Corte Suprema di Cassazione: già la denominazione ufficiale, che si trova in epigrafe a tutte le sentenze, mette in luce l’ambiguità della crisi fra i due modelli che storicamente contraddistinguono le giurisdizioni superiori. La Corte Suprema è il giudice di terza istanza che persegue la giustizia della decisione e conosce il merito della controversia, un organo di giustizia che non si interessa della nomofilachia. La Cassazione, invece, nasce come il giudice posto a tutela del potere legislativo, il garante dell’esatta osservanza della legge di fronte alle esondazioni interpretative del potere giudiziario. La Cassazione, dunque, nel suo modello puro è il giudice di stretta legittimità.

art. pubblicato su PQM (del 1 giugno 2024) – IL RIFORMISTA

Dal vertice ambiguo alla fabbrica delle inammissibilità

Le ambiguità di fondo sul ruolo della Cassazione sono la causa dell’assedio insostenibile di ricorsi

Non si occupa del fatto e della giustizia della decisione, ma garantisce l’uniformità della giurisprudenza e la sua coerenza con la volontà del legislatore, ossia la nomofilachia. Il nostro vertice ambiguo, secondo la felice espressione di Taruffo, è una Cassazione che, a seconda dei casi e delle opportunità, non disdegna il ruolo di Corte Suprema, come dimostra l’impiego di un modello di sentenza ampia- mente argomentativo, discorsivo, incentrato sul fatto e certamente lontano dalla frase unique dell’archetipo francese della Cassation. Le incursioni sul terreno del fatto, di solito oggetto di severi moniti rivolti agli avvocati, sono sempre più frequenti e giustificate da quella straordinaria valvola di sfogo rappresentata dal vizio di motivazione. L’idea di fondo è semplice, il vizio di motivazione è una violazione di legge, per la precisione del modello legale di sentenza che comprende l’argomentazione logica e non contraddittoria, ma al tempo stesso rappresenta la trasposizione del fatto nella sentenza. Il controllo su questa trasposizione permette al giudice di legittimità di occuparsi, sia pure in via mediata, del fatto. Come uno sperimentato alchimista, la Cassazione riesce a trasformare il fatto in diritto anche attraverso la strada della sua qualificazione giuridica, un’operazione che si pone a mezza strada fra la terza istanza e il legislatore.

Nemmeno sulle questioni di pura interpretazione della legge la Cassazione rimane fedele al modello originario di garante della testuale volontà del sovrano (oggi il Popolo attraverso il Parlamento), avendo da tempo accolto un’ermeneutica più legata allo scopo che al testo della disposizione. Dunque, anche il modello puro rivolto alla nomofilachia è messo in crisi dal ruolo di judge made law che la Corte si è ritagliata nel tempo. Le ambiguità di fondo sul ruolo della Cassazione sono certamente la causa efficiente dell’assedio di un numero asseritamente insostenibile di ricorsi (circa 55.000 l’anno), situazione che ha condizionato la qualità della risposta giurisdizionale attraverso il diffondersi della cultura dell’inammissibilità malintesa quale sub-cultura del non rispondere alle istanze di giustizia dei ricorrenti.

Il giudizio in Cassazione è così divenuto una partita a scacchi in cui, a ogni mossa del ricorrente, il giudice risponde con una contromossa volta a neutralizzare la pretesa di una decisione che “renda giustizia” nel caso singolo. Alle inammissibilità formali (mancanza di legittimazione, motivi non consentiti, impugnazione fuori termine) si sono indebita- mente aggiunte quelle sostanziali, legate al merito della impugna- zione (manifesta infondatezza, decisività, prova di resistenza) e quelle atipiche, come l’autosufficienza del ricorso mediante l’onere di allegazione degli atti che ci ha esposto alla condanna (sia pure nel civile) da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Se la medicina difensiva porta a un eccessivo impiego di tutti gli strumenti diagnostici per prevenire l’errore, l’autodifesa della Cassazione conduce, al contrario, a rifuggire da ogni approfondimento cognitivo, assumendosi il rischio dell’errore giudiziario in favore del fin de non recevoir rappresentato dalla inammissibilità.

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Oliviero Mazza – Professore ordinario di Procedura Penale

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