La configurabilità della legittima difesa è esclusa solo in caso di determinazione volontaria dello stato di pericolo in capo al soggetto agente stante il difetto del requisito della necessità della difesa. L’esimente prevista dalla norma contenuta nell’art. 52 c.p. non è applicabile nei confronti di chi pone in essere una condotta violenta nella consapevolezza, non solo, di determinare la reazione aggressiva altrui ma, anche, di accettare la situazione di pericolo innescata.

La Quinta Sezione Penale, con la pronuncia in allegato, dichiarava inammissibile il ricorso proposto dal Procuratore Generale presso il Tribunale di Savona avverso la sentenza assolutoria emessa nei confronti di un soggetto accusato di aver commesso il reato di lesioni (guaribili in giorni 30) in concorso con il fratello, all’epoca dei fatti, minorenne.

Il ricorrente lamentava la inosservanza ed erronea applicazione di legge e, nello specifico, della norma contenuta nell’art. 52 c.p. considerato:

  • che l’imputato si sarebbe volontariamente posto in una situazione di pericolo a seguito della richiesta di intervento del fratello;
  • che, alla luce di quanto indicato al punto che precede, non sarebbe stato possibile ritenere la sussistenza della necessità di reagire alla condotta violenta altrui attesa la possibilità, per l’imputato, di darsi alla fuga o di predisporre una difesa non violenta;
  • che la gravità delle lesioni riportate dall’aggressore avrebbe dovuto indurre l’organo giudicante a ritenere non proporzionale la condotta reattiva, posta in essere dall’imputato, rispetto a chi aveva dato inizio all’aggressione.

Ciò posto, devesi rilevare che, secondo il Supremo Collegio, il ricorrente avrebbe errato nel considerare insussistente la c.d. “determinazione volontaria dello stato di pericolo” la quale esclude “la configurabilità della legittima difesa per difetto del requisito della necessità della (medesima)”.

Difatti, “l’esimente non è applicabile a chi agisce nella ragionevole previsione di determinare una reazione aggressiva, accettando volontariamente la situazione di pericolo da lui determinata (cfr., ex ceteris, Sez. 1, Sentenza n. 2911 del 07/12/2007, dep. 2008, Marrocu, Rv. 239205 -01)”.

Nel caso di specie, invece, l’imputato si era posto nella situazione di pericolo poiché invitato dal fratello minorenne a rientrare a casa considerato l’arrivo (presso la casa di abitazione dei primi) di tre ragazzi intenti a risolvere alcune questioni con il minore.

La situazione dianzi esposta aveva ingenerato un naturale stato di timore in capo all’imputato a differenza di quanto prospettato dal Procuratore Generale nel corpo del proprio ricorso.

E, ancora, la Suprema Corte ha sottolineato come, nella fattispecie, ricorresse il requisito della necessità attesa “l’impossibilità o, comunque, (la) concreta difficoltà dello stesso di darsi alla fuga o di reagire con altre modalità “pacifiche””.

Difatti, secondo il Supremo Collegio, la presenza di tre soggetti avrebbe impedito la fuga e non avrebbe, certamente, disincentivato la condotta aggressiva in corso.

Infine, in relazione al profilo della proporzionalità della reazione, la Corte ha rilevato come la condotta dell’imputato era da reputarsi “eguale e contraria” (trattavasi di un pugno a mani nude) rispetto a quella primaria (ossia la condotta) posta in essere dall’aggressore.

Pertanto, il ricorrente avrebbe errato, anche in questo caso, nel ritenere sussistente un “difetto di proporzionalità della reazione solo per i più gravi esiti che la medesima ha poi avuto sulla persona (dell’aggressore)”.

La Suprema Corte, sulla scorta delle argomentazioni logico-giuridiche dianzi esposte, dichiarava inammissibile il ricorso.

 

Cass. Pen. Sez. V – ud. 10/11/2023, n. 49674

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