In tema di rito abbreviato, è preclusa all’imputato che abbia ottenuto l’accesso al rito abbreviato cd. “secco” la possibilità di produrre una consulenza tecnica allegata ad una memoria depositata dopo l’ammissione del rito.

Con il ricorso la difesa lamentava, tra le altre cose, il vizio del procedimento in riferimento alla omessa valutazione della memoria difensiva depositata in primo grado dopo l’ammissione del rito abbreviato sulla quale la Corte di Appello si era limitata ad evidenziare l’assenza di effettive ricadute sulla decisione di primo grado.

 

La Corte, nel respingere il motivo, ha rilevato che la allegazione di una consulenza di parte – intesa quale mezzo di prova, posto che mira ad un accrescimento delle conoscenze disponibili per il giudizio – non può ritenersi ammissibile dopo l’avvenuta ammissione del rito abbreviato, data la caratteristica di giudizio allo stato degli atti della forma di definizione del giudizio de qua. Di talché la produzione senza limiti e preclusioni di un atto di parte consistente in una memoria è dato normativo che va di certo ribadito (ai sensi dell’art.121 cod.proc.pen.) ma al contempo limitato alla parte “rappresentativa e valutativa” degli elementi di prova già disponibili, senza che sia consentita in tal modo la surrettizia introduzione di un novum di tipo probatorio.

 

E del resto lo statuto ontologico della memoria di cui all’art.121 cod.proc.pen. è stato efficacemente descritto in dottrina, trattandosi di “attività diretta a integrare o puntualizzare il significato di elementi di prova già emersi ed acquisiti, senza incidere in alcun modo sulla metodologia di acquisizione probatoria”. Il significato del lemma è ben riconducibile, pertanto, al senso comune di “riportare alla mente”, i punti salienti (nell’ottica della parte) di una attività istruttoria già espletata, servendosi dello strumento della scrittura, o di evidenziare aspetti in diritto utili alla propria tesi, ma ciò non consente la introduzione in forme atipiche di una nuova fonte di prova, sia essa di tipo testimoniale o di tipo tecnico.

 

In questa ottica la Corte ha ribadito il principio di fondo espresso quanto al giudizio di appello, ma applicabile anche al caso di giudizio a prova contratta, da Cass. Sez. 2 n. 10968/2018 secondo cui una consulenza tecnica non può essere introdotta ed acquisita come memoria ex art. 121 cod. proc. pen. in violazione delle regole acquisitive tipiche della fase processuale. In quel caso la Corte ha respinto il motivo per due ordini di ragioni: intanto per l’assorbente rilievo che con l’atto di appello non si era avanzata alcuna richiesta di rinnovazione dell’istruttoria magari finalizzata all’acquisizione della “memoria tecnica” allegata all’atto di impugnazione e ciò in quanto è pacifico l’insegnamento giurisprudenziale che esclude la possibilità di introdurre ed acquisire, come memoria ex art. 121 cod. proc. pen., la consulenza tecnica nel giudizio di appello (Sez. 1, n. 43021 del 02/10/2012, Panuccio, Rv. 253802); e poi perché comunque la difesa non aveva chiarito la decisività della mancata valutazione rispetto al percorso argomentativo tracciato dalla Corte territoriale.  

 

La doglianza difensiva, pertanto, perde di consistenza in ragione del fatto che la omessa valutazione è riferita non già al contributo ‘discorsivo’ della memoria (oggetto di considerazione nella parte motiva delle decisioni di merito) ma al contributo di tipo tecnico (la consulenza di parte che è stata allegata anche all’atto di ricorso), che non avrebbe potuto essere acquisito ab origine.

 

Cass. Pen. sez. I del 30 marzo 2023 n. 33435

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