In tema di recidiva, non assume rilievo la condanna per una fattispecie di reato tipizzata oggetto di “abolitio criminis”, in quanto l’abrogazione del reato, così come la depenalizzazione, determina l’eliminazione di ogni effetto penale connesso alla condanna medesima.

Con il ricorso la difesa lamentava, tra le altre cose, la mancata disapplicazione della recidiva reiterata specifica, contestata e applicata in sentenza. In particolare evidenziava che le condanne riportate nel certificato del casellario, ai numeri da 1 a 5, sono ricomprese nel provvedimento di cumulo riportato sub 6, in relazione al quale risulta una dichiarazione di estinzione della pena per esito positivo dell’affidamento in prova; il reato riportalo sub 7 concerne un reato ormai depenalizzato e le condanne iscritte nel certificato del casellario sub 8 e 9 sono passate in giudicato in epoca posteriore rispetto alla data di commissione dei reati per i quali si procede.

La Corte, dopo aver precisato che secondo una consolidata regola generale non sono deducibili, mediante ricorso per cassazione, tutte le questioni in ordine alle quali il giudice di appello abbia giustamente omesso di pronunziarsi in quanto non devolute alla sua cognizione, ha accolto il ricorso sottolineando innanzitutto che le pene estinte in ragione dell’esito positivo dell’affidamento in prova non possono costituire presupposto per la contestazione della recidiva essendo, sotto questo profilo,  noto il principio espresso dalle Sez. U, n. 5859 del 27/10/2011, Marciano, Rv. 25L688 – 01, a mente del quale “L’estinzione di ogni effetto penale determinata dall’esito pcsitivo dell’affidamento in prova al servizio sociale comporta che delle relative condanne non possa tenersi conto agli effetti della recidiva” (nello stesso senso, da ultimo. Sez. 3, n. 39550 del 04/07/2017, Mauri, Rv. 271342 – 01).

Quanto poi al reato depenalizzato la Corte – pur riconoscendo l’esistenza di un precedente della V sezione secondo il quale “Ai fini del riconoscimento della recidiva è irrilevante che il reato pregiudicante sia stato oggetto di abolitio criminis” – ha ritenuto di doversi discostare da tale impostazione per una serie di ragioni.

Dal punto di vista sistematico, la recidiva è la condizione individuale connessa alla perpetrazione di plurimi reati successivi – tutti giudicati in maniera irrevocabile – ad opera dello stesso soggetto attivo, al quale deve, quindi, essere attribuito lo status di recidivo, quale che sia l’intervallo temporale trascorso fra uno e l’altro dei fatti per i quali sono intervenute le condanne. Ciò si sostanzia nel cd. principio della perpetuità della recidiva, che deve essere contemperato con i concorrenti principi della contestazione e della facoltatività della stessa. L’istituto della recidiva trova il suo fondamento teorico ed il suo ancoraggio funzionale, nella funzione special-preventiva, da ricollegare al fatto che essa è considerata dall’ordinamento idonea a evocare una perdurante volontà e attitudine verso la delinquenza, tali da legittimare l’irrogazione di una sanzione in termini di maggior severità.

Del tutto pacifica è, infine, la natura circostanziale della recidiva (Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato, Rv. 249664). La recidiva, come noto, produce effetti rilevanti soprattutto di natura sostanziale. Si pensi all’influenza dell’istituto sui diversi profili: della pena, divenendo possibili – al ricorrere dei diversi casi di recidiva – incrementi sanzionatori anche di notevole entità; della prescrizione del reato, a norma dell’art. 157 cod. pen. e seguenti; della prescrizione della pena, a norma dell’art. 172, comma 7, cod. pen.; dell’amnistia, ex art. 151, comma 5, cod. pen.; dell’obiezione, ai sensi dell’art. 162-bis, comma 3, cod. pen.; dell’esecuzione, in tema di liberazione condizionale, di permessi premio, di detenzione domiciliare, di affidamento in prova al servizio sociale.

Logico corollario del quadro concettuale sin qui delineato è che la condizione di recidivo, in special modo all’esito della decisione Corte Cost. n. 185 dei 2015 – essendo venuto meno l’ultimo tra gli automatismi applicativi – postuli l’apprezzamento concreto circa la ricorrenza di tale circostanza, nella sua portata di amplificazione sanzionatoria, alla stregua dei criteri espressi da Sez. U. n. 35738 del 27.5.2010, Calibè, rv 247838. In tale decisione, si è evidenziato il dovere di verificare – in concreto – se la reiterazione dell’illecito sia da ritenersi sintomo effettivo di maggior riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore; valutazione che deve essere compiuta avendo riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono evocativi, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti serbati dal soggetto agente, alla distanza temporale intercorrente tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra essi, all’eventuale occasionalità della ricaduta e ad ogni altro parametro individualizzante, significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali.

 Pare evidente, allora, come l’espulsione dall’area del penalmente rilevante di uno o più dei modelli legali, in relazione ai quali siano intervenute le condanne antecedenti, non possa non riverberare importanti riflessi proprio su tali profili. L’eliminazione dal sistema sanzionatorio penale di una determinata fattispecie, infatti, deve inevitabilmente condurre alla rivisitazione del giudizio di rimproverabilità precedentemente sussunto nella pronuncia di condanna, divenendo non ulteriormente praticabile qualsivoglia valutazione in termini di negatività, a carico del soggetto attivo.

Postulando lo status di recidivo la pregressa commissione di fatti costituenti reato, pare evidente come esso non possa esser mantenuto intonso, all’indomani dell’abrogazione di una delle figure tipiche poste a fondamento della relativa precedente dichiarazione. A conforto di tale linea interpretativa si può rammentare il principio di carattere generale, in virtù del quale l’abrogatio criminis comporta la vanificazione di ogni forma di illiceità, che sia comunque ricollegabile a fatti anteriormente commessi, i quali, così, sfuggono a qualsivoglia sanzione penale (fra tante, Sez. 5, n. 12000 del 30/10/1995, Colantuono, Rv. 203383).

La giurisprudenza di legittimità, ad esempio, ha chiarito – pronunciandosi in materia di oltraggio – come l’abrogazione degli articoli 341 e 344 cod. pen., disposta dall’art. 18 della legge 25 giugno 1999, n. 205, integrando una ipotesi di abolitio criminis riconducibile alla regola di carattere generale dettata dall’art. 2, comma 2, cod. pen., comporti che – laddove vi sia stata precedente condanna per una di tali fattispecie – ne debbano cessare l’esecuzione e tutti gli effetti penali, con conseguente possibilità di revoca ad opera del giudice dell’esecuzione, a norma dell’art. 673 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 29023 del 27/06/2001, Avitabile, Rv. 219223; si veda anche Sez. 1, n. 32401 del 02/02/2017, Canerini, Rv. 270448, pronunciata in ordine agli effetti della depenalizzazione disposta dall’art. 1, comma 1, d.lgs. n. 8 del 2016, suila norma incriminatrice della guida senza patente, di cui all’art. 116, comma 15, d.lgs. n. 285 del 1992).

Può anche sottolinearsi come attribuire persistente rilevanza, ai fini dell’attribuzione della condizione di recidivo (nonostante la sopra chiarita vigenza del principio di facoltatività della relativa dichiarazione), al fatto ormai depenalizzato, realizzerebbe un punto di inammissibile tensione teorica e logica dell’ordinamento. Si perpetuerebbe, infatti, una qualificazione in termini di negatività (foriera anche di notevoli conseguenze pratiche, quantomeno in termini di maggior severità sanzionatoria), valorizzando incongruamente la valenza significativa di fatti ormai espulsi dall’area dei fatti assoggettati a rimprovero in sede penalistica. E si finirebbe, in ultima analisi, per esaltare una valutazione personologica di tenore marcatamente – se non addirittura esclusivamente – soggettivistico.

Giova infine precisare – a scanso di improprie commistioni concettuali – come il fenomeno della abrogazione di una determinata fattispecie tipica debba esser tenuto nettamente distinto, rispetto al ben diverso meccanismo inerente ai riflessi ricollegabili alla estinzione del reato, per effetto dell’esito positivo della sospensione condizionale della pena. La Corte, infatti, ha sempre ritenuto che, in tali casi, non possano essere oggetto di elisione gli effetti penali connessi alla precedente condanna, della quale, pertanto, dovrà continuare a tenersi conto ai fini della recidiva (fra tante, si veda Sez. 3, n. 28746 del 26/03/2015, Biasi, Rv. 264107). Non vi è chi non rilevi, però, come si tratti di una vicenda – processuale e sostanziale – che presenta connotazioni profondamente dissimili, rispetto al caso inerente agli effetti, sulla recidiva, dell’abrogazione della figura tipica di reato precedentemente presa in considerazione.

E’ fondato, secondo la Corte, anche l’ultimo profilo del ricorso relativo all’illogica valorizzazione – ai fini dell’applicazione della recidiva – di condanne passate in giudicato in epoca posteriore, rispetto alla data di commissione dei reati ora giudicati. Ed invero – aderendo al principio da ultimo fissato dalla 2 sezione e richiamato dal Procuratore Generale in sede di requisitoria – la Corte ha precisato come la recidiva postuli che la condanna antecedente sia divenuta irrevocabile in epoca antecedente, rispetto alla commissione del fatto che si giudica; tale anteriorità trova origine nell’esigenza che il soggetto agente si possa rendere compiutamente conto di tutti gli effetti, che potranno scaturire dal suo agire contra legem. Anche tali condanne, dunque, non avrebbero dovuto essere computate, ai fini della recidiva.

 

Cass. Pen. sez. 1, Sentenza n. 28203 del 30/03/2023 dep. 28/06/2023.

scarica la sentenza