La Sesta Sezione, con il pronunciamento in questione, ha affermato che, in caso di sostituzione della pena detentiva carceraria con la c.d. “detenzione domiciliare sostitutiva” (come previsto dall’ art. 56 della L. n. 689 del 1981, così modificato a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022), il giudice è obbligato a seguire attentamente le regole procedurali poste a base della c.d. “scansione bifasica” e, soprattutto, a garantire l’interlocuzione del Pubblico Ministero sulla possibile attuazione della “detenzione domiciliare sostitutiva” posto che il mancato avviso e la conseguente impossibilità di interloquire dell’organo inquirente conduce all’integrazione di una nullità d’ordine generale ex art. 178 c.p.p., comma 1, lett. b).

La Suprema Corte, con la sentenza n. 47674 emessa dalla VI Sezione Penale, accoglieva il ricorso proposto dal Procuratore Generale il quale aveva impugnato la sentenza emessa dalla Corte di appello di Campobasso che, in riforma della sentenza di primo grado, aveva rideterminato la pena nei confronti dell’imputato – in relazione ai reati contestati e previsti dalle norme contenute negli artt. 61 c.p., comma 1, n. 1, art. 81 cpv. c.p., art. 572 c.p., commi 1 e 2 – in anni quattro di reclusione e disponeva la sostituzione della pena con la detenzione domiciliare (oltre quella accessoria).

Il Procuratore generale della Repubblica lamentava violazione di legge e mancanza di motivazione attesa:

  • l’avvenuta sostituzione della pena detentiva con quella della detenzione domiciliare, da parte della corte territoriale, senza il preventivo parere del pubblico ministero e senza il previsto programma di recupero e reinserimento sociale con le correlate prescrizioni;
  • la applicazione automatica – in violazione della norma contenuta nell’art. 27 Cost. volta al reinserimento sociale del condannato – della misura sostitutiva che, come previsto dall’art. 56 L. n. 689 del 1981 (modificato dal D.Lgs. n. 150 del 2022) avrebbe, invece, richiesto un’attenta valutazione giudiziale in ordine alle “comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro e di salute del condannato” e non una semplice operazione di sostituzione della pena fondata sulla mera idoneità numerica della pena inflitta ai parametri edittali normativamente previsti.

La Suprema Corte, accogliendo il ricorso, rappresentava che il giudice di secondo grado aveva deciso sulla suindicata richiesta sostitutiva senza instaurare il doveroso contraddittorio e aveva, pertanto, disposto la sostituzione della pena detentiva sulla base della mera “idoneità del domicilio familiare (ove non trovansi più le pp.oo. ed in cui è in corso la misura cautelare domiciliare) che è a disposizione dell’imputato ed in vista di un più adeguato reinserimento sociale, dando informazione della sostituzione all’U.E.P.E. “per quanto di competenza”.

Preliminarmente, il Supremo Collegio si è soffermato sulla possibilità dell’imputato di chiedere l’applicazione delle c.d. pene detentive brevi ex art. 20 bis c.p. anche nel caso in cui il medesimo non abbia formulato tale richiesta con i motivi di gravame.

Secondo la Suprema Corte la suddetta richiesta può essere formulata fino alla discussione in appello atteso che trattasi di applicazione di nuove pene sostitutive più favorevoli da applicarsi, pertanto, “ai giudizi di appello in corso all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022, senza introdurre limitazioni attinenti alla fase – introduttiva o decisoria – del giudizio medesimo e, quindi, senza imporre che la richiesta sia contenuta nei motivi – originari o aggiunti – del gravame”.

Pertanto, la richiesta di accesso a una pena diversa da quella infra-carceraria (in caso di condanna non superiore ad anni 4 di reclusione) diviene possibile anche nel giudizio di appello (senza che l’imputato sia obbligato a richiederla nel corpo dell’atto di gravame) nel rispetto, pur sempre, di quel contraddittorio necessario ai fini di una attenta valutazione della sussistenza o meno dei presupposti per la sostituzione della pena detentiva. 

Di tal che, tenuto conto della norma transitoria prevista dall’art. 95 del D.Lgs. n. 150/2022, rubricata “Disposizioni transitorie in materia di pene sostitutive delle pene detentive brevi”, la quale è entrata in vigore in data 30.12.2022 “si è quindi reso applicabile ai processi pendenti in appello alla data del 30.12.2022 – secondo la sentenza Agostino – anche l’art. 545-bis c.p.p..

Ciò posto, la Suprema Corte sottolinea l’importanza dell’istituto in questione atteso che “sulla base della disciplina normativa sopra illustrata, la sostituzione della reclusione con una pena sostitutiva non costituisce diritto dell’imputato ma – così come si è pacificamente ritenuto in riferimento alle “sanzioni sostitutive” disciplinate dall’originaria L. n. 689 del 1981, art. 53 – rientra nell’ambito della valutazione discrezionale del giudice”.

Di conseguenza, il meccanismo applicativo non è automatico posto che “la sostituzione delle pene detentive brevi è rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice, che deve essere condotta con l’osservanza dei criteri di cui all’art. 133 c.p., prendendo in esame, tra l’altro, le modalità del fatto per il quale è intervenuta condanna e la personalità del condannato (ex multis, Sez. 3, n. 19326 del 27/01/2015, Pritoni, Rv. 263558 – 01)”.

Orbene, nel caso di specie, la Corte rilevava come il giudice di secondo grado, nel procedere alla sostituzione della pena detentiva, fosse caduto in errore omettendo di applicare “le regole procedurali connesse alla “scansione bifasica”, “non (avesse) consentito l’interlocuzione del Pubblico ministero al quale non (aveva) dato avviso della possibilità di pervenire alla sostituzione della pena, così integrandosi la nullità d’ordine generale ex art. 178 c.p.p., comma 1, lett. b)”, “non (aveva) svolto alcun – necessario – esame, tra l’altro, sulle modalità del fatto per il quale è intervenuta condanna e sulla personalità dell’imputato”, “(non aveva) giustificato la scelta del tipo di pena erogata e la sua idoneità al reinserimento sociale del condannato” e “infine, non (aveva) disposto alcuna prescrizione alla quale l’imputato (doveva vincolarsi) al fine di tale reinserimento con la correlata positiva presunzione di loro adempimento”.

Sulla scorta di tali considerazioni di carattere giuridico, la Suprema Corte disponeva l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza per un nuovo esame sulla possibile concessione della c.d. “detenzione domiciliare sostitutiva” sulla base dei criteri dianzi indicati.

 

Cass. Pen. Sez. VI, 24/10/2023, n. 47674

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