Come abbiamo avuto modo di rivendicare immediatamente, l’ormai famigerato emendamento Costa sul divieto di pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare può considerarsi figlio di una specifica proposta di “codice dell’informazione giudiziaria” elaborata dall’osservatorio informazione giudiziaria media e processo penale e depositata dall’Unione delle Camere Penali Italiane in data 28 settembre 2021 in sede di audizione innanzi alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati.

All’indomani dell’approvazione dell’emendamento, avevamo risposto anticipatamente ad alcune critiche che sarebbero piovute a carico di quello che consideriamo un passo importantissimo verso il ripristino degli equilibri che sovrintendono alla celebrazione del giusto processo.

In questi giorni, sui media se ne sono aggiunte altre di cui due meritano un commento.

Glauco Giostra, in una recente intervista su “Domani” ha definito l’emendamento Costa “un pasticcio giuridico inutile e inapplicabile, mettendo in luce la possibilità di una pubblicazione parziale dell’ordinanza o per estratto, stigmatizzando la tendenza a coprire con le paludate vesti del garantismo insistenti proposte di un segreto che rappresenta il più potente scudo della tirannia”.

Per lui ci vorrebbe una “crescita culturale e democratica di chi informa e di chi vuole essere informato, al fine di evitare che la conoscenza corrisponda ad un morboso interesse del pubblico”.

Circa sulla stessa linea si muove il Gip di Milano, Dott. Roberto Crepaldi che, ospitato dal nuovo settimanale legato al “Riformista”, “PQM”, dopo una rassegnata affermazione di premessa sul fatto che ormai il processo di piazza sfugge alle regole processuali, invoca “un mutamento di paradigma che stimoli lo spirito critico del paese ed elimini un’ormai radicata cultura del sospetto”.

Insomma, contro il dato culturale non servirebbero emendamenti come quello di Costa, che contengono divieti ma esempi di pubblici ministeri giudici e difensori scrupolosi riservati e prudenti nei giudizi perché consapevoli della provvisorietà delle loro conclusioni, di cronisti ed intellettuali critici anche sull’agire della magistratura, attenti ad individuare possibili abusi.

Credo personalmente che gli appelli che concludono questi pregiati interventi siano l’unica parte condivisibile, proprio come lo sono, purtroppo, la gran parte delle utopie.

Dopo quattro anni di monitoraggio continuo sulle innumerevoli ed ingravescenti distorsioni del processo mediatico, mi chiedo quando mai e soprattutto come sarà possibile, attraverso (quali?)  messaggi culturali, eliminare dall’animo umano l’istinto del pettegolezzo, il richiamo irresistibile della bad news, l’attrazione fatale dello scandalo?

Da sempre, la gente, per insopprimibili esigenze di socialità esce dal guscio dell’indifferenza e partecipa a discussioni sconfinando in un argomento che non conosce, a maggior ragione oggi che con i nuovi strumenti di comunicazione e con la rete, si può scrivere tutto, su tutto e in qualunque modo.

La democrazia di parola oggi è in astratto semi-assoluta, col risultato che purtroppo la mancanza di qualità e cultura abbassino inesorabilmente il livello dell’informazione circolante, che a questo punto si diffonde al di là della qualità di chi scrive o dell’autorevolezza della fonte, per l’accento marcato sul dualismo, sul sensazionalismo, o come spesso accade, su Fake news grati alla maggior parte dell’utenza.

Quale medicina omeopatica potrebbe essere in grado di curare la sindrome cronica popolare su cui da anni si basa lo share e l’alto gradimento dei principali utenti della cronaca giudiziaria?

Si era detto della necessità di un codice deontologico comune agli operatori del settore, ma che ce ne faremmo di una direttiva comune, priva di sanzioni efficaci, che non si accompagni al ripristino delle regole che hanno ispirato il giusto processo?

Il punto, a mio parere, sta tutto qui.

Troppo spesso ci dimentichiamo che Il nostro codice accusatorio, originariamente, prevedeva implicitamente il divieto di divulgare le ordinanze di custodia cautelare proprio perché sono atti di matrice preventiva, che contengono atti della sola accusa.

La riforma Orlando, incidendo sull’art. 114 del codice di procedura penale ha di fatto sdoganato la consuetudine di un illecito mai seriamente represso, primo figlio di quel mercato nero delle notizie che qualcuno ha pensato di reprimere liberalizzandolo, facendo addirittura rientrare, con un’interpretazione estensiva dell’art.116  cpp, tra i soggetti legittimati a chiedere copia degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero i cronisti, quali diretti ed unici rappresentanti della pubblica opinione.

Ebbene questo non è il modo di veicolare la verità storica perché si traduce nel diffondere, a livello massivo e capillare, le uniformi convinzioni di una sola parte, nell’unica fase tipicamente inquisitoria del procedimento penale.

Un’ipotesi spesso errata rischia di diventare così, per tutti e dovunque, la più credibile e devastante delle bugie, il che è ben peggio che affrontare le distorsioni derivanti dal mercato nero delle notizie o certe congetture (fake news) da scoop giornalistico.

Affronta bene il tema, sotto il profilo statistico, Ermes Antonucci su “il Foglio”, monitorando 365 giorni di gogna giudiziaria e contando, nel 2023, ben 21 inchieste eclatanti oggetto di arresti preventivi e “sputtanamento mediatico” che si sono conclusi con un crollo giudiziario.

A questi casi si aggiungano quelli che riguardano i presunti innocenti di tutti i giorni, i cui nomi ed effigi popolano le cronache giudiziarie locali e si avrà corretta idea del fenomeno che si vuol contrastare con questo emendamento, così mal definito, “bavaglio”.

Sulla bilancia, accanto al piatto occupato dalla libertà di stampa ed informazione, c’è quello senz’altro più pesante in cui, accanto alla presunzione di innocenza, siedono a pieno titolo, la terzietà del giudice, l’inviolabilità della difesa, la riservatezza delle informazioni d’accusa elevate a carico del cittadino, insomma, tutte le declinazioni dell’art. 111 della costituzione.

E c’è la dignità dell’uomo, suo malgrado, assoggettato ad un’indagine che, proprio in quanto tale, deve essere vestita nell’intimo delle più solide garanzie a difesa dell’immagine e della reputazione di chi in futuro potrebbe essere assolto.

Proprio Glauco Giostra in un suo bellissimo scritto intitolato “il processo mediatico come specchio deformante della giustizia” affermava che: “L’informazione sulla giustizia penale deve tendenzialmente riguardare, l’intero procedimento, ferma restando la necessità di salvaguardare la riservatezza della fase investigativa, poiché non avrebbe senso pregiudicare l’accertamento dei fatti per consentire il controllo dell’opinione pubblica sul modo in cui viene svolto”.

L’ho riletto con grande piacere, lo stesso che si prova quando si ascolta il disco più bello del proprio cantante preferito.

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(Avv. Luca Andrea Brezigar – Penalista Foro di Modena) – co-responsabile osservatorio informazione giudiziaria media e processo penale

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