Art. 572 comma 2 cp: Violenza assistita e maltrattamento in famiglia in danno di minore, problematiche in tema di esecuzione e compatibilità con le pene sostitutive
Il percorso di approfondimento sulla violenza “di genere” riprende dove si era interrotto il precedente numero della rubrica, dai maltrattamenti in famiglia aggravati, di cui al secondo comma dell’art. 572 c.p.
Questa attenzione nei confronti della fattispecie di maltrattamenti in famiglia trova la sua radice sia nella rilevanza che ha sotto un profilo di allarme sociale – che ha portato alle modifiche normative che sono state esaminate in precedenza e che hanno condotto anche ad un inasprimento della pena edittale- sia sotto il profilo delle conseguenze, anche su un piano processuale, direttamente collegate a tale delitto, soprattutto quando contestato nella forma aggravata del secondo comma.

Come illustrato nel precedente numero della rubrica, tale aggravante – introdotta con l’approvazione del c.d. “Codice Rosso” (Legge 19 luglio 2019, n. 69 recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”) – prevede che: – “la pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi” specificando, poi, al sesto comma (sempre introdotto dalla riforma del 2019) che “il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato”.

Si tratta di un’aggravante estremamente rilevante sotto un profilo non solo sostanziale – esaminato in precedenza – ma anche processuale, in quanto:
– è una circostanza ad effetto speciale, che comporta un aumento della pena superiore ad un terzo;
–rappresenta un reato ostativo ai sensi dell’art. 656 comma 9, lett. a) c.p.p. e, di conseguenza, nel caso in cui non dovesse ritenersi concedibile la sospensione condizionale della pena, la stessa verrà immediatamente eseguita al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, senza la possibilità di richiedere una pena alternativa alla detenzione.
In ordine all’ostatività del reato nella sua forma aggravata, si è, in primis, posto un problema di carattere esecutivo con riferimento alla possibile continuità normativa con la precedente aggravante comune, oggi abrogata, dettata dall’art. 61 n. 11-quinquies c.p..
Prima dell’entrata in vigore del novellato comma 2 dell’art. 572 c.p., il D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito con modificazioni dalla L. 15 ottobre 2013, n. 119, aveva introdotto una circostanza aggravante comune all’art. 61 n. 11-quinquies c.p., riguardante i casi di delitti non colposi contro la vita, l’incolumità individuale, la libertà personale e di maltrattamenti in famiglia commessi in presenza, o in danno di un minore di anni diciotto.
Trattandosi di una circostanza aggravante comune, che prevede un aumento di pena minore e che, all’epoca dei fatti, non comportava profili di ostatività, si è posta la problematica attinente all’esecuzione delle sentenze di condanna per il delitto di cui all’art. 572 c.p. aggravato ai sensi dell’art. 61 n. 11-quinquies c.p., diventate esecutive in seguito alla novella dell’art. 572 comma 2 c.p. ad opera del Codice Rosso.
In particolare, la problematica interpretativa – tutt’altro che meramente teorica – riguarda il possibile rapporto di continuità normativa tra le due aggravanti e la possibilità di ritenere illegittima la sospensione dell’esecuzione della pena, anche per le condanne ex artt. 61 n. 11-quinques e 572 c.p..
In relazione a tali profili, si è formato un contrasto giurisprudenziale che, attualmente, vede prevalere un orientamento maggioritario più garantista, in attesa che la questione venga auspicabilmente sottoposta alle Sezioni Unite.
Secondo un primo orientamento, vi è piena continuità normativa tra le due aggravanti e, di conseguenza, “in tema di sospensione dell’ordine di esecuzione di pene detentive, la condanna per il reato di maltrattamenti previsto dall’art. 572, comma secondo, c.p., costituisce causa ostativa alla sospensione dell’ordine di esecuzione, nonostante l’abrogazione di detta norma, operata dall’art. 1, comma 1-bis, del d.l. 14 agosto 2013, n.93, convertito nella legge 15 ottobre 2013, n. 119, attesa la natura “mobile” del rinvio contenuto nell’art. 656, comma 9, c.p.p. all’art. 572, comma secondo, c.p. e la continuità normativa tra l’ipotesi formalmente abrogata e l’analoga previsione di cui agli artt. 572, comma primo e 61, comma primo, n.11-quinquies, c.p.” (Cass. Sez. 1^ Pen. – sentenza 05-23/11/2020, n. 32727).
Secondo altro orientamento, sempre interno alla I sezione penale, invece, la modifica dell’articolo 572 c.p. e l’espunzione del collegamento tra l’articolo 61 c.p., comma 1, n. 11-quinquies, e l’indicato articolo 572 c.p., commesso in presenza o in danno di minori, ha realizzato una modifica sostanziale, anche in funzione della definizione del rapporto con l’articolo 656 c.p.p., comma 9.
Secondo la Corte, infatti, “Lo statuto, delineatosi per effetto della successione normativa, in questi casi, se non applicato ai soli fatti di reato posteriori alla sua entrata in vigore, determinerebbe un trattamento che si risolve in un aliud rispetto a quanto legalmente stabilito, in sede processuale, al momento della violazione, con frustrazione delle garanzie che stanno alla base del divieto di applicazione retroattiva delle leggi che, comunque, aggravano la pena prevista per il reato.

La trasformazione di maggiore afflittività sussiste proprio allorquando il condannato può essere assoggettato a un trattamento “più severo” rispetto a quello che era prevedibile nel momento di commissione del reato. Ciò anche avuto riguardo, sia pur, in termini probabilistici, all’accesso a modalità extramurarie di esecuzione della sanzione, quali quelle previste dalle misure alternative alla detenzione” (Cass. Pen. Sez. I, Sent. 3 dicembre 2020, n. 34492).
Tra le due interpretazioni di segno opposto, quello attualmente maggioritario prevede una via “mediana” che riconosce solo parzialmente la continuità normativa tra le due aggravanti, scegliendo un approccio più garantista rispetto al primo orientamento.
In particolare, sempre la I Sezione della Corte di Cassazione, ha sancito che “la continuità normativa tra l’originaria forma aggravata del reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p., comma 2, e quella introdotta con l’art. 61 c.p., n. 11 quinquies deve intendersi limitata alle condotte commesse in danno dei minori di anni 14, unico terreno comune ad entrambe le aggravanti. Invece, non rientrano nell’originaria previsione né possono ritenersi richiamate in forma “mobile” o formale, ai fini di cui all’art. 656 c.p.p., comma 9, lett. a), le ulteriori forme di aggravamento della condotta introdotte con l’art. 61 c.p. n. 11 quinquies, trattandosi di nuove ipotesi di responsabilità aggravata, quindi soggette ai principi di tassatività e di irretroattività della legge penale” (Cass. Pen., Sez. I, ud. 24.01.2019, Sent. 21.03.2019, n. 12653; cfr. Cass., Sez. I, ud. 16.07.2021, Sent. 26.10.2021, n. 38359).
Di talché, alla stregua di tale orientamento di legittimità, l’ordine di esecuzione per condanne ex artt. 61-n-11-quinquies e 572 c.p. non dovrà essere sospeso solo nel caso in cui il fatto sia stato commesso “ai danni di minore di anni 14”, come di recente confermato anche dalla giurisprudenza di merito (ex multis, Tribunale di Trento, Ordinanza del 21 dicembre 2023)
Nessun dubbio si rileva, invece, per l’ostatività delle condanne ai sensi del novellato art. 572 comma 2 c.p., in virtù della contestuale modifica dell’art. 656 comma 9 c.p.p. che non comporta possibilità di sospendere l’esecuzione della pena, in caso di condanna definitiva.
Tanto evidenziato, allo stato è comunque possibile per il condannato di maltrattamenti in famiglia aggravati, evitare un ineluttabile futuro “intramurario”, in considerazione dell’introduzione, nel contesto della cd. “Riforma Cartabia” (D.Lgs n. 150/2022), delle pene sostitutive.
In primis, si deve sin da subito precisare che sussistono delle sostanziali e rilevanti differenze tra le pene alternative alla detenzione e quelle sostitutive in quanto:
– le prime, riguardano la fase esecutiva, mentre le seconde possono essere concesse all’esito del primo grado di giudizio;
– le pene alternative comportano la sospensione dell’esecuzione della pena, ipotesi esclusa nel caso delle pene sostitutive;
– la decisione in tema di pene sostitutive spetta al giudice di merito (e solo per una verifica dell’attualità delle condizioni al Magistrato di Sorveglianza), mentre per quelle alternative sarà competente il Tribunale di Sorveglianza;
– le pene sostitutive hanno dei presupposti e dei parametri ben più stringenti rispetto a quelle alternative.
Al fine di meglio comprendere i profili di compatibilità tra le pene sostitutive e il delitto di cui all’art. 572 comma 2 c.p., si rappresenta che:
– l’art. 545-bis c.p.p. prevede che il giudice, se ritiene che ne ricorrano i presupposti, sostituisce la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all’articolo 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689;
– tale legge prevede all’art. 53 che in caso di condanna (o di sentenza ex art. 444 c.p.p.), il Giudice
- quando ritiene di dover determinare la durata della pena detentiva entro il limite di quattro anni, può sostituire tale pena con quella della semilibertà o della detenzione domiciliare;
- quando ritiene di doverla determinare entro il limite di tre anni, può sostituirla anche con il lavoro di pubblica utilità;
- quando ritiene di doverla determinare entro il limite di un anno, può sostituirla altresì con la pena pecuniaria della specie corrispondente, determinata ai sensi dell’articolo 56-quater.
Dalla mera littera legis, si comprende come si tratti di una valutazione rimessa la giudice di merito al momento della condanna, o della sentenza di applicazione della pena su richiesta della parte, che potrà essere concessa solo quando, all’esito di un giudizio sui fatti oggetto di accertamento e della personalità dell’imputato, il giudice ritenga che vi siano i presupposti per la sostituzione.
In tal caso, la parte, o il difensore munito di procura speciale, possono accettare, all’esito del giudizio di primo grado, la condanna ad una pena sostitutiva che verrà determinata in base al quantum della condanna e alla sua efficacia in termini di riabilitazione e rieducazione.
Quanto ai presupposti, al di là della pena concretamente applicata, l’art. 59 della summenzionata legge n. 689/1981 prevede dei limiti per la possibilità di richiedere la sostituzione della pena.
In particolare, il legislatore esclude che il giudice possa sostituire la pena detentiva:
- a) nei confronti di chi ha commesso il reato per cui si procede entro tre anni dalla revoca della semilibertà, della detenzione domiciliare o del lavoro di pubblica utilità ai sensi dell’articolo 66, ovvero nei confronti di chi ha commesso un delitto non colposo durante l’esecuzione delle medesime pene sostitutive; è fatta comunque salva la possibilità di applicare una pena sostitutiva di specie più grave di quella revocata;
- b) con la pena pecuniaria, nei confronti di chi, nei cinque anni precedenti, è stato condannato a pena pecuniaria, anche sostitutiva, e non l’ha pagata, salvi i casi di conversione per insolvibilità;
- c) nei confronti dell’imputato a cui deve essere applicata una misura di sicurezza personale, salvo i casi di parziale incapacità di intendere e di volere;
- d) nei confronti dell’imputato di uno dei reati di cui all’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, salvo che sia stata riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’ articolo 323-bis, secondo comma, del codice penale.
Proprio quest’ultima ipotesi è di primaria importanza per i condannati per maltrattamenti in famiglia aggravati ai sensi dell’art. 572 comma 2 c.p..
E ciò in quanto, pur essendo tale delitto “ostativo” ai sensi dell’art. 656 comma 9 c.p.p., non rientra tra quelli indicati dall’art. 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario e, di conseguenza, pur non essendo possibile accedere alle pene alternative alla detenzione, il giudice di merito potrà valutare la sostituzione della pena detentiva.
Tale realtà è stata confermata, di recente, anche dalla giurisprudenza di merito e in particolare dalla Corte d’Appello di Napoli che con la sentenza del 6 ottobre 2023 (dep. 20 ottobre 2023), ha confermato l’assenza di preclusioni oggettive in base al titolo del reato.
Si precisa, inoltre, che al di là di quelle che possono essere le “indicazioni” da parte dell’imputato o del suo difensore, è il giudice di merito che sceglie la pena sostitutiva da applicare al caso concreto, indipendentemente dalla pena concretamente applicata.
In tal senso, l’art. 58 della L. n. 689/1981 prevede che:
– la pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato;
– tra le pene sostitutive il giudice sceglie quella più idonea alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato con il minor sacrificio della libertà personale, indicando i motivi che giustificano l’applicazione della pena sostitutiva e la scelta del tipo;
– le pene sostitutive della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità possono essere applicate solo con il consenso dell’imputato, espresso personalmente o a mezzo di procuratore speciale;
– quando applica la semilibertà o la detenzione domiciliare, il giudice deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonei nel caso concreto il lavoro di pubblica utilità o la pena pecuniaria.

Da ciò si desume che la valutazione sia sotto un profilo oggettivo, che soggettivo, fino alla scelta della pena sarà interamente rimessa al Giudice di merito, come confermato anche dalla richiamata sentenza della Corte di Appello di Napoli che – in virtù del regime transitorio per i procedimenti pendenti al momento dell’entrata in vigore del D.Lgs n. 150/2022 – ha ritenuto di sostituire la pena detentiva con quella della detenzione domiciliare, ritenuta unica misura idonea rispetto ai fatti oggetto di condanna, nonostante, nel caso di specie, l’imputato fosse stato condannato alla pena di due anni e sei mesi e la difesa avesse chiesto la sostituzione con i lavori di pubblica utilità.
L’assenza di “preclusioni” alla concessione della misura sostitutiva, non si traduce, comunque, come evidenziato pocanzi, in un’automatica possibilità di sostituzione della pena.
E ciò in quanto, la sostituzione è rimessa alla valutazione del giudice di merito, anche con riferimento all’accertamento dei presupposti legati alla personalità del condannato.
Proprio con riferimento all’accertamento dei “presupposti” per l’applicazione della pena sostitutiva, il comma 2 dell’art 545-bis c.p.p. prevede che “al fine di decidere sulla sostituzione della pena detentiva e sulla scelta della pena sostitutiva ai sensi dell’articolo 58 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nonché ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni relative, il giudice può acquisire dall’ufficio di esecuzione penale esterna e, se del caso, dalla polizia giudiziaria tutte le informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita, personali, familiari, sociali, economiche e patrimoniali dell’imputato.
Il giudice può richiedere, altresì, all’ufficio di esecuzione penale esterna, il programma di trattamento della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità con la relativa disponibilità dell’ente. Agli stessi fini, il giudice può acquisire altresì, dai soggetti indicati dall’articolo 94 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, la certificazione di disturbo da uso di sostanze o di alcol ovvero da gioco d’azzardo e il programma terapeutico, che il condannato abbia in corso o a cui intenda sottoporsi. Le parti possono depositare documentazione all’ufficio di esecuzione penale esterna e, fino a cinque giorni prima dell’udienza, possono presentare memorie in cancelleria”.
In considerazione di tale, possibile, integrazione, se vi è una prima forma di consenso all’applicazione di una pena sostitutiva, il giudice fissa una apposita udienza non oltre sessanta giorni, dandone contestuale avviso alle parti e all’ufficio di esecuzione penale esterna competente.
In occasione di tale udienza, una volta esaminata la documentazione richiesta, il giudice, se sostituisce la pena detentiva, integra il dispositivo indicando la pena sostitutiva con gli obblighi e le prescrizioni corrispondenti. In caso contrario, il giudice conferma il dispositivo.
Sotto un profilo procedurale, una volta che il giudice ha disposto gli eventuali accertamenti previsti dal secondo comma dell’art. 545-bis c.p.p. e ha integrato il dispositivo contenente addirittura le prescrizioni che dovrà seguire il condannato, la pena non sarà immediatamente esecutiva, quantomeno per la semi-libertà e la detenzione domiciliare.
E ciò in quanto, a mente dell’art. 593 comma 3 c.p.p., non sono appellabili solo le sentenze applicative della pena sostitutiva dei lavori di pubblica utilità e di conversione nella pena pecuniaria, mentre in caso di condanna alla detenzione domiciliare, o alla semilibertà, la sentenza è soggetta al regime ordinario delle impugnazioni.
Una volta divenuta definitiva la sentenza di condanna, il P.M. trasmetterà la sentenza definitiva al Magistrato di sorveglianza che il solo compito di verificare l’attualità delle prescrizioni dettate dal giudice della cognizione e, conseguentemente, provvedere alla conferma o alla modifica delle stesse.
In occasione di tale udienza, una volta esaminata la documentazione richiesta, il giudice, se sostituisce la pena detentiva, integra il dispositivo indicando la pena sostitutiva con gli obblighi e le prescrizioni corrispondenti. In caso contrario, il giudice conferma il dispositivo.
Sotto un profilo procedurale, una volta che il giudice ha disposto gli eventuali accertamenti previsti dal secondo comma dell’art. 545-bis c.p.p. e ha integrato il dispositivo contenente addirittura le prescrizioni che dovrà seguire il condannato, la pena non sarà immediatamente esecutiva, quantomeno per la semi-libertà e la detenzione domiciliare.
E ciò in quanto, a mente dell’art. 593 comma 3 c.p.p., non sono appellabili solo le sentenze applicative della pena sostitutiva dei lavori di pubblica utilità e di conversione nella pena pecuniaria, mentre in caso di condanna alla detenzione domiciliare, o alla semilibertà, la sentenza è soggetta al regime ordinario delle impugnazioni.
Una volta divenuta definitiva la sentenza di condanna, il P.M. trasmetterà la sentenza definitiva al Magistrato di sorveglianza che il solo compito di verificare l’attualità delle prescrizioni dettate dal giudice della cognizione e, conseguentemente, provvedere alla conferma o alla modifica delle stesse.
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