La Corte Costituzionale con sentenza dell’11 dicembre 2023 n. 217, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, quinto comma, del codice penale, nella parte in cui non consentiva di ritenere prevalente o equivalente la circostanza attenuante del vizio parziale di mente prevista dall’art. 89 c.p., allorché concorra con l’aggravante di cui al terzo comma, numero 3-bis), dello stesso art. 628.

Nell’ambito di un procedimento nei confronti di una persona imputata di tentata rapina pluriaggravata dall’uso di un’arma (art. 628, terzo comma, numero 1, c.p.) e della commissione del fatto in luogo di privata dimora (art. 628, terzo comma, numero 3-bis, c.p.), il Tribunale ordinario di Torino, sezione prima penale, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma della Costituzione, dell’art. 628, quinto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede «il divieto di equivalenza o prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 89 c.p. sulle circostanze aggravanti indicate dal terzo comma, numero 3 bis della medesima disposizione».

In giudizio emergeva infatti che all’imputata doveva essere riconosciuta la circostanza attenuante del vizio parziale di mente di cui all’art. 89 c.p.  poiché soffriva di un disturbo schizo – affettivo, connesso anche all’uso di sostanze stupefacenti, con sintomi psicotici di tipo delirante e di alterazione dell’umore di tipo prevalentemente disforico.

Invero, in ordine alla rilevanza delle questioni prospettate, il Tribunale osservava che ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 628 c.p., l’aggravante di cui al terzo comma, numero 3-bis), c.p. è sottratta all’ordinario giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee. Pertanto, le circostanze attenuanti di cui agli artt. 89 e 62-bis c.p. avrebbero potuto incidere sulla determinazione della sanzione da infliggere «solo dopo che la pena base è stata inasprita per effetto dell’aggravante c.d. privilegiata», né, del resto, sarebbe stata possibile una diversa interpretazione dell’art. 628, ultimo comma, c.p., stante il tenore letterale della disposizione.

Il Tribunale di Torino, articolava così tre censure: 

1)       in primo luogo, la disciplina in questione parificherebbe indebitamente, sul piano sanzionatorio, fatti connotati da differente gravità dal punto di vista soggettivo (art. 3 Cost.); 

2)       in secondo luogo, essa determinerebbe l’irrogazione di pene sproporzionate rispetto al grado di colpevolezza dell’imputato e, per la medesima ragione, non rispettose nemmeno del principio di personalità della responsabilità penale (artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost.);

3)       infine, essa risulterebbe intrinsecamente irragionevole, e pertanto in contrasto con l’art. 3 Cost., perché non vi sarebbe alcuna ragione per distinguere il trattamento dell’attenuante del vizio parziale di mente da quello riservato dal legislatore all’attenuante della minore età di cui all’art. 98 cod. pen. – ritenuta dal rimettente «per molti versi analoga» a quella di cui all’art. 89 cod. pen. – che la disposizione censurata espressamente eccettua dal divieto di equivalenza o prevalenza delle circostanze attenuanti.

Peraltro, evidenziava ancora il Giudice a quo, che la  Corte Costituzionale nella sentenza n. 73/2020  ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 69, quarto comma, c.p., nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 89 c.p. sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, c.p., evidenziando come tale divieto sia stato ritenuto contrario sia al principio di proporzionalità della pena di cui agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost., sia al principio di personalità della responsabilità penale , di cui all’art. 27 Cost. 

La Corte Costituzionale, ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale con riferimento all’irragionevole disparità, ai sensi dell’art. 3 Cost., fra il trattamento riservato dalla disposizione censurata alla circostanza attenuante della minore età di cui all’art. 98 c.p., rispetto a quello riservato all’attenuante del vizio parziale di mente di cui all’art. 89 c.p. 

Il legislatore, nell’esercizio della propria discrezionalità, ha previsto una specifica eccezione alla generale operatività del divieto di equivalenza o prevalenza delle attenuanti rispetto alle aggravanti menzionate dalla disposizione censurata, in favore soltanto della circostanza della minore età di cui all’art. 98 c.p. 

Tale scelta legislativa potrebbe in ipotesi spiegarsi in ragione dei caratteri peculiari del diritto penale minorile, affidato, con «scelta […] costituzionalmente vincolata», a una «giurisdizione specializzata, i cui operatori [sono] selezionati anche sulla base della specifica competenza professionale in materia di minori, e che opera secondo finalità e sulla base di regole differenti da quelle che caratterizzano la giurisdizione penale ordinaria».

Ebbene, prosegue la Corte, «dal momento che lo scopo sotteso al quinto comma dell’art. 628 c.p. ora all’esame è evidentemente quello di assicurare a talune ipotesi di rapina aggravata – ritenute dal legislatore produttive di particolare allarme sociale – una pena più severa di quella cui condurrebbe, nella generalità dei casi, l’applicazione dello stesso art. 69 c.p., la ratio della deroga a tale disciplina in favore dei condannati minorenni non può che sottendere la valutazione, da parte del legislatore, di una più ridotta meritevolezza di pena di chi abbia commesso il fatto essendo ancora minorenne, per quanto già giudicato imputabile dal giudice». 

Evidenzia allora la Consulta che una tale diminuzione della colpevolezza per il fatto di reato non può, però, non essere affermata anche con riferimento a chi abbia agito trovandosi in «tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere e di volere», come recita l’art. 89 c.p. . Ed infatti, copiosa giurisprudenza di legittimità ha più volte avuto modo di sottolineare che lo stato di mente cui si riferisce l’art. 89 c.p. presuppone un’anomalia psichica significativa, che comprende le vere e proprie malattie mentali, nonché i disturbi della personalità «di consistenza, intensità, rilevanza e gravità tali da concretamente incidere sulla capacità di intendere e di volere», oltre che dei disturbi della coscienza e della volontà provocati dall’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti, in ogni ipotesi in cui tali effetti siano comunque riconducibili a una scelta rimproverabile all’autore (artt. 92,93 e 94 c.p.).

Del resto, prosegue ancora la Consulta, la situazione della persona inferma di mente è equiparata, in alcune altre ipotesi nell’ordinamento penale, a quella del minorenne (come nella disciplina di cui all’art. 112, primo comma, numero 4), c.p., che prevede un identico aggravamento di pena a carico di chi abbia concorso con un «minore di anni 18 o una persona in stato di infermità o di deficienza psichica» nella commissione di un reato).

L’art.628 quinto comma c.p., pertanto, «non supera lo scrutinio di legittimità costituzionale al metro dell’art. 3 Cost. la scelta del legislatore di non estendere al condannato affetto da vizio parziale di mente la stessa regola derogatoria prevista per il condannato minorenne». 

Infatti, «una volta che il legislatore abbia ritenuto di prevedere una specifica deroga all’applicazione del meccanismo di computo delle circostanze previsto dall’art. 628, quinto comma, c.p. in favore dei minorenni, un imperativo di coerenza, per linee interne al sistema, esige che tale deroga si estenda anche alla posizione, del tutto analoga sotto il profilo che qui rileva, degli imputati affetti da vizio parziale di mente».

Per questi motivi La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, quinto comma, del codice penale, nella parte in cui non consente di ritenere prevalente o equivalente la circostanza attenuante prevista dall’art. 89 cod. pen., allorché concorra con l’aggravante di cui al terzo comma, numero 3-bis), dello stesso art. 628.

Tuttavia ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 628, quinto comma, cod. pen., sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione – sotto i profili dell’irragionevole equiparazione, sul piano sanzionatorio, di fatti di reato aventi disvalore differente e della violazione dei principi di proporzionalità e personalità della pena.

 SENTENZA N. 217 ANNO 2023

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