Secondo la Terza Sezione, l’ordinanza dichiarativa della nullità del decreto di citazione a giudizio per genericità della contestazione – in caso di omessa indicazione delle generalità dei soggetti minorenni coinvolti rispetto ai fatti descritti nel capo di imputazione (trattasi nel caso di specie di detenzione di materiale pedopornografico) – è affetta da abnormità poiché “gli elementi che debbono emergere dal capo di imputazione onde consentire l’efficace esercizio del diritto di difesa attengono alla indicazione della natura pornografica delle immagini detenute ed il fatto che le stesse siano riferite a soggetti minorenni” non essendo riscontrabile “alcuna violazione di legge, né formale né sostanziale” dalla mancata indicazione delle generalità dei soggetti effigiati nelle immagini detenute.

La Suprema Corte, con pronuncia n. 1257/2024, ha accolto il ricorso presentato dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Napoli il quale aveva impugnato l’ordinanza emessa dal Tribunale di Napoli – in composizione monocratica – a mezzo della quale detto organo giudicante aveva dichiarato la nullità del decreto di citazione a giudizio emesso nei confronti di un soggetto (imputato del reato di detenzione di materiale pedopornografico) attesa la mancata indicazione, all’interno del capo di imputazione, delle esatte generalità dei minori coinvolti in relazione al fatto contestato.

Di conseguenza, il Tribunale aveva disposto la rimessione degli atti al P.M. affinché, rimosso il vizio rilevato e riformulato il capo di imputazione, esercitasse nuovamente l’azione penale.

Il Pubblico ministero, impugnata l’ordinanza davanti ai Giudici di legittimità, lamentava la abnormità della medesima.

Orbene, il Supremo Collegio reputava il ricorso fondato disponendo l’annullamento dell’impugnato provvedimento.

Primariamente, la Terza Sezione ha rilevato che “la figura dell’atto abnorme è figura di stretta creazione giurisprudenziale, volta ad ovviare alle possibili aporie procedimentali ingenerate dal principio di tipicità dei mezzi di impugnazione, costituendo una deroga ad esso, giustificata dal fatto che, stante la sua anomalia, il provvedimento impugnando non conoscerebbe, altrimenti, mezzi di gravame (in tale senso, a testimonianza della risalenza nel tempo del relativo principio, si veda, essendo tuttora attuale il principio in essa enunziato: Corte di cassazione, Sezione IV penale, 30 agosto 1969, n. 1680)”.

Ciò posto, la Suprema Corte procede a una differenziazione dell’abnormità processuale tra abnormità “funzionale” e “strutturale”.

In un caso, trattasi di provvedimento giurisdizionale che, stante la sua singolarità, non è riconducibile ad alcuna categoria dei provvedimenti che possono essere emessi dall’organo giudicante in coerenza con il vigente sistema processuale.

Nell’altro, trattasi di atto che, pur non avulso dal sistema normativo, determina la stasi del processo e l’impossibilità di prosecuzione del medesimo.

Nel caso di specie, l’ordinanza del Tribunale di Napoli rientrerebbe tra le ipotesi di atto “affetto” da abnormità “funzionale”.

Preliminarmente devesi evidenziare che il giudice ha il potere di dichiarare la nullità del decreto di citazione a giudizio in caso di generica enunciazione della contestazione e può disporre la restituzione degli atti al P.M. affinché proceda a una formulazione più precisa dell’imputazione esercitando, nuovamente, l’azione penale.

Però, devesi rilevare che, dalla disamina contenutistica del capo di imputazione, deve, effettivamente, emergere un’anomalia contenutistica che sia idonea a determinare la nullità del medesimo o che, comunque, lo stesso presenti una enunciazione talmente generica da non permettere all’imputato il corretto esercizio del diritto di difesa.

Una situazione siffatta determinerebbe la sussistenza del vizio ex art. 178, comma 1, lettera c) c.p.p..

Ciò posto, la norma contenuta nell’art. 552, comma 1, lettera b), c.p.p. prevede che il decreto di citazione a giudizio deve contenere “l’indicazione della persona offesa, qualora risulti identificata”.

Pertanto, nel caso in cui la persona offesa non sia identificata o non sia stato possibile farlo, l’omissione di tale dato è un “fattore irrilevante ai fini della legittimità del provvedimento in questione” posto che la norma contenuta nell’art. 552, comma 2, c.p.p. “nell’elencare le ipotesi di nullità del decreto di citazione a giudizio, non inserisce anche la mancanza od insufficienza della indicazione del requisito previsto alla lettera b) del comma 1”.

E’ pur vero che, tra i requisiti di validità del decreto di citazione a giudizio ex art. 550 c.p.p., vi è anche quanto espressamente indicato dall’art. 552, comma 1, lett. c) c.p.p. ossia “l’enunciazione del fatto, in forma chiara e precisa, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, con l’indicazione dei relativi articoli di legge”.

Il mancato rispetto del requisito previsto ex art. 552, comma 1, lett. c.) c.p.p. determina la nullità dell’atto nel caso in cui la mancata o insufficiente enunciazione del fatto in forma chiara e precisa abbia determinato una concreta violazione al corretto esercizio del diritto di difesa.

Pertanto, un capo di imputazione può considerarsi formulato correttamente se il medesimo riporti o rimandi ad atti specificamente indicati che permettano di soddisfare il requisito della enunciazione del fatto in forma chiara e precisa.

L’indicazione di tali atti permette una formulazione completa del capo di imputazione e garantisce la necessaria indicazione dei “tratti essenziali del fatto di reato contestato” al fine di “consentire un completo contraddittorio ed il pieno esercizio del diritto di difesa (Corte di cassazione, Sezione II penale, 21 gennaio 2016, n. 2741)”.

Orbene, nel caso di specie, l’indicazione, all’interno del capo di imputazione, degli elementi idonei a garantire il corretto esercizio del diritto di difesa riguardano la indicazione specifica della natura pornografica delle immagini detenute ed il fatto che le medesime ritraggano soggetti minorenni risultando irrilevante la indicazione delle generalità dei minori.

Conclusivamente argomentando, la Suprema Corte ha proceduto all’annullamento senza rinvio della impugnata ordinanza disponendo la trasmissione degli atti al Tribunale di Napoli “affinché questo proceda, sulla base della originaria imputazione mossa (all’imputato), alla verifica processuale della fondatezza o meno di quest’ultima”.

Difatti, l’ordinanza impugnata sarebbe affetta da abnormità considerata:

  • l’ingiustificata “impasse procedimentale determinata dalla adozione del provvedimento emesso dal Tribunale di Napoli”;
  • l’impossibilità di “riscontrare alcuna violazione di legge, né formale né sostanziale” fondata sulla “materiale impossibilità di identificare i soggetti asseritamente coinvolti dal reato contestato”.

 

Cass. pen., sez. III, ud. 20 ottobre 2023 (dep. 11 gennaio 2024), n. 1257

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