale interno emesso dal magistrato nazionale e incluso nel fascicolo afferente un procedimento avviato nel territorio dello Stato.

Peraltro, la dimensione internazionale dell’atto non giustifica la lesione di un interesse costituzionalmente rilevante né la violazione dei principi generali dell’ordinamento interno.

Inoltre, devesi considerare che gli elementi, eventualmente acquisiti attraverso operazioni di intercettazioni delle comunicazioni eseguite sulla base di un ordine emesso dal solo P.M., sono destinati a essere utilizzati quali prove in un processo penale che viene celebrato nel territorio dello Stato.

Di tal che, l’organo decidente si troverebbe a utilizzare, nel medesimo procedimento, risultati intercettivi ritualmente acquisiti a mezzo di un provvedimento motivato emesso dal giudice unitamente ad altri elementi, pure, promananti da “intercettazioni” sostanzialmente disposte dal solo P.M. secondo modalità che non sono previste dal diritto interno.

La analitica trattazione del tema induce ad affermare che il criterio di attribuzione della competenza ad omettere l’O.E.I. non può essere unicamente individuato avendo riguardo alla fase in cui si trova il procedimento, ma deve necessariamente tener conto della tipologia dell’atto da compiere e della natura degli interessi sui quali esso è destinato a incidere.

Pertanto, l’ordine di indagine non può costituire uno strumento che viene impiegato dal magistrato inquirente per eludere il diritto interno e per sottrarsi al controllo del giudice nei casi in cui esso è normativamente previsto.

L’ordine dato ad altra autorità giudiziaria (e il fatto che sia essa a compiere gli atti richiesti secondo la legge del luogo) non giustifica la violazione della disciplina interna atteso che l’intera attività è funzionale al compimento di un accertamento penale da effettuarsi nel territorio dello Stato.

Inoltre, non appare giuridicamente corretto confondere il compimento dell’atto richiesto con quello (ossia con l’atto!) che ne dispone l’effettuazione.

Invero, l’atto da ultimo menzionato viene emesso dal giudice interno ed è, quindi, compiuto nel territorio dello Stato ed attiene ad un procedimento che è, ivi, pendente.

Pertanto, con riferimento a tale atto, non vi è alcun elemento di carattere logico – giuridico che, eventualmente, giustifica la violazione della disciplina interna.

Di tal che, l’O.E.I. (in ossequio alla nostra civiltà giuridica) dovrebbe perdere le caratteristiche del “questionario” compilato dal P.M. di turno e divenire una sorta di “atto – contenitore” al cui interno è dato rinvenire provvedimenti motivati, indispensabili per comprimere le libertà costituzionalmente previste, a mezzo dei quali vengono commissionati alla autorità giudiziaria straniera i singoli atti onde procedere alla esecuzione dei medesimi.

_________________________________________________

Avv. Antonio Russo (penalista foro di Locri)

Utilizzando il Form acconsenti al trattamento dei dati personali ai sensi della legge n. 196/2003 e successive modifiche Regolamento UE 2016/679. Per ulteriori informazioni sulla nostra modalità di gestione della privacy, clicca qui

    Iscriviti alla Newsletter della Camera Penale di Locri. Per rimanere sempre aggiornato.

    La nostra Newsletter invierà solo articoli inerenti il Diritto e tutte le novità del settore. Non invieremo pubblicità. Leggi la nostra Informativa sulla privacy per avere maggiori informazioni.

    Iscrivendoti alla nostra Newsletter  acconsenti al trattamento dei dati personali ai sensi della legge n. 196/2003 e successive modifiche Regolamento UE 2016/679. Per ulteriori informazioni, clicca qui

    contatti telefonici

    3314738874

    seguici sui social