Le modifiche apportate dalla Riforma Cartabia sul rinvio al giudice civile dell’impugnazione ammissibile ai soli effetti civili si applicano alle impugnazioni proposte per i giudizi nei quali la costituzione di parte civile è intervenuta dopo il 30 dicembre 2022

Con la sentenza n. 38481/2023 – con la quale si è affermato il principio secondo cui «l’art. 573, comma 1-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 33 del d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile è intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022» – le Sezioni Unite si sono pronunciate anche in merito ai requisiti richiesti per l’atto di costituzione di parte civile post riforma Cartabia.

Se prima era sufficiente il mero richiamo al capo d’imputazione, ora è necessario – ai fini dell’ammissibilità della costituzione – che le ragioni della domanda vengano illustrate con una precisa determinazione della causa petendi, secondo gli stilemi dell’atto di citazione nel processo civile, ovvero, secondo quanto prevede oggi l’art. 163, comma 3, n. 4, cod. proc. civ. con “l’esposizione in modo chiaro e specifico” delle stesse.

Il massimo consesso di nomofilachia era chiamato a risolvere il seguente quesito: “se l’art. 573, comma 1-bis, c.p.p., si applichi a tutte le impugnazioni per i soli interessi civili pendenti alla data del 30 dicembre 2022 o, invece, alle sole impugnazioni proposte avverso le sentenze pronunciate a decorrere dalla suddetta data”.

Le SS.UU. si soffermano, preliminarmente, sul contenuto e sul significato delle norme con cui il D.Lgs. n. 10 ottobre 2020, n. 150 è intervenuto a disciplinare l’ipotesi della impugnazione della sentenza per gli interessi civili: solo apprezzando la portata delle modifiche intervenute sul punto, la loro ragione e il loro “innesto” nel sistema processuale preesistente, è infatti possibile dare una corretta risposta al quesito rimesso dalla Quinta Sezione penale.

Come infatti è agevole ricavare dalla disamina degli indirizzi tra loro in contrasto, il differente epilogo cui gli stessi giungono dipende essenzialmente dalla risposta che, nella pacifica mancanza da parte del legislatore di ogni regolamentazione transitoria delle nuove disposizioni, si dia sul grado di portata innovativa delle stesse: se, cioè, le modifiche intervenute abbiano o meno condotto alla configurazione di un quadro normativo la cui diversità, rispetto al precedente assetto, sia tale da ledere le aspettative di colui che abbia presentato l’impugnazione nel precedente regime, con conseguente necessità di tutelarne il legittimo affidamento nella immutabilità dello stesso secondo quanto meglio si specificherà oltre.

E subito evidente, sulla base della piana lettura del dato testuale delle nuove norme e del significato sistematico delle stesse, il mutamento di coordinate operato rispetto al “pregresso” quadro: mentre in precedenza anche l’impugnazione ai soli effetti civili (ovvero, in altri termini, quella svolta in assenza di ogni altra censura, da parte del medesimo impugnante ovvero dalle altre parti, riguardante i profili penali della decisione) era comunque destinata ad essere decisa dal giudice del processo penale nel quale era stata esercitata l’azione civile, benché non residuassero più aspetti di ordine penale (e a tale piano apparteneva pur sempre, per il giudizio di legittimità, l’epilogo eccezionale rappresentato dall’art. 622 c.p.p.), all’esito della modifica in oggetto l’impugnazione (proposta, secondo la immutata regola generale di cui al comma 1 dell’art. 573 c.p.p., valevole anche nel caso di censure ai soli fini civili, nelle “forme ordinarie del giudizio penale”) viene oggi ad essere decisa dal giudice civile, restando attribuito al giudice penale il solo compito di valutare la non inammissibilità dell’impugnazione stessa: la necessità di accelerazione dei tempi di decisione, che ha rappresentato, nell’impostazione della riforma, uno dei parametri ispiratori della stessa, e la naturale dismissione, allorquando non siano più in gioco, per effetto del relativo giudicato, profili penali, della ordinaria regola di “attrazione” nel campo penale anche delle questioni civilistiche nascenti dal reato, ha comportato che, una volta esclusa, dal giudice penale, la inammissibilità dell’impugnazione (che, per ragioni evidenti di economia processuale, determinerebbe, altrimenti, la definitiva conclusione del giudizio), il medesimo giudizio debba essere rinviato innanzi al giudice civile per la “prosecuzione” dello stesso e la decisione, nel merito, dell’impugnazione.

Né può condurre a diverse conclusioni il fatto che, con riguardo in particolare al giudizio di legittimità, di “rinvio”, segnatamente al giudice civile competente per valore in grado di appello, già si occupasse l’art. 622 c.p.p., e che tale rinvio sia stato letto, da ultimo, anche dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 2265 del 28/01/2022, Cremonini, Rv. 281228-01), come introduttivo di un giudizio del tutto autonomo e svincolato rispetto a quello penale, conseguentemente richiedente un atto di impulso di parte attraverso l’istituto della riassunzione ex art. 392 c.p.p. evocato dallo stesso termine di “rinvio” (v. anche, nella più recente giurisprudenza civile della Corte, nel senso che il giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. si configura come una sostanziale transiatio iudicii dinanzi al giudice civile, regolato dagli artt. 392-394 c.p.c., Sez. 3 civ., n. 30496 del 18/10/2022, Rv. 666267-01; Sez. 3. civ., n. 8997 del 21/03/2022, Rv. 66457903; Sez. 3 civ., n. 517 del 15/01/2020, Rv. 656811-01; Sez. 3 civ., n. 16916 del 25/06/2019, Rv. 654433-01).

E’ significativa infatti, sul punto, onde distinguere nettamente le due ipotesi, la ben diversa portata del “rinvio” come emergente dalla stessa concatenazione dei passaggi delle due norme: mentre il rinvio dell’art. 622 cit. segue a pronuncia di “annullamento”, ovvero, in altri termini, alla stessa decisione sull’impugnazione ad opera della Corte penale (giustificandosi il rinvio al giudice civile d’appello essenzialmente allorquando la decisione impugnata sia priva di motivazione ovvero debbano essere svolti accertamenti e valutazioni in fatto non esperibili nel giudizio di legittimità), il rinvio introdotto dal nuovo art. 573, comma 1-bis, cit. è funzionale alla “prosecuzione” in sede civile del medesimo giudizio iniziato in sede penale senza cesure o soluzioni di continuità (cesure date invece, nell’art. 622 cit., proprio dalla pronuncia di annullamento e che impediscono, tra l’altro, secondo la costante giurisprudenza civile, l’enunciazione di un principio di diritto cui il giudice civile del rinvio sia tenuto ad uniformarsi).

Anche la disciplina posta dallo stesso art. 573, comma 1-bis, cit. in ordine al regime di utilizzazione delle prove non smentisce ma, anzi conferma, l’unicità del giudizio: da un lato continuano, per espressa disposizione, ad essere utilizzate in sede civile le prove già acquisite in sede penale e, dall’altro, confluiscono, nello stesso giudizio, le prove eventualmente acquisende nel giudizio di rinvio.

Se, dunque, di medesimo giudizio “rinviato” per la decisione al giudice o alla sezione civile competente si tratta, pare evidente come non siano in alcun modo replicabili, nel nuovo assetto, i postulati appena ricordati, ed innanzitutto quello della natura “autonoma”, rispetto al giudizio penale, del giudizio da svolgersi in sede civile.

Neppure appare conciliabile, con il nuovo assetto scaturente dalla norma in oggetto, la necessità, affermata dalla giurisprudenza sempre con riguardo al giudizio di rinvio “da annullamento”, di emendati libelli al fine di coordinare la domanda presentata in sede penale ai parametri propri del giudizio civile sia con riferimento (quanto meno nel sistema precedente alla lettura data dalla sentenza della Corte Cost. n. 182 del 2021) ai requisiti della responsabilità aquiliana, sia con riguardo alle diverse regole attinenti al nesso di causalità, da un lato, e alle prove, dall’altro (v., per tutte, da ultimo, Sez. 1 civ., n. 7474 del 08/03/2022, Rv. 664524-01; Sez. 3 civ., n. 517 del 15/01/2020, Rv. 656811-01); infatti, la necessità di un tale adeguamento nel passaggio tra i due giudizi è ormai superata dalla già iniziale impostazione, oggi richiesta dal nuovo art. 78, comma 1, lett. d), cit. della pretesa civile secondo le più estese coordinate dell’atto introduttivo di cui all’art. 360 c.p.c. nella previsione di un simile, possibile, epilogo.

Anzi, e di più, proprio la comparazione tra l’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. e l’art. 622 c.p.p. (quale norma che continua a presupporre pur sempre un ordinario quadro che attribuisce alla Corte di cassazione penale la decisione sull’impugnazione anche agli effetti civili) sembra rivelare come l’unica lettura possibile della nuova disciplina sia quella appena considerata, giacché, ove il legislatore della cd. Riforma Cartabia avesse invece inteso lasciare sostanzialmente immutato il quadro normativo come letto dalla costante giurisprudenza di legittimità, ben poco senso avrebbe avuto l’adozione del nuovo art. 573, comma 1-bis, cit., finendo quest’ultima norma per sovrapporsi irrazionalmente, negli esiti, proprio a quella dell’art. 622 cit.

Dunque, è proprio il ben diverso rapporto cronologico a fondamento della nuova norma rispetto a quello posto alla base dell’art. 622 cit. (tra decisione e successivo rinvio, nell’art. 622, e tra rinvio e successiva decisione, nell’art. 573, comma 1-bis) a rendere non assimilabili tra loro l’assetto attuale e quello precedente di cui l’art. 622 cit. rappresenta pur sempre, come detto, nell’eccezione così introdotta alla regola dell’attrazione dell’azione civile al processo penale, una esplicazione.

In quest’ottica appaiono altresì improponibili, proprio perché il giudizio che prosegue è sempre e solo il medesimo iniziato dinanzi al giudice penale, le esegesi (di cui è traccia in alcune delle ordinanze della Quinta Sezione adesive all’indirizzo di differita applicabilità del nuovo comma 1-bis) che hanno posto, accanto al vaglio di ammissibilità o meno del ricorso per cassazione affidato dalla nuova norma al solo giudice penale, un ulteriore e successivo vaglio di ammissibilità, secondo le regole processual-civilistiche, in capo alla sezione civile di rinvio; e ciò senza, peraltro, che ancora qui si consideri, come si farà subito oltre, la insostenibilità di una simile opzione – peraltro già poco compatibile con l’esigenza di semplificazione del processo penale espressamente enunciata dall’art. 1, comma 1 della legge delega n. 134 del 2021 – alla luce della regola della mutata formulazione dell’art. 78, comma 1, lett. d), cit.

La modifica di tale ultima norma non può restare indifferente ai fini della spiegazione del significato del nuovo comma 1-bis dell’art. 573 al quale offre, invece, un necessario completamento, ed assume, anzi, un rilievo decisivo proprio agli effetti della risoluzione del contrasto giurisprudenziale su cui le Sezioni Unite sono chiamate ad intervenire.

Va anzitutto rilevato che la necessità di tale modifica, riguardante una norma contenuta all’interno del Titolo V del Libro I del codice di rito penale, riguardante la disciplina relativa a parte civile, responsabile civile e civilmente obbligato per la pena pecuniaria, non risulta direttamente derivante da alcuna delle direttive della legge delega già citata che, infatti, non hanno riguardato la posizione della parte civile, sì da dovere indurre a ritenere che, quindi, la sua ragione sia esattamente da rinvenirsi nel collegamento con ambiti diversi, oggetto di specifica regolamentazione. Ed un tale collegamento è stato individuato dalla Relazione illustrativa al decreto legislativo proprio con la disciplina della impugnazione ai soli effetti civili, essendosi chiarita la funzione della necessaria specificazione, nell’atto di costituzione, delle ragioni della domanda “agli effetti civili” in correlazione con la mutata attribuzione della decisione di detta impugnazione al giudice o alla sezione civile competente cui il giudizio deve essere rinviato in prosecuzione.

Se, dunque, in altri termini, il giudizio è sempre quello iniziale che prosegue, senza soluzione di continuità, dalla sede penale a quella civile, il possibile epilogo decisorio oggi rappresentato, in caso di impugnazione residuata per i soli effetti civili, dall’art. 573, comma 1-bis, cit., dovrà essere contemplato dalla parte civile sin dal momento dell’atto di costituzione e a tale epilogo la stessa dovrà dunque far fronte strutturando le ragioni della domanda in necessaria sintonia con i requisiti richiesti dal rito civile.

Ciò significa, allora, che, se nella vigenza del precedente tenore della norma, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, era del tutto sufficiente, ad integrare la causa petendi cui si riferisce l’art. 78, comma 1, lett. d) cit., il mero richiamo al capo d’imputazione descrittivo del fatto allorquando il nesso tra il reato contestato e la pretesa risarcitoria azionata risultasse con immediatezza (tra le altre, Sez. 2, n. 23940 del 15/07/2020, Rosati, Rv.279490-01; Sez. 6, n. 32705 del 17/04/2014, Coccia, Rv. 260325-01; Sez. 5, n. 22034 del 07/03/2013, Boscolo, Rv. 256500-01), ciò non può più bastare a fronte della nuova disciplina. Sarà infatti necessaria una precisa determinazione della causa petendi similmente “alle forme prescritte per la domanda proposta nel giudizio civile“, come già affermato da una sola iniziale pronuncia di questa Corte e che ora, per effetto del mutato quadro, riprende evidentemente vigore; cosicché, ai fini dell’ammissibilità della costituzione, non sarà più sufficiente “fare riferimento all’avvenuta commissione di un reato bensì sarà necessario richiamare le ragioni in forza delle quali si pretende che dal reato siano scaturite conseguenze pregiudizievoli nonché il titolo che legittima a far valere la pretesa” (Sez. 2, n. 8723 del 07/05/1996, Schiavo, Rv. 205872-01).

In altre parole, dunque, sarà necessario che le ragioni della domanda vengano illustrate secondo gli stilemi dell’atto di citazione nel processo civile, ovvero, secondo quanto prevede oggi l’art. 163, comma 3, n. 4, c.p.c. con “l’esposizione in modo chiaro e specifico” delle stesse (alla stregua del testo attualmente risultante a seguito delle modifiche apportate dall’art. 3, comma 12, lett. a), n. 2, D.Lgs. n. 10 ottobre 2022 n. 149, decorrenti dal 28 febbraio 2023 ed applicabili ai procedimenti instaurati successivamente alla data del 29 dicembre 2022 per effetto dell’art. 35, comma 1, di detto decreto, come modificato dall’art. 1, comma 380, lett. a), L. 29 dicembre 2022, n. 197, con le quali si è inserito appunto l’inciso “in modo chiaro e specifico”).

Non, dunque, in un mero “aggiustamento cosmetico” si è risolta la specificazione inserita nell’art. 78 cit., bensì nella necessaria proiezione, sul piano della domanda di parte civile, della mutata regolamentazione della impugnazione della sentenza agli effetti civili.

E tutto ciò è stato appunto riassunto dalla Relazione illustrativa menzionata laddovesi è fatto riferimento all’onere del danneggiato di prevedere l’eventualità del rinvio di cui all’art. 573 comma 1 bis sin dal momento della costituzione di parte civile.

E’ inoltre bene aggiungere che la nuova disciplina non può non incidere, sia pure non direttamente come nel caso della parte civile, anche sull’impugnazione, effettuata sempre ai soli effetti civili, dall’imputato, atteso che le stesse ragioni che richiedono alla parte civile di impostare l’atto di costituzione già considerando un possibile epilogo decisorio in sede civile finiscono inevitabilmente per trasmettersi, in una strategia processuale necessariamente contrassegnata dal contraddittorio, anche al titolare di interessi contrastanti con l’accoglimento della pretesa civile.

Gli esiti dell’analisi delle nuove norme sin qui condotta consente dunque di rispondere al quesito posto.

Riprendendo le mosse dai principi già affermati da questa Corte in ordine ai termini di operatività, in caso di modifiche delle norme processuali, del principio tempus regit actum ove, come nella specie, difettino disposizioni che regolino il passaggio da vecchia a nuova norma, l’aspetto di maggior criticità, già considerato dalle sentenze dell’uno e dell’altro orientamento citate dalla ordinanza rimettente, è rappresentato dalla corretta individuazione dell’actus al quale, per l’applicabilità del canone ricordato, occorre fare riferimento; ciò in particolare laddove si consideri che, naturalmente, il processo non è un fenomeno isolato ed istantaneo, ma si compone di una serie concatenata di atti che si sviluppano nel tempo posti in essere da soggetti distinti, e dalla compresenza di norme regolatrici aventi contenuto e finalità molto diverse tra di loro.

Ne consegue che il principio regolatore deve essere necessariamente modulato in relazione alla variegata tipologia degli atti processuali ed alla differente situazione sulla quale essi incidono e che occorre di volta in volta governare.

Appare dunque indispensabile ricordare come le Sezioni Unite abbiano avvertito che “per actus non può intendersi l’intero processo, che è concatenazione di atti – e di fasi – tutti tra loro legati dal perseguimento del fine ultimo dell’accertamento definitivo dei fatti; una tale concatenazione comporterebbe la conseguenza che il processo ‘continuerebbe ad essere regolato sempre e soltanto dalle norme vigenti al momento della sua instaurazione, il che contrasterebbe con l’immediata operatività del novum prescritta dall’art. 11, comma 1, prel.” (Sez. U, Lista). E d’altra parte, come segnalato anche dalla dottrina, ove, invece, per actus si considerasse il singolo atto via via compiuto, il principio comporterebbe che, in tutti i processi ancora in corso, ai nuovi atti dovrebbero essere applicate immediatamente, sempre e comunque, le nuove norme, con conseguente rischio, tuttavia, di trascurare aspettative consolidatesi in ragione di atti precedenti strettamente collegati a quello atomisticamente considerato.

È questa, del resto, la ragione per cui possibili limiti o mitigazioni rispetto ad un’assolutizzazione delle regole meramente desumibili dal brocardo tempus regit actum sono stati ricavati dalla Corte costituzionale non solo dal principio di “ragionevolezza” (Corte Cost., ord. n. 560 del 2000), ma anche dall’esigenza di tutela dell'”affidamento” che il singolo dovrebbe poter nutrire nella stabilità di un determinato quadro normativo: affidamento che, almeno quando si trovi, a sua volta, “qualificato dal suo intimo legame con l’effettività del diritto di difesa“, riceve, anch’esso, il riconoscimento di principio “costituzionalmente protetto” (Corte Cost., sent. n. 394 del 2002).

Del resto, sul richiamo all'”affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica“, in quanto costituente “elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto“, sempre la Corte costituzionale ha avuto modo di far leva più volte, anche per risolvere questioni attinenti alla successione di leggi in materia diversa da quella processuale penale. Ad esempio, ha ribadito che la tutela dell’affidamento non comporta che, nel nostro sistema costituzionale, sia assolutamente interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata, e ciò “anche se il loro oggetto sia costituito dai diritti soggettivi perfetti, salvo, qualora si tratti di disposizioni retroattive, il limite costituzionale della materia penale (art. 25, comma 2, Cost.)“. Con non minor nettezza si è tuttavia sottolineato che dette disposizioni, “al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando così anche l’affidamento del cittadino nella sicurezza pubblica (recte: giuridica)” (Corte Cost., sent. n. 16 del 2017 e sent. n. 822 del 1988).

Né, più in generale, possono trascurarsi i riferimenti, talora evidenziati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, alla “accessibilità” ed alla “prevedibilità” come connotati essenziali del diritto penale, in una prospettiva che guarda non soltanto allo ius scriptum, ma altresì al “diritto vivente” espresso dalla giurisprudenza (ex plurimis, Corte EDU, 14/04/2015, Contrada c. Italia).

In definitiva, nella operazione di individuazione di quale norma, tra quelle succedutesi, vada applicata all’atto o alla sequenza di atti da disciplinare, possono venire in rilevo plurime istanze di rilievo costituzionale la cui composizione e armonizzazione è affidata ad un ricorso, equilibrato, attento, e ragionevole, da parte dell’interprete, ai criteri appena sopra ricordati.

Del resto, quello appena richiamato è anche lo sfondo tenuto ben presente dalla decisione, più volte richiamata, delle Sez. U, Lista allorquando è stato necessario in particolare regolare, in via interpretativa, la applicabilità della norma di cui all’art. 9 L. 20 febbraio 2006, n. 46, soppressiva della facoltà di appello della parte civile, ex art. 577 c.p.p., agli atti di impugnazione pendenti al momento dell’entrata in vigore della nuova disposizione.

Anche in quell’occasione le Sezioni Unite, interrogandosi su quale fosse l’actus cui fare in concreto riferimento per l’individuazione della disciplina applicabile in materia di impugnazione della parte civile, ebbero, a ben vedere, a ritenere insoddisfacente il mero richiamo alla regola tempus regit actum, che avrebbe portato ad “esiti irragionevoli” (in particolare con riferimento all’aleatorietà affidata alla tempestività o meno del deposito della sentenza da impugnare o agli adempimenti di cancelleria o ancora alla iniziativa più o meno tempestiva della parte interessata) ed optarono per ancorare il regime delle impugnazioni non alla disciplina vigente al momento della loro presentazione ma a quella in essere all’atto della pronuncia della sentenza; e ciò fecero facendo richiamo, al riguardo, proprio “all’esigenza di tutela dell’affidamento maturato dalla parte in relazione alla fissità del quadro normativo“, sottolineando che “tale affidamento come valore essenziale della giurisdizione che va ad integrarsi con l’altro, di rango costituzionale, della parità delle armi, soddisfa l’esigenza di assicurare ai protagonisti del processo la certezza delle regole processuali e dei diritti eventualmente già maturati senza il timore che tali diritti, pur non ancora esercitati, subiscano l’incidenza di mutamenti legislativi, improvvisi e non sempre coerenti col sistema, che vanno a depauperare o disarticolare posizioni processuali già acquisite“.

Tali principi, dunque, non possono non valere anche in una situazione, come quella di specie, parimenti connotata, in ragione di quanto sopra precisato, dalla intervenuta variazione di aspetti che, pur legati formalmente alla sola fase decisoria dell’impugnazione, finiscono, tuttavia, per riverberarsi sugli atti indirettamente, ma logicamente, propedeutici alla impugnazione stessa mutandone imprevedibilmente i connotati in maniera tale da lasciare “indifesa” la parte che tali atti abbia già svolto secondo quanto prescritto dalla normativa pregressa anche nella costante interpretazione, sopra ricordata, della Corte.

E ciò anche non considerando il requisito della “chiarezza e specificità” della redazione delle ragioni della domanda nell’atto di citazione ex art. 360 c.p.c. come introdotto dalla L. n. 149 del 2022 cit., cui dovrebbe essere omologato il requisito della causa petendi nell’atto di costituzione di parte civile, posto che, per volontà del legislatore, tali caratteristiche sarebbero richieste, secondo quanto disposto dalla L. n. 197 del 2022, per i soli procedimenti civili instaurati successivamente alla data del 28 febbraio 2023, continuando, per i procedimenti pendenti a tale data, ad applicarsi le disposizioni anteriormente vigenti: già la sola necessità sostanziale di adozione, nell’atto di costituzione di parte civile, del testo dell’art. 360 c.p.c. nella versione anteriore alle modifiche suddette, non potrebbe non riverberarsi sulle legittime aspettative della parte civile che abbia presentato l’impugnazione prima dell’entrata in vigore del D.Lgs n. 150 del 2022. 

Il necessario rispetto delle ragioni di affidamento dell’impugnante nella non variazione del quadro di sistema coesistente al momento dell’impugnazione, ragioni evidentemente dirimenti anche nel caso di specie, deve dunque indurre inevitabilmente ad individuare nel momento del deposito dell’atto di costituzione di parte civile lo spartiacque di delimitazione tra impugnazioni soggette al regime previgente e impugnazioni assoggettate, invece, alla nuova normativa.

E ciò per le ragioni che sopra si sono precisate.

Nessuno dei due orientamenti in contrasto può, dunque, essere condiviso: non, anzitutto, quello dell’immediata applicabilità della nuova norma a tutte le impugnazioni comunque pervenute alla Corte d’appello e alla Corte di cassazione successivamente all’entrata in vigore della stessa, essendosi essenzialmente trascurato, nell’analisi della nuova disciplina, il decisivo segno di cambiamento rappresentato dall’attribuzione della decisione sull’impugnazione non più al giudice penale bensì al giudice di appello civile o alla sezione civile della Corte di cassazione e la incidenza di detto novum sulle ragioni di affidamento dell’impugnante originate dall’assetto precedente.

Il significato della innovazione rispetto al precedente assetto, rappresentata dal combinato disposto degli artt. 78 e 573, comma 1-bis, cit., non può essere “vanificato” neppure argomentando sulla base della considerazione, sostanzialmente presente in tutte le pronunce rappresentative di detto indirizzo, per cui, già a decorrere dalla pronuncia della Corte Cost., n. 182 del 2021, l’accertamento dell’illecito che sarebbe richiesto al giudice, anche in sede penale, ai fini delle statuizioni sul risarcimento dei danni, avrebbe sempre natura civilistica; più in particolare, affermandosi che il giudice penale dell’impugnazione sarebbe chiamato ad accertare solo la fattispecie aquiliana, senza alcun riferimento a profili inerenti alla responsabilità penale dell’imputato, detto orientamento ha richiamato, come si è visto, quelle pronunce secondo cui il giudice penale dovrebbe comunque utilizzare il giudizio della probabilità prevalente in luogo di quella fissata dall’art. 533, comma 1, c.p.p., facendo utilizzazione della “lettura” dell’art. 578 c.p.p. operata dalla suddetta pronuncia della Corte costituzionale (Sez. 4, n. 37193 del 15/09/2022, Ciccarelli, Rv. 283739-01 e Sez. 2, n. 11808 del 14/01/2022, Restaino, Rv. 283377).

Dunque, si è aggiunto, la prosecuzione in sede civile del giudizio non comporterebbe, rispetto al passato, alcuna modificazione nell’applicazione delle regole processuali e probatorie con conseguente insussistenza di un “affidamento” da tutelare e immediata applicabilità della nuova disposizione di cui all’art. 573, comma 1-bis, cit.

Va tuttavia osservato che, nella impostazione della sentenza n. 182 del 2021 della Corte costituzionale, il “contenimento” dell’accertamento del danno all’interno della responsabilità da atto illecito ex art. 2043 c.c., con le conseguenze processuali e probatorie da esso derivanti, è disceso dalla necessità di non violare il diritto dell’imputato alla presunzione di innocenza tutte le volte in cui la responsabilità penale di quest’ultimo non possa più formare oggetto di accertamento; ma un tale presupposto, invocato non a caso con riguardo ad intervenuta estinzione del reato per amnistia o prescrizione (come è infatti delle sentenze di Sez. 4, n. 37193 del 15/09/2022, Ciccarelli, cit. e Sez. 2, n. 11808 del 14/01/2022, Restaino, cit.) o ad ipotesi in qualche modo a questa equiparabili (come quella dell’impugnazione di parte civile ai soli effetti civili con conseguente passaggio in giudicato della eventuale assoluzione ai fini penali, tanto che proprio a quest’ultima hanno avuto riguardo alcune delle pronunce di cui all’indirizzo in esame), non pare potere valere nel caso di specie; ivi, infatti, passata in giudicato la sentenza di condanna, l’impugnazione ha avuto riguardo ai soli aspetti civili, ben potendo l’accertamento del danno, proprio perché ormai accertata la responsabilità penale, estendersi all’ambito del reato.

Se anche, dunque, si guardasse alle ipotesi per le quali le coordinate dell’attuale giudizio di responsabilità potrebbero già coincidere, per effetto della citata lettura costituzionale, con quelle introdotte dagli artt. 78 e 573, comma 1-bis cit., non per questo perderebbe di valore l’esigenza di assicurare, nelle altre ipotesi, la tutela dell’affidamento della parte impugnante; e poiché evidenti ragioni di certezza anche del diritto processuale impongono l’adozione, sia pure in via interpretativa, di una regola “transitoria” di carattere generale, si dovrebbe comunque sempre pervenire alla conclusione che individua nella presentazione dell’atto di costituzione di parte civile il momento discriminante tra applicazione delle norme previgenti e applicazione di quelle nuove.

Del resto, mentre il ricorso alla qui prescelta regola nei casi ricadenti nella ratio della sentenza della Corte costituzionale comporterebbe un “eccesso” di garanzia, al più non dovuto ma certo non lesivo dei diritti difensivi, viceversa, l’applicazione immediata delle nuove norme ai casi diversi da quelli si tradurrebbe, come visto, in una lesione dell’aspettativa della parte impugnante a non vedere variato il quadro normativo preesistente che affonda le proprie radici in un quadro di carattere anche costituzionale.

In definitiva, l’operazione di graduazione, appena vista, dei costi e dei benefici relativi, ove si tratti di dettare regole di transizione da un sistema all’altro necessariamente uniformi, non potrebbe evidentemente prescindere dall’osservanza del criterio di proporzionalità o ragionevolezza, insito nell’art. 3 Cost. e certamente applicabile anche in tal caso.

Né a conclusioni diverse possono condurre la ritenuta possibilità di modificare la domanda in sede di giudizio di rinvio civile, possibilità che, mutuata dalla lettura giurisprudenziale in particolare dell’art. 622 c.p.p., non è invece esperibile con riferimento al nuovo art. 573, comma 1-bis, introduttivo non già, come visto, di un giudizio autonomo rispetto al primo ma di una prosecuzione sempre del medesimo originario giudizio.

Così come non appaiono conducenti i richiami a precedenti pronunce delle Sezioni Unite onde individuare già in esse i prodromi del principio dell’immediata applicabilità della nuova norma.

Non pertinente appare, infatti, il richiamo anzitutto alla sentenza di Sez. U, n. 11586 del 30/09/2021, dep. 2022, D., Rv. 282808-01, affermativa dell’applicabilità, anche ai giudizi relativi a sentenze pronunciate prima della entrata in vigore della L. 23 giugno 2017, n. 103, del nuovo comma 3-bis dell’art. 603 c.p.p., stante la diversità dell’actus colà considerato (ovvero la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale), non inserito, come nella specie, in una sequenza iniziata già in precedenza e non scindibile in singoli momenti.

Neppure rilevante appare la decisione di Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017, Matrone, Rv. 275201, implicitamente affermativa dell’applicabilità, in un procedimento iniziato nel 2016, della nuova ipotesi di annullamento senza rinvio di cui all’art. 620, comma 1, lett. I), c.p.p., introdotta con la L. n. 103 del 2017 in un momento temporale successivo, anche in tal caso essendosi evidentemente in presenza di un atto (la decisione di annullamento senza rinvio anziché di annullamento con rinvio) privo di effetti pregiudizievoli sulle legittime aspettative dell’impugnante, con piana applicazione del principio di cui all’art. 11 preleggi.

Da ultimo, neppure la pronuncia di Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, Perroni, Rv. 270270, appare probante nel senso invocato da uno dei due indirizzi in contrasto, posto che l’applicabilità dell’art. 578-bis c.p.p. alle sentenze pronunciate prima dell’entrata in vigore di tale norma, introdotta dall’art. 6, comma 4, del D.Lgs. n. 1 marzo 2018, n. 21, è stata chiaramente determinata proprio dalla linea di continuità della disposizione, pur formalmente nuova, rispetto alla possibilità di operare, anche in precedenza, la confisca edilizia pur in presenza di intervenuta prescrizione del reato alla luce della costante interpretazione dell’art. 44 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (cfr. Sez. 3, n. 21910 del 07/04/2022, Licata, Rv. 28332502)

Neppure può essere seguito l’orientamento della applicabilità della norma alle sole impugnazioni relative alle sentenze pronunciate o depositate dopo la data del 30 dicembre 2022, seppur fondato su un’impostazione preoccupata, in linea con la limitazione del principio del tempus regit actum, di non arrecare lesioni alle legittime aspettative della parte impugnante.

Tale indirizzo appare, infatti, avere limitato impropriamente in tal modo l’ambito di applicazione del principio di affidamento dell’impugnante senza, anch’esso, considerare il riflesso della sequenza impugnatoria sui collegati requisiti di redazione dell’atto di costituzione di parte civile, in una necessaria visuale di complessiva considerazione dell’actus interessato e finendo per arrestarsi, anch’esso, su una linea di cesura tra giudizio di impugnazione instaurato dinanzi al giudice penale e giudizio proseguito dinanzi al giudice civile smentita dalla lettera e dalla ratio della nuova norma.

Cassazione Penale, Sezioni Unite, 21 settembre 2023 (ud. 25 maggio 2023), n. 38481

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