La Terza Sezione, con sentenza n. 1250/2024, ha stabilito il principio di diritto secondo il quale gli esposti anonimi “(al contrario di una denuncia sottoscritta e riconducibile ad un soggetto determinato, che possiederebbe i crismi di una notizia di reato), lungi dal potersi considerare notitia criminis, possono costituire un mero «impulso» per attivare i poteri amministrativi che la legge pone in capo ai N.A.S. e che, laddove nel corso dell’attività ispettiva emergono elementi di reato, in quel momento – e solo in quel momento – scatteranno gli obblighi di cui agli articoli 114 e 220 disp. att. cod. proc. pen..

Il tribunale di Torino assolveva un imputato, accusato del reato previsto dalle norme contenute negli artt. 5, comma 1 lett. b) e 6, comma 3, della L. n. 283/1992, con la formula perché il fatto non sussiste stante la dichiarata inutilizzabilità degli atti di indagine poiché non preceduti dall’avviso ex art. 114 disp att. c.p.p..

Il Procuratore della Repubblica proponeva ricorso per saltum lamentando violazione di legge in relazione alle norme contenute negli artt. 330, comma 3, 354, 356 c.p.p., 114 e 220 disp. att. cod. proc. pen..

Ciò posto, secondo il ricorrente, il giudice avrebbe erroneamente dichiarato la inutilizzabilità di tutti gli atti compiuti senza l’avviso al difensore poiché, nel caso di specie, l’ispezione amministrativa effettuata nei confronti di un soggetto non ancora indagato sarebbe stata originata da un esposto anonimo.

Secondo il decidente, tale situazione (ossia l’atto di indagine fondato su un esposto anonimo) aveva determinato la inutilizzabilità dei risultati derivanti dall’attività d’indagine afferente la presunta detenzione di prodotti alimentari scaduti.

Inoltre, “il fumus del reato si (sarebbe) concretizzato solo nel momento in cui (è stata) verificata la temperatura del frigorifero in cui erano contenuti gli alimenti, procedendo subito dopo gli operanti a dare avviso all’odierno imputato della facoltà di nominare difensore”.

La Suprema Corte reputava il ricorso fondato rimarcando, preliminarmente, che “in materia di attività ispettive di vigilanza di natura amministrativa, il momento a partire dal quale, nel corso di tale attività, sorge l’obbligo di rispettare le garanzie del codice di procedura penale è quello nel quale è possibile attribuire rilevanza penale al fatto, emergendone tutti gli elementi costitutivi, anche se ancora non possa essere ascritto a persona determinata” (Sez. 3, n. 31223 del 04/06/2019, Di Vico, Rv. 276679 – 01).

E, ancora, condividendo la tesi del P.G. ricorrente, il Supremo Collegio ha affermato che “in tema di prelievi di campioni finalizzati all’espletamento di analisi, è necessario distinguere i prelievi e le analisi inerenti alle attività amministrative, dalle analisi e prelievi inerenti invece ad un’attività di polizia giudiziaria nell’ambito di una indagine preliminare per i quali devono operare le norme di garanzia della difesa in applicazione dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen.” (Sez. 3, n. 15372 del 10/02/2010, Fiorilli, Rv. 246597 – 01; Sez. 3, n. 10484 del 12/11/2014, Grue, Rv. 262698 – 01).

Di tal che, secondo la Suprema Corte, solo in caso di analisi e prelievi afferenti l’attività di P.G. in relazione a una determinata indagine preliminare sarà necessario applicare le norme poste a tutela dell’indagato e previste dagli artt. 114 e 220 disp. att. c.p.p., mentre le norme poste a garanzie del corretto esercizio del diritto di difesa saranno appiccabili, in caso di attività amministrativa, solo nel caso in cui dalla ridetta attività emergano indizi di reato.

E, ancora, il Supremo Collegio ha precisato, come indicato dal ricorrente nel corpo dell’atto di gravame, che l’attività ispettiva “ha trovato impulso a seguito di un esposto anonimo (…), il quale, come noto (arg. ex art. 240 cod. proc. pen.), non consente di procedere a perquisizioni, sequestri e intercettazioni telefoniche, trattandosi di atti che implicano e presuppongono l’esistenza di indizi di reità, ma esclusivamente di attivare l’attività di iniziativa del P.M. e della polizia giudiziaria al fine di assumere dati conoscitivi, diretti a verificare se dall’anonimo possano ricavarsi estremi utili per l’individuazione di una “notitia criminis” ” (Sez. 6, n. 34450 del 22/04/2016, Monco, Rv. 267680 – 01).

Orbene, la Corte di Cassazione ha ribadito che l’attività ispettiva derivante da esposti anonimi si fonderebbe su qualcosa che “lungi dal potersi considerare notitia criminis”.

Ciò posto, però, essi (ossia gli esposti anonimi) “possono costituire un mero «impulso» per attivare i poteri amministrativi che la legge pone in capo ai N.A.S. e che, laddove nel corso dell’attività ispettiva emergono elementi di reato, in quel momento – e solo in quel momento – scatteranno gli obblighi di cui agli articoli  114 e 220 disp. att. cod. proc. pen.. (cfr. Sez. 3, n. 6594 del 26/10/2016, dep. 2017, Pelini, Rv. 269299; Sez. 3, n. 43996 del 12/09/2023, Morello: “l’obbligo di osservare le norme del codice di rito riguarda «lo specifico fatto, non qualsiasi altro diverso fatto la cui possibile rilevanza penale non sia ancora emersa”)”

Orbene, pur trattandosi di esposto anonimo, l’iter procedurale seguito dagli operanti di P.G. è stato corretto poiché “il primo momento in cui sono emersi elementi di reato (…) è stato esattamente quello in cui è stato verificato che la temperatura dei frigoriferi che contenevano gli alimenti non era idonea alla loro corretta conservazione. E in quel momento, correttamente, gli operanti hanno proceduto ad effettuare gli avvisi di rito all’indagato”.

Sulla scorta di tali considerazioni, la Suprema Corte ha annullato l’impugnata sentenza e l’ordinanza – con la quale era stata dichiarata la inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti – con rinvio per un nuovo giudizio dinanzi al tribunale di Torino in diversa composizione fisica.

 

Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 1250 del 2024

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