La Quarta Sezione, con la pronuncia in esame, ritorna sul tema della legittima difesa ribadendo che ai fini della sussistenza della ridetta causa di giustificazione del reato debbano sussistere “la omogeneità del bene offeso rispetto a quello protetto e il rapporto di proporzione tra strumenti a disposizione dell’imputato rispetto a quelli utilizzati nell’ambito di una contesa in cui il commodus discessus non era praticabile in ragione dell’aggressione in atto”.

La Corte di Cassazione, investita dal ricorso presentato dalla parte civile costituita, si è pronunciata sull’atto di gravame presentato da quest’ultima avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Palermo la quale, dopo aver qualificato i fatti di cui alla imputazione quale eccesso colposo di legittima difesa, assolveva l’imputato dal reato di lesioni personali con la formula “perché il fatto non costituisce reato” e revocava le statuizioni civili emesse dal primo giudice in favore della parte civile medesima.

Secondo la Corte palermitana, la formazione di una prova contraddittoria durante l’istruzione dibattimentale – stante la diversa ricostruzione dei fatti operata dai testimoni (legati da rapporti di amicizia e di parentela a ciascuno dei contendenti) e la sussistenza di un dato pacifico ossia che la persona offesa avesse rivestito il ruolo di “provocatore” prima della colluttazione – aveva indotto l’organo giudicante a dare a applicazione al principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio e, in presenza di numerosi elementi contraddittori, a giungere a una sentenza di assoluzione con la formula dianzi indicata.

E, ancora, il giudice distrettuale, dopo essersi soffermato sui caratteri essenziali della legittima difesa, sottolineava come l’atto di appello della parte civile:

  • non poteva travalicare i limiti del giudicato in punto di accertamento della responsabilità penale, in assenza dell’impugnazione del PM, e quindi condurre alla modifica delle statuizioni penali della condanna”;
  • fosse generico nella parte in cui “assume un travisamento delle risultanze processuali, con omessa specificazione delle ragioni del travisamento, tenuto altresì conto della non concludenza e della aspecificità delle dichiarazioni testimoniali dei testimoni”.

Ciò posto, la parte civile costituita presentava ricorso per Cassazione lamentando:

  1. violazione di legge (nello specifico della norma contenuta nell’art. 52 c.p.) e vizio di motivazione della impugnata sentenza avendo la Corte di appello ritenuto erroneamente sussistente la causa di giustificazione della legittima difesa posto che “il pericolo di danno non era stato provocato dalla persona offesa” né il medesimo era imminente e la risposta dell’imputato era avvenuta in termini “del tutto spropositati” e con il chiaro intendimento di provocare lesioni personali ai danni del ricorrente;
  2. l’avvenuto travisamento della prova in relazione alla ritenuta inferiorità fisica dell’imputato sottolineando che la p.o., “al momento del fatto, non solo aveva quindici anni, ma risultava molto meno prestante di quanto appariva nel corso del dibattimento, celebrato dopo qualche anno, mentre l’imputato e i suoi amici erano tutti maggiorenni”.

La Suprema Corte reputava il ricorso inammissibile rilevando, in via preliminare, come la censura del ricorrente fosse chiaramente una doglianza “in fatto” e, per tale motivo, non valutabile in sede di legittimità.

Inoltre, l’impianto motivazionale della sentenza di secondo grado era da reputarsi priva di vizi logici posto che “la valutazione del giudice del merito doveva investire la compatibilità di un atto intenzionale e particolarmente violento (dell’imputato) con le lesioni riportate (dalla p.o.), il quale (ossia la p.o.) aveva incalzato il rivale, che veniva tenuto dai propri amici per sottrarlo alla contesa”.

Di tal che, la valutazione della Corte di appello era stata conforme a logica conducendo l’organo giudicante a ritenere che “l’imputato aveva (re)agito ad una aggressione incalzante della persona offesa contro la sua persona fisica e, trovandosi in una situazione di estrema instabilità, aveva reagito come meglio poteva, solo con i mezzi fisici di cui disponeva, aggredendo a sua volta, l’incolumità personale della persona offesa così derivandone una lesione del medesimo bene giuridico tutelato, sulla base di una valutazione ex ante dei beni giuridici in contesa”.

Pertanto, la Corte palermitana, discostandosi dall’eccesso colposo rilevato dal giudice di primo grado, sosteneva fosse sussistente la causa di giustificazione della legittima difesa considerando la “omogeneità del bene offeso rispetto a quello protetto” e “il rapporto di proporzione tra strumenti a disposizione dell’imputato rispetto a quelli utilizzati nell’ambito di una contesa in cui il commodus discessus non era praticabile in ragione dell’aggressione in atto” (cfr. Sez.5, n.32414 del 24/09/2020, Di Pietro, Rv.279777; n.45407 del 10/11/2004, Podda, Rv.230392).

 

Cass. pen., sez IV, ud. 18 ottobre 2023 (dep. 29 dicembre 2023), n. 51578

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