Il decreto di sequestro probatorio deve essere modulato da parte del pubblico ministero in relazione al fatto ipotizzato, al tipo di illecito cui in concreto il fatto è ricondotto, al grado di immediatezza che le cose presentano con il reato, al grado di progressione investigativa e processuale, nonché al grado di compressione di diritti costituzionalmente garantiti (in ossequio al principio di proporzionalità).

Rigettata l’istanza di riesame proposta nell’interesse dell’indagata avverso il provvedimento di sequestro probatorio, il difensore ha lamentato la violazione di legge, in riferimento agli artt. 253 c. 1 e 355 c. 2 c.p.p., censurando la motivazione del provvedimento di convalida del sequestro disposto dal pubblico ministero procedente: sostanzialmente lamentava l’assenza di una doverosa valutazione critica del contenuto degli atti investigativi richiamati per relationem dal pubblico ministero.

La Suprema Corte, in accoglimento del proposto gravame, ha annullato il provvedimento reso dal Tribunale ritenendo che non era stato soddisfatto il quantum motivazionale necessario a sorreggere il decreto di sequestro probatorio emesso in sede di convalida.

 

Nell’articolata pronuncia, la Suprema Corte ha evidenziato l’inesistenza di un criterio predeterminato oggettivo in base al quale valutare se la motivazione indicata nel provvedimento di sequestro probatorio sia legittima o meno indicando però  i diversi aspetti processuali che il provvedimento deve, invece, contenere, al fine di rendere intellegibile la motivazione del sequestro probatorio: il grado di dettaglio dell’imputazione provvisoria, il fumus delicti, la relazione qualificata tra il reato e la res e l’esigenza probatoria da soddisfare.

 

Ha inoltre specificato che la motivazione per relationem è pure legittima ma a patto che emerga una valutazione critica dell’atto o degli atti di P.G. cui rinvia, non potendosi lo stesso limitare a una mera perifrasi del contenuto delle norme che disciplinano tale mezzo di ricerca della prova. In altre parole, la valutazione critica che il pubblico ministero è tenuto ad effettuare in riferimento agli atti richiamati dovrà essere  tanto più pregnante quanto più “indiretto” sarà il collegamento tra il reato e la “res” da apprendere e quanto maggiore saranno la progressione investigativa e il grado di compressione dei diritti costituzionali coinvolti.

 

Cassazione penale sez. III – 30/11/2023, n. 50324

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