In tema di associazione di tipo mafioso, integra la condotta di “concorso esterno” l’attività del professionista che, senza essere inserito nella struttura organizzativa del sodalizio criminale, e pur privo della affectio societatis, instauri con la cosca un rapporto di reciproci vantaggi nell’ambito del quale fornisca un concreto, specifico e volontario contributo idoneo a conservare ovvero a rafforzare le capacità operative del sodalizio, nella consapevolezza di favorirne, in tal modo, la realizzazione del programma criminoso.
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La Corte nel ribadire i principi di diritto in tema di valutazione del contenuto di intercettazioni telefoniche e ambientali, di chiamate in correità e in reità, ha ritenuto il professionista, pure coinvolto nella condotta di concorrente nell’intestazione fittizia di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12-quinquies con l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 c.p., concorrente esterno nel reato associativo.
Dalla ricostruzione dei reati contestati al ricorrente in materia di intestazione fittizia passando per l’accertata natura dei rapporti di contiguità esistenti tra quest’ultimo ed il clan mafioso di riferimento, che si protraevano per un arco temporale pluriennale, si traeva lo stretto collegamento sinergico del professionista con la consorteria mafiosa per come pure descritto dal collaborante e corroborati dalle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari.
La Corte di Legittimità ha ritenuto la verifica giurisdizionale nei confronti del professionista ricorrente, corretta, rispettosa delle emergenze processuali e conforme alla giurisprudenza di legittimità consolidata, secondo cui il concorrente esterno di un’associazione mafiosa è “il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione mafiosa e privo dell’affectio societatis (…), fornisce tuttavia un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo abbia un’effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento delle capacità operative dell’associazione (…) e sia comunque diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima” (Sez. U, n. 33478 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 236584).
Tale approccio interpretativo è stato da ultimo ribadito dalla Suprema Corte che, intervenendo ancora una volta sul tema dei rapporti di contiguità tra esponenti del mondo delle professioni e consorterie mafiose, ha affermato che integra il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso la condotta del soggetto “che, senza essere inserito nella struttura organizzativa del sodalizio criminale e pur privo della “affectio societatis”, instauri con la cosca un rapporto di reciproci vantaggi, consistenti, per l’imprenditore, nell’imporsi sul territorio in posizione dominante e, per l’organizzazione mafiosa, nell’ottenere risorse, servizi o utilità, anche in forma di corresponsione di una percentuale sui profitti percepiti dal concorrente esterno” (Sez. 1, n. 47054 del 16/11/2021, Coppola, Rv. 282455)”.
Si muove, del resto, nella stessa direzione ermeneutica, il recente intervento della giurisprudenza di legittimità che, occupandosi del ruolo di consigliere privilegiato di una consorteria mafiosa di un professionista, ha affermato che “integra la condotta di “concorso esterno” l’attività del professionista che fornisca un concreto, specifico e volontario contributo idoneo a conservare ovvero a rafforzare le capacità operative del sodalizio, nella consapevolezza di favorirne, in tal modo, la realizzazione del programma criminoso” (Sez. 5, n. 18020 del 10/02/2022, Laudani, Rv. 283371 – 01).
Nel caso di specie, secondo la Corte, quello che assume rilievo ai fini della valutazione dell’atteggiamento dell’esponente del mondo professionale con cui il sodalizio mafioso, di volta in volta, si rapporta, è la valutazione della sua adesione al progetto di controllo illecito del territorio che nell’ipotesi specifica era certamente riscontrabile nell’atteggiamento del legale, ricorrente, che appariva omogeneo rispetto alle strategie di interferenza con il tessuto produttivo perseguite dal clan ndranghetistico.
In argomento poi la Corte riporta condividendola in pieno la considerazione della Corte del merito che a proposito del ruolo di contiguità concorsuale del ricorrente affermava: “Quella del L.C. potrebbe pertanto in termini semplici, ma efficaci, definirsi come la posizione di quei professionisti che stringono con gruppi criminali una salda intesa collaborativa a fini di profitto economico, intesa che lascia ad essi ampi margini di autonomia gestionale, tanto è vero che restano sostanzialmente liberi di recedere da questi rapporti, ad esempio quando i rischi si fanno corposi, senza quelle conseguenze che per un partecipe si legano alla rottura della fiducia e della lealtà interna“. E ancora: “Solo questo genere di professionista è prono ai voleri del cliente e disposto a varcare senza remora alcuna le linee, anche deontologiche, dell’agire professionale che altrimenti porrebbe invocare ad ogni pie’ sospinto“.
La Corte, in ultimo, nel dare esaustivo conto della mancata concessione delle attenuanti generiche in favore del ricorrente, ha ritenuto immune da censure la decisione sul punto operata dalla Corte di Appello in tutto conforme ad un insuperato, principio di diritto secondo cui: “Le attenuanti generiche non possono essere intese come una benevola e discrezionale “concessione” del giudice ma come il riconoscimento di situazioni, non contemplate specificamente (art. 62 c.p.), che non sono comprese tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 c.p. ovvero che presentano connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione; situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento della quantità del reato e della capacità a delinquere dell’imputato, sicché il loro riconoscimento consenta di pervenire ad una più valida e perspicace valutazione degli elementi che segnano i parametri per la determinazione della pena da irrogare in concreto“.
Casazione penale sez. I – 28/04/2023, n. 27722