In tema di mandato d’arresto europeo, a seguito della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in data 21/12/2023, che ha offerto un’interpretazione della normativa eurounitaria relativa alla subiecta materia di portata generale ai fini dell’applicazione delle ragioni di rifiuto funzionali al rispetto dei diritti fondamentali e delle garanzie costituzionali di cui all’art. 2 legge 22 ottobre 2005, n. 69, l’autorità giudiziaria di esecuzione non può rifiutare la consegna sol perché la persona alla quale si riferisce la richiesta sia madre di prole con lei convivente, di età inferiore ad anni tre, essendo onere della parte allegare, a tal fine, circostanze che dimostrino che, nello Stato richiedente, vi siano sistemiche carenze strutturali, valevoli a compromettere la tutela dei diritti del minore.

Con il ricorso la difesa lamentava la violazione di legge in relazione all’art. 1 comma 3 della Decisione quadro 2002/584/GAl, correlato all’art. 48 Carta di Nizza, ed all‘art. 2 Cost. in relazione all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE) ed all’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (CEDU), per effetto della mancata considerazione della condizione di madre di una bambina di due anni. Al riguardo si osservava che è onere dell’autorità giudiziaria dello Stato richiesto verificare se l’esecuzione del mandato di arresto europeo possa essere lesivo delle garanzie costituzionali e dei diritti fondamentali garantiti dalle convenzioni sovranazionali. In particolare, la Corte ha pretermesso qualsiasi vaglio in ordine al danno che sarebbe arrecato alla figlia minore della ricorrente, per effetto del suo radicamento in Italia, per le relazioni create con le insegnanti ed i compagni dell‘asilo.

La Corte, nel respingere il ricorso, osserva innanzitutto che sul punto è intervenuta recentemente la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 21 dicembre 2023 nella causa C-261/22, che, decidendo sulle questioni pregiudiziali sollevate dalla Corte di cassazione italiana sulla richiesta di consegna della donna in stato di gravidanza o della madre di figli minori conviventi, ha fornito una interpretazione della normativa europea sul MAE che assume una rilevanza di portata generale ai fini della applicazione delle ragioni di rifiuto desunte dal rispetto dei diritti fondamentali e dalle garanzie costituzionali di cui all’art. 2 della 1. 69/2005. È stato già osservato che l’art. 2 (“Rispetto dei diritti fondamentali e garanzie costituzionali”) della legge n.69/2005 non legittima l’introduzione di motivi di rifiuto diversi da quelli fissati dalla legge quadro e recepiti dalla legge nazionale come anche di recente affermato dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 216 del 2021, secondo cui le esigenze di uniformità ed effettività comportano che sia, di regola, precluso alle autorità giudiziarie dello Stato di esecuzione rifiutare la consegna al di fuori dei casi imposti o consentiti dalla decisione quadro 2002/584/GAI del 13 giugno 2002 relativa al mandato d’arresto europeo, sulla base di standard di tutela puramente nazionali, non condivisi a livello europeo, dei diritti fondamentali della persona interessata.

E del resto il d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10 ha operato una generalizzata soppressione di tutte le disposizioni interne difformi dalla disciplina europea al fine di adeguare la normativa nazionale alle disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI relativa al mandato di arresto europeo. Il nuovo testo dell’art. 18 non prevede più alcun motivo di rifiuto nel caso che la persona oggetto del mandato d’arresto europeo risulti essere madre di prole di età inferiore ad anni tre con lei convivente.

La soppressione del motivo di rifiuto si giustifica sulla base della presunzione che negli Stati UE la tutela delle madri di figli in tenera età è assicurata nei sistemi processuali-penali in modo coerente ai principi di diritto affermati anche dalle convenzioni europee (art. 24 par. 2 della Carta e del considerando n. 8 della direttiva europea 2016/800 del Parlamento europeo per il rispetto delle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati in procedimenti penali – Corte di Giustizia 23 gennaio 2018, Piotrowski, par. 37). La direttiva (UE) 2016/800 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2016, sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali (GU 2016, L 132, pag. 1), al suo “considerando”  prevede quanto segue: «Quando i minori sono indagati o imputati nei procedimenti penali o soggetti a una procedura di esecuzione di un mandato d‘arresto europeo a norma della decisione quadro 2002/584/GAI (…), gli Stati membri dovrebbero garantire che l’interesse superiore del minore sia sempre considerato preminente, a norma dell’articolo 24, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carta)».

Quindi, posto che il rispetto dei diritti dei minori indagati o imputati è assicurato da tutti gli Stati membri che aderiscono alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ciò vale a maggior ragione anche per la tutela dei minorenni figli della persona di cui è stata chiesta la consegna, e detta presunzione costituisce il fondamento dell’emissione del mandato di arresto europeo, ed è onere della parte allegare elementi concreti di valutazione che possano suffragarne la violazione da parte dell’ordinamento dello Stato emittente, che non può essere perciò dedotta in modo soltanto ipotetico ed astratto.

Con la recente sentenza del 21 dicembre 2023 sopra citata  la Corte di Giustizia Unione Europea ha affermato il principio secondo cui la consegna non può essere rifiutata solo perché si tratta di madre di prole di età inferiore a tre anni, proprio perché si presume che negli Stati dell’UE i diritti dell’infanzia – e quindi il diritto del figlio di stare insieme al proprio genitore – sono adeguatamente tutelati (principio di fiducia reciproca tra gli Stati membri). Ed invero « l’articolo 1, paragrafi 2 e 3, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d‘arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, letto alla luce dell’articolo 7 e dell’articolo 24, paragrafi 2 e 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dev’essere interpretato nel senso che: esso osta a che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione rifiuti la consegna della persona oggetto di un mandato d‘arresto europeo per il motivo che tale persona è la madre di minori in tenera età con lei conviventi, a meno che, in primo luogo, tale autorità disponga di elementi atti a dimostrare la sussistenza di un rischio concreto di violazione del diritto fondamentale al rispetto della vita privata e familiare di tale persona, garantito dall’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali, e dell’interesse superiore di detti minori, quale tutelato dall’articolo 24, paragrafi 2 e 3, di tale Carta, a causa di carenze sistemiche o generalizzate in ordine alle condizioni di detenzione delle madri di minori in tenera età e di cura di tali minori nello Stato membro emittente e che, in secondo luogo, sussistano motivi seri e comprovati di ritenere che, tenuto conto della loro situazione personale, gli interessati corrano detto rischio a causa di tali condizioni».

È, pertanto, onere della parte allegare circostanze concrete che dimostrino che nello Stato richiedente vi siano sistemiche carenze strutturali che non consentono di tutelare i diritti del minore, e solo se tali carenze risultino dimostrate si giustifica il rifiuto della consegna. Vale sempre il principio di reciproca fiducia analogamente a quanto previsto per il divieto di trattamenti inumani, per il divieto di tortura e per le condizioni carcerarie. Il rifiuto discende solo dalla concreta ed accertata violazione da parte dello Stato richiedente dei principi fondamentali riconosciuti dal diritto dell’UE perché “Il rifiuto di eseguire la consegna è concepito come una eccezione che deve essere interpretata restrittivamente”.

La verifica di tali violazioni, quindi, deve passare attraverso due fasi tipiche di accertamento: la prima fase esige che da fonti internazionali riconosciute ed attendibili emergano carenze nello Stato emittente strutturali e di sistema sotto il profilo della tutela dei diritti dell’infanzia; solo in caso di esito positivo di tale primo vaglio, si può passare alla seconda fase che legittima lo Stato di esecuzione a richiedere informazioni suppletive allo Stato emittente sulle condizioni detentive della persona e di come sarà organizzata in concreto la cura dei suoi figli minori.

È stato in particolare stabilito che «l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve, nell’ambito di una prima fase, determinare se esistano elementi oggettivi, attendibili, precisi e debitamente aggiornati diretti a dimostrare l’esistenza di un rischio reale di violazione, nello Stato membro emittente, di tali diritti fondamentali a causa di carenze come quelle di cui al punto 45 della presente sentenza. Tali elementi possono evincersi, in particolare, da decisioni giudiziarie internazionali, da decisioni, relazioni e altri documenti predisposti dagli organi del Consiglio d’Europa o appartenenti al sistema delle Nazioni Unite, nonché da informazioni recensite nella banca dati dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) riguardo alle condizioni di detenzione penale nell’Unione (Criminal Detention Database) (v., in tal senso, sentenze del 5 aprile 2016, Aranyosi e Caldararu, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 89, nonché del 31 gennaio 2023, Puig Gordi e a., C-158/21, EU:C:2023:57, punto 102). Nell’ambito di una seconda fase l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve verificare, in modo concreto e preciso, in quale misura le carenze identificate durante la prima fase dell’esame, illustrata al punto precedente della presente sentenza, possano incidere sulle condizioni di detenzione della persona oggetto di un mandato d’arresto europeo o di cura dei suoi figli minori e se, tenuto conto della loro situazione personale, sussistano motivi gravi e comprovati di ritenere che tale persona o tali figli minori corrano un rischio concreto di violazione di detti diritti fondamentali (v., in tal senso, sentenze del 5 aprile 2016, Aranyosi e Caldararu, C-404/15 e C-659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 94, nonché del 31 gennaio 2023, Puig Gordi e a., C-158/21, EU:C:2023:57, punto 106) ».

Costituisce, dunque, preciso onere della difesa allegare fonti attendibili, specifiche ed aggiornate su cui poter fondare la ragionevole affermazione dell’esistenza di un concreto pericolo che la persona richiesta, durante la eventuale detenzione all’estero, possa essere sottoposta a condizioni incompatibili con la tutela della condizione madre di prole di età inferiore ad anni tre, considerato che in linea generale non vi sono elementi per ritenere che l’ordinamento svedese non contempli forme di tutela delle madri detenute analoghe a quelle nazionali o comunque non conformi ai principi riconosciuti a livello europeo.

 

Cass. Pen. sez. VI del 28 dicembre (dep. 29 dicembre 2023) n. 51798

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