In tema di maltrattamenti in famiglia, se la convivenza si è protratta per un periodo limitato, è necessario che le condotte vessatorie siano state poste in essere in maniera continuativa o con cadenza ravvicinata.

Con i motivi di ricorso la difesa rilevava innanzitutto la illogicità della motivazione nella parte in cui, da un lato, assolveva l’imputato dall’imputazione di maltrattamenti posti in essere in danno della convivente, per difetto del requisito dell’abitualità, dall’altro, lo condannava per le condotte maltrattanti poste in essere, direttamente e nella forma della c.d. violenza assistita, in danno dei figli minori. In quest’ottica il ricorso evidenziava la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla qualificazione delle condotte poste in essere in danno dei figli dell’imputato quali maltrattamenti in famiglia, pur in assenza del presupposto dell’abitualità delle condotte vessatorie.

Per la Corte quest’ultimo profilo è fondato.

Ed invero, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, il delitto previsto dall’art. 572 c.p. configura un reato abituale, essendo costituito da una pluralità di fatti commessi reiteratamente dall’agente con l’intenzione di sottoporre il soggetto passivo ad una serie di sofferenze fisiche e morali, onde ogni successiva condotta di maltrattamento si riallaccia a quelle in precedenza realizzate, saldandosi con esse e dando vita ad un illecito strutturalmente unitario. L’abitualità dei maltrattamenti, precisa la Corte, può essere ravvisata anche a fronte di condotte ripetute in un limitato contesto temporale (Sez. 3, n. 6724 del 22/11/2017, D.L. n., Rv. 27245201; Sez. 6, n. 25183 del 19/06/2021, R., Rv. 253041 – 01), fermo restando che, in tal caso, è necessario che le condotte vessatorie siano state poste in essere in maniera continuativa o con cadenza ravvicinata (Sez. 6, n. 21087 del 10/05/2022, C., Rv. 283271 – 01).

La Suprema Corte in aderenza al già citato principio ha annullato con rinvio la sentenza di condanna nei confronti di un genitore che, seppur adottava un modello educativo improntato non già al dialogo e alla condivisione, ma all’uso della forza e della violenza, non incorreva nella pluralità di fatti di violenza commessi reiteratamente.

 

Cassazione penale sez. VI – 30/03/2023, n. 31391

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