Con l’entrata in vigore del D. Lg.vo 150 del 2022, come noto, alcuni reati prima perseguibili d’ufficio sono poi divenuti procedibili a querela di parte: querela che deve intervenire entro i termini stabiliti dalla novella ( art. 85 del D. Lg.vo 150 del 2022)  pena l’improcedibilità dell’eventuale instaurata azione penale.

Nell’ipotesi specifica, i ricorsi degli imputati lamentavano sostanzialmente l’erronea applicazione della legge penale con riguardo agli artt. 624 e 625 cod. pen., rilevando l’intervento della condanna in appello nonostante nelle more era entrato in vigore del D. Lg.vo 150 del 2022, che aveva reso quei reati  perseguibili a querela. La Suprema Corte, nel dichiarare l’inammissibilità di tutti i ricorsi (tranne uno),  si è occupata di stabilire se, in sede di legittimità, era possibile dedurre o rilevare la improcedibilità dell’azione penale relativamente a condotte perfezionatesi nel regime normativo precedente alla entrata in vigore della riforma e giudicate con sentenze emesse, in appello, prima del 30 dicembre 2022, ma per le quali, a quella data, non fosse decorso e fosse pendente il termine per proporre ricorso per cassazione.

Ebbene, la Suprema Corte, perseguendo il solco già tracciato dalle Sez. Un. n. 40150 del 21.06.2018, ha chiarito che nel giudizio di legittimità, l’inammissibilità del ricorso, impedendo la costituzione del rapporto processuale, preclude la considerazione della mancata proposizione della querela in relazione a reati per i quali, nelle more, e pendente il termine per la impugnazione, sia stata prevista la procedibilità dell’azione penale ad istanza di parte; con la ulteriore conseguenza per cui non è necessario, in tal caso, attendere il decorso del termine di tre mesi dall’entrata in vigore del d.Lgs. 150/22, per l’eventuale esercizio dell’istanza punitiva.

Sostanzialmente, la Suprema Corte ha ritenuto che la sopravvenienza della procedibilità a querela non può ritenersi in grado di operare come una ipotesi di abolitio criminis prevalendo, perciò, sulla inammissibilità del ricorso e, dunque, sul “giudicato sostanziale” conseguentemente formatosi.

Ulteriormente, la Suprema Corte, trattando dei ricorsi che avevano ad oggetto doglianze collegate ai reati per cui era intervenuto l’accordo sulla pena, ex art. 599 c.p.p., e che in alcuni casi riguardavano anche i reati divenuti procedibili a querela di parte per effetto della novella legislativa,  ha anche affermato, in conformità alla giurisprudenza della stessa Corte,  che la rinuncia ai motivi di appello sui quali ricade l’accordo sulla pena determina l’immediato passaggio in giudicato del punto sul quale la stessa cade senza possibilità per il giudice di pronunciare sentenza di modifica della qualificazione dei fatti né, tanto meno, diritto della parte rinunciante a proporre impugnazione di legittimità sul punto.

Conseguentemente, la Suprema Corte, anche in ordine ai reati per i quali era intervenuto l’accordo sulla pena, ha ritenuto inammissibile il ricorso e conseguentemente anche una eventuale declaratoria di sopravvenuta improcedibilità dell’azione penale.

 

Cassazione penale sez. II – 11/10/2023 ( dep. il 24 novembre 2023), n. 47311

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