La Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi, con la sentenza n. 46333/2023 della Prima Sezione Penale, sul delicato tema relativo la legittimità costituzionale della norma contenuta nell’art. 438, comma 1 bis, c.p.p. nella parte in cui prevede che “Non è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo” quando la stessa, ossia la pena perpetua, sia il prodotto dell’applicazione di una o più circostanze aggravanti e non sia prevista, ex se, dalla norma incriminatrice.

Nel caso di specie, il ricorrente poneva all’attenzione del Supremo Collegio una complessa questione di legittimità costituzionale “tratteggiando un parallelismo tra la disposizione dell’ art. 438 c.p.p., comma 1-bis, che recita: “non è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo” e quella di cui all’art. 344-bis c.p.p – introdotto dalla riforma Cartabia – che, al comma 9, esclude l’operatività del nuovo istituto della improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione “per i delitti puniti con l’ergastolo, anche come effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti” ”.

Difatti, secondo il ricorrente la novità legislativa, prevista dal comma 9 della norma contenuta nell’art. 344-bis c.p.p. rubricata “Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione”, testualmente prevede che “Le disposizioni del presente articolo (ossia dell’art. 344 – bis c.p.p.) non si applicano nei procedimenti per i delitti puniti con l’ergastolo, anche come effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti”.

Il contenuto delle modifiche apportate dalla riforma Cartabia al codice di rito e, specificamente, alla nuova norma contenuta nell’art. 344 bis c.p.p. “avrebbe riflessi sulla precedente disposizione, da ritenersi applicabile soltanto ai reati ex se puniti con la pena perpetua, mentre si deve escludere la preclusione al rito speciale per i reati che comportano l’ergastolo a causa dell’incidenza di circostanze aggravanti”.

Pertanto, secondo il ricorrente, una lettura sistematica e costituzionalmente orientata della norma contenuta nell’art. 344 bis c.p.p. nella parte in cui non permette la c.d. “improcedibilità” per i delitti puniti con l’ergastolo “anche come effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti” e della norma contenuta nell’art. 438 c.p.p. (che prevede l’impossibilità di accesso al rito abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo) determinerebbe la necessaria “rilettura” (in favore del reo) dell’art. 438, comma 1 bis, c.p.p. attesa la evidente contrapposizione esistente tra le due norme in questione.

Di tal che, diverrebbe possibile l’accesso al rito abbreviato per i delitti che prevedono la pena dell’ergastolo nel caso in cui la pena perpetua sia il “frutto” della applicazione di circostanze aggravanti e non sia direttamente prevista dalla norma incriminatrice (si pensi, ad esempio agli artt. 244 c.p. o 422 c.p. che prevedono, ex se, la pena dell’ergastolo indipendentemente dalla sussistenza di circostanze aggravanti).      

Di conseguenza, il ricorrente fondava il proprio ragionamento sulla presenza di una sorta di “sistema binario della pena dell’ergastolo” che determinerebbe:

  • la possibilità di accedere al rito premiale nel caso in cui la pena perpetua sia il prodotto della applicazione di una o più circostanze aggravanti;
  • l’impossibilità di accedere al rito abbreviato nel caso in cui la norma incriminatrice preveda direttamente l’irrogazione, ex se, della pena dell’ergastolo.

Il Supremo Collegio non condivideva la tesi del ricorrente sulla base delle argomentazioni, di seguito, indicate.

Primariamente, secondo la Suprema Corte, devesi evidenziare la natura lapidaria della norma contenuta nell’art. 438 c.p.p..

Difatti, “la mancanza di specificazioni, limitazioni, distinguo di ogni genere, denota la volontà legislativa di escludere il rito premiale per tutti i delitti che comportano tale sanzione, in via diretta oppure come effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti”.

Parimenti “l’istituto della improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione ha inteso esprimere il medesimo concetto, puntualizzando che non sono soggetti alla cesoia temporale i processi per i delitti di maggiore allarme sociale, individuandoli in quelli punibili con l’ergastolo come pena originariamente prevista ovvero derivante dall’applicazione di circostanze aggravanti”.

Pertanto, secondo il Supremo Consesso, devesi rilevare:

  • che non sussiste alcuna contrapposizione tra quanto previsto dalla norma contenuta rispettivamente nell’art. 438 c.p.p. e nell’art. 344 bis c.p.p.;
  • che, pur accedendo alla tesi del ricorrente secondo la quale la ridetta contrapposizione depotenzierebbe “il carattere onnicomprensivo del richiamo ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo contenuto nell’art. 438 c.p.p., comma 1 bis”, non sarebbe possibile “mediante una norma sopravvenuta” giungere all’applicazione di “criteri interpretativi a ritroso”;
  • che “la specificazione introdotta dalla cosiddetta riforma Cartabia” costituisce, invece, la conferma del recente orientamento della Corte Costituzionale in materia.

Ancora, il ricorrente sollevava questione di legittimità costituzionale in relazione alla circostanza aggravante prevista dalla norma contenuta nell’art. 577, comma 1, n.1, c.p.p. – che prevede la irrogazione della pena dell’ergastolo se il fatto previsto dall’art. 575 c.p. sia stato commesso ai danni del coniuge – per contrasto con le norme contenute negli artt. 3 e 27 Cost..

Difatti, la violazione delle norme costituzionali “ad opera del nuovo art. 577 c.p., comma 1, n. 1, che impone una pena rigidamente predeterminata” ossia quella dell’ergastolo si porrebbe “in spregio al principio di massima individualizzazione del trattamento sanzionatorio ricavabile dagli indicati parametri costituzionali e dal criterio di proporzione che presiede alla graduazione delle sanzioni in base alla concreta gravità oggettiva e soggettiva del delitto”.

Anche in questo caso, la Supreme Corte non condivideva le argomentazioni del ricorrente affermando che “il bilanciamento di valori ed interessi introdotto dalla L. 11 gennaio 2018, n. 4 risponde in pieno alla necessità di aggiornare l’impianto normativo penale alla mutata sensibilità dei consociati verso il gravissimo fenomeno della violenza domestica e di genere, costituente vera e propria emergenza sociale italiana. In tale prospettiva è stata inserita una serie di norme che attribuiscono il giusto riconoscimento alla gravità di crimini perpetrati in contesti familiari o di altre forme di prossimità di vita, ciò costituendo la ratio che ha indotto il legislatore ad estendere a tali diffuse situazioni nevralgiche di particolare esposizione a pericolo delle persone offese il trattamento sanzionatorio previsto per le più gravi ipotesi di omicidio, nelle quali correttamente ora risulta inserito anche l’omicidio in danno del coniuge (…) secondo una rimodulazione imposta dalla recrudescenza di tali eventi e dall’acuito allarme sociale che ne deriva”.

 

Cass. pen., sez. I, ud. 3 luglio 2023 (dep. 16 novembre 2023), n. 46333, Pres. Calvanese – Rel. Travaglini

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