L’ordinanza di convalida del DASPO, emessa dal Questore, viola il diritto di difesa in quanto non c’è alcun riferimento alle deduzioni oggetto della memoria difensiva, depositata entro il termine di 48 dalla notifica reato.

Questa pronuncia della terza sezione penale della Corte Suprema offre un’attenta e dettagliata analisi delle garanzie poste a tutela del soggetto sottoposto a limitazione della libertà personale mediante il provvedimento amministrativo del DASPO, soffermando l’attenzione soprattutto sull’effettività del diritto di difesa, presidio imprescindibile di tutti i sistemi democratici.

Tutto inizia quando l’ordinanza del GIP di Siracusa emetteva convalida per il provvedimento emesso dal Questore di Siracusa, nei confronti di un tifoso, verso il quale era stata disposta la misura dell’obbligo di presentazione presso un Comando di Polizia per un periodo di 3 anni, in occasione delle partite di calcio. Tutto questo ai sensi dell’art. 6, comma 2, della Legge 241/1989.

 

Avverso tale ordinanza, l’interessato, propone in cassazione in Cassazione, la violazione del diritto di difesa, motivandolo con la mancanza da parte del giudice della presa in considerazione della memoria difensiva depositata a mezzo PEC.  Inoltre, secondo l’impugnazione, il giudice avrebbe dichiarato che nessuna memoria era pervenuta e pertanto non ne aveva preso in considerazione nemmeno la sostanza dell’assunto, che rilevava precise circostanze oggettive circa la dubbia riconducibilità della condotta contestata al ricorrente.

 

Il ricorso è dunque fondato.

 

Le argomentazioni dei Giudici si fondano su una trama argomentativa che richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 144/1997 nella quale veniva affermata la necessità che l’adozione del provvedimento limitativo della libertà personale fosse presidiato da quelle stesse garanzie previste per provvedimenti provvisori dettati dall’autorità di pubblica sicurezza, ossia le garanzie consistenti nel controllo del provvedimento da parte del giudizio e garanzie del diritto di difesa.

Seguendo questa traccia, la Suprema Corte stabilisce che il termine a difesa per la presentazione di memorie scritte non sia inferiore a 48 ore (ex plurimis Cass. pen., sez. III, n. 20366 /2020,  Cass. pen., sez. III, 6440/2016).

Emerge così la centralità dello strumento della memoria difensiva in un procedimento di convalida nel cui ambito non è prevista una interlocuzione orale tra il giudice e il soggetto diffidato». Da ciò, ne consegue, secondo il Collegio, “la necessità per il giudice di tenere conto della memoria eventualmente presentata, in quanto è l’unico mezzo consentito dall’ordinamento per l’esercizio del diritto di difesa”.

Il collegio, sulla base di tali argomentazioni, ritiene che è da ritenersi nulla, per violazione del diritto di difesa, l’ordinanza di convalida del provvedimento del Questore.

E, per riprendere le parole dei giudici. … “proprio la particolarità della natura della memoria in questione, induce ad escludere l’applicabilità del principio giurisprudenziale secondo cui l’omessa valutazione di una memoria difensiva non determina alcuna nullità (ex plurimis, Cass. pen., sez. sez. I, n. 26536/2020). Pertanto, la Corte annulla senza rinvio il provvedimento impugnato.

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