Le disposizioni di cui all’art. 581, commi 1-ter e 1-quater, cod. proc. pen. non sono applicabili in relazione all’atto di opposizione a decreto penale di condanna, posto che l’art. 461, comma 1, cod. proc. pen. richiama esclusivamente le modalità di presentazione dell’atto di impugnazione di cui all’art. 582 cod. proc. pen., e non anche la forma dell’impugnazione e i requisiti di ammissibilità previsti dall’art. 581 cod. proc. pen.

Il Gip presso il Tribunale di Reggio Emilia –  aderendo alla tesi secondo la quale le disposizioni di cui agli artt. 581 commi 1 ter e 1 quater cpp si applicano anche all’opposizione al decreto penale di condanna in quanto, a suo dire, sussisterebbe un rinvio implicito all’art. 581, in aggiunta a quello esplicito all’art. 582 operato dall’art. 461, comma 1, cod. proc. pen., in una sorta di estensione analogica del regime delle impugnazioni, fondato sulla sostanziale equiparazione fra impugnazione e opposizione a decreto penale di condanna – ha dichiarato inammissibile l’opposizione perché il difensore non aveva allegato un mandato specifico conferitogli dall’imputata, dopo l’emissione del decreto penale di condanna, né l’elezione di domicilio dell’imputata.

 

La Corte, nell’accogliere il ricorso della difesa, ha annullato senza rinvio l’ordinanza con la quale era stata dichiarata l’inammissibilità dell’opposizione non condividendo l’equiparazione tout court dell’opposizione al decreto penale di condanna ad un atto di impugnazione, per come, del resto, dimostrato dall’orientamento antecedente la riforma del 2022 che ha individuato alcune peculiarità nell’opposizione.

 

Ed infatti si è affermato che, in tema di decreto penale, l’art. 461, comma 1, cod. proc. pen., che prevede la legittimazione del difensore “eventualmente nominato” a proporre l’opposizione al decreto penale, deve essere interpretato nel senso che la legittimazione compete anche al difensore nominato d’ufficio. In sostanza a tale conclusione conducono – tuttora, dal momento che gli artt. 461 e 460 sono rimasti immutati sul punto – plurimi elementi di interpretazione letterale e logico-sistematica, quali la genericità dell’art. 461, comma 1, cod.proc.pen., che attribuisce la legittimazione a proporre opposizione all’imputato “personalmente o a mezzo del difensore eventualmente nominato“, da leggersi unitamente all’art. 460, comma 3, cod.proc.pen. che prevede che la notifica di copia del decreto debba avvenire “al condannato, al difensore d’ufficio o al difensore di fiducia eventualmente nominato“.

 

La ratio dunque è quella di consentire la più ampia possibilità di opposizione.

 

Ulteriore riprova della estensione della disciplina dell’impugnazione quando favorisce l’opponente, la si rinviene nell’orientamento che per verificare la tempestività dell’opposizione rispetto alle notifiche all’imputato e al difensore del decreto penale, applica il terzo comma dell’art. 585 cod.proc.pen. che statuisce la decorrenza del termine dall’ultima fra le due notifiche.

 

A ben vedere, l’esame complessivo della giurisprudenza conduce a ritenere che l’integrazione della disciplina speciale dell’opposizione con quella generale delle impugnazioni è consentita per garantire il favor impugnationis, o meglio oppositionis, cioè per consentire allo stesso opponente di raggiungere il risultato di attivare la fase del contraddittorio, fino al momento del decreto penale del tutto omessa. D’altro canto, le stesse norme proprie dell’opposizione sono state interpretate dalle Sezioni Unite sempre con la ratio di favorirla, affermando che l’atto di opposizione a decreto penale di condanna non è a forma vincolata e, quindi, l’indicazione in esso di tutti gli elementi previsti dall’art. 461 cod. proc. pen. (estremi del decreto impugnato, data, giudice che lo ha emesso) non è richiesta a pena di inammissibilità, perché i detti elementi non sono requisiti formali ineliminabili dell’atto, ma hanno carattere indicativo ed equipollente: devono consentire, globalmente o alternativamente, l’individuazione certa del provvedimento opposto. Pertanto, l’opposizione è ammissibile, purché non vi siano dubbi sul provvedimento opposto, anche se manchi taluno degli elementi indicati nell’art. 461 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 3 del 06/03/1992, Glarey, Rv. 189404 – 01).

 

E, sempre guardando alla giurisprudenza formatasi prima della riforma del 2022, l’ordinanza impugnata trascura del tutto di confrontarsi con il consolidato orientamento che non richiede la procura speciale per proporre l’opposizione. Difatti, nel caso di opposizione a decreto penale di condanna con contestuale richiesta di riti speciali, la mancanza di procura speciale per il rito richiesto determina l’inammissibilità della richiesta relativa a tale rito, ma non comporta l’inammissibilità dell’intera opposizione a decreto penale.

 

  1. Non possono, poi, trascurarsi gli elementi strutturalmente distintivi fra gli istituti in comparazione. Elemento distintivo rispetto alle impugnazioni in sé è anche l’ammissibilità dell’opposizione pur in assenza di motivi di censura: difatti, indicati nell’atto di opposizione gli elementi identificativi del decreto penale di condanna, a differenza di quanto è esplicitamente richiesto a pena di inammissibilità (art. 591 cod. proc. pen.) dall’art. 581 cod. proc. pen. per gli altri mezzi di impugnazione, non è invece richiesta l’enunciazione dei motivi, né quella dei capi o punti impugnati della decisione o quella delle richieste specifiche. Ne deriva che fra i requisiti di ammissibilità dell’opposizione il codice di rito vigente – a differenza di quanto disponeva il codice previgente con l’art. 509 – non comprende più l’indicazione dei motivi. Tale differenza strutturale deriva dalla natura del decreto penale di condanna e del procedimento per la sua formazione: a differenza della sentenza impugnata, il decreto viene eliso, viene rimosso in conseguenza della mera tempestiva opposizione, e dunque risulta provvedimento inesistente, come tale non impugnabile, cosicché non occorrono i motivi propri dell’impugnazione.

 

A differenza della impugnazione in senso proprio, che richiede un provvedimento motivato che possa essere confermato, annullato o riformato, ciò non è per il decreto penale di condanna, che se correttamente opposto non è suscettibile di tali statuizioni. Difatti, osserva la Corte costituzionale, la natura del decreto è quella di una «decisione “preliminare”, destinata ad essere posta nel nulla nel caso di opposizione» ed a svolgere, in tal caso, la mera funzione di informazione dei motivi dell’accusa (v. ordinanza n. 8 del 2003) […]» anche in ragione della «specificità propria del procedimento monitorio, configurato quale rito a contraddittorio eventuale e differito, che, una volta instaurato con l’opposizione, assicura nel dibattimento l’integrale attuazione delle garanzie dell’imputato» e che trova conferma di tale tratto caratteristico nella «costante qualificazione, da parte della giurisprudenza di legittimità, dell’atto di opposizione quale rimedio impugnatorio, destinato ad impedire che il decreto penale di condanna divenga irrevocabile (art. 648, comma 3, cod. proc. pen.)» (Corte cost., ordinanza n. 323 del 2007).

 

In sostanza, l’opposizione è rimedio impugnatorio ma speciale, perché funzionale solo alla rimozione del decreto penale e alla attivazione del contraddittorio, fino al momento della dichiarazione di opposizione precluso: da qui la ratio ispiratrice che estende la disciplina delle impugnazioni, in aggiunta a quella propria, solo in quanto favorevole al condannato.

 

D’altro canto, nella direzione distintiva, che riconosce la peculiarità della opposizione a decreto penale rispetto all’impugnazione, vanno sia la collocazione della relativa disciplina nell’ambito degli artt. 459 e ss. e non in quella 568 e ss. in tema di impugnazioni, sia anche alcuni riferimenti normativi che distinguono fra impugnazione e opposizione. La peculiarità dell’opposizione rispetto all’impugnazione e le distinzioni fra gli istituti vengono anche a cogliersi nel dettato art. 163-ter disp. att. cod. proc. pen. che regolava la presentazione dell’atto di impugnazione presso la sezione distaccata, prevedendo che «1. Nei casi previsti dall’articolo 461 comma 1 e dall’articolo 582 comma 2 del codice, le dichiarazioni e le impugnazioni possono essere presentate anche nella cancelleria della sezione distaccata del tribunale», richiamando con l’espressione ‘dichiarazione’ l’opposizione, e affiancandola ma non confondendola con i rimedi propriamente impugnatori. E anche l’art. 87-bis d.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, quanto alla disciplina transitoria che di fatto ha prorogato quella emergenziale per il deposito telematico degli atti (Disposizioni transitorie in materia di semplificazione delle attività di deposito di atti, documenti e istanze), al comma 6 prevede che le disposizioni dei ai commi 3, 4 e 5 si applicano «a tutti gli atti di impugnazione comunque denominati e, in quanto compatibili, alle opposizioni di cui agli articoli 461 e 667, comma 4, del codice di procedura penale e ai reclami giurisdizionali previsti dalla legge 26 luglio 1975, n. 354».

 

Proprio la clausola di salvezza «in quanto compatibili», riferita alla disciplina prevista per le impugnazioni da applicarsi anche all’opposizione a decreto penale, offre la chiave di lettura della relazione fra le due diverse discipline.

 

E’ stato di recente osservato in modo del tutto condivisibile — da Sez. 4, n. 1516 del 21/11/2023, ric. Nuredini Qemal, n. m., che ha escluso l’applicazione dell’art. 581, commi 1-ter e 1-quater — come lo strumento dell’opposizione al decreto penale di condanna, sia volto a riaffermare il principio del contraddittorio nella formazione della prova (derogabile solo con il consenso dell’imputato) e funzionale all’introduzione del bilanciamento rispetto alla precedente fase di emissione del provvedimento senza preventiva instaurazione del contraddittorio. Si è rilevato come l’art. 89, comma 3, d.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che regola la disciplina transitoria anche per le disposizioni ritenute applicabili dal G.i.p. all’opposizione a decreto penale, ha così disposto al terzo comma: «Le disposizioni degli articoli 157-ter, comma 3, 581, commi 1-ter e 1-quater, e 585, comma 1-bis, del codice di procedura penale si applicano per le sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva a quella di entrata in vigore del presente decreto. Negli stessi casi si applicano anche le disposizioni dell’articolo 175 del codice di procedura penale, come modificato dal presente decreto.». È evidente, secondo Sez. 4 Nuredini Qemal, che l’applicazione dei commi 1 ter e 1-quater consegua alla ‘pronuncia’ di una sentenza e non al deposito di un decreto penale. Infatti, è stato osservato che la circostanza che la sentenza sia stata ‘pronunciata’ implica che sia stata data lettura del dispositivo (cfr. art. 533, comma 1, cod. proc. pen.); il che ha una sua ratio nella necessità di individuare un termine immediatamente certo, che consenta da subito, all’entrata in vigore della disciplina, di verificare a quali processi non debbano essere applicate le nuove norme in tema di assenza, da individuarsi in tutte quelle fino a quel momento già ‘pronunciate’ (Sez. 5, n. 37789 del 03/07/2023, Mohammad Jasim, Rv. 285148 – 01).

 

Non a caso correttamente Sez. 4 Nuredini Qemal ha osservato che l’opposizione a decreto penale di condanna non è assimilabile tout court alle impugnazioni in senso tecnico, escludendo per l’inequivoca formulazione dell’art. 581, comma 1-quater, cod.proc.pen. l’applicabilità alla opposizione a decreto penale di condanna, in quanto la necessità di uno specifico mandato ad impugnare è limitata dalla norma alla sola ipotesi dell’imputato rispetto al quale si sia proceduto in assenza, il che implica comunque che l’imputato poteva presenziare: ciò ovviamente non può accadere per la fase monitoria. Come anche la dichiarazione o elezione di domicilio richiesta dal comma 1-ter è funzionale alla notifica del decreto di citazione a giudizio e non del decreto penale di condanna.

 

Deve pertanto ritenersi che il legislatore della riforma del 2022 non è incorso in una dimenticanza, come sembra rilevare l’ordinanza impugnata, in quanto invece l’omissione del rinvio dell’art. 461 all’art. 581 cod. proc. pen. è coerente con il sistema, con le differenze fra i due istituti, con l’evoluzione giurisprudenziale nel senso del favor oppositionis. D’altro canto, un richiamo implicito all’art. 581 cod. proc. pen., quale quello sostenuto dal provvedimento impugnato, si sostanzia in una applicazione analogica in peius delle cause di inammissibilità, al quale invece va applicato il principio di tassatività, con la conseguenza che detta causa di invalidità può essere ritenuta solo quando la espressa previsione o comunque la inequivoca formulazione della norma lo consentono (Sez. 2, n. 4354 del 17/10/1994, Miceli, Rv. 199705 – 01; sulla tassatività delle cause di inammissibilità dell’impugnazione previste dall’art. 24, comma 6-sexies, lett. a, del dl. n. 137 del 2020, conv. con modif. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, Sez. 6, n. 40540 del 28/10/2021, Calderone, Rv. 282306 – 01; in relazione all’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., Sez. 1, n. 24433 del 29/4/2015, Masalmeh, Rv. 263970; in tema di esclusione delle cause di inammissibilità non tassativamente previste dall’art. 591 cod. proc. pen., Sez. 2, n. 8413 del 23/3/1998, Gatto, Rv. 211188; in tema di un atto di impugnazione redatto in lingua italiana, proposto nell’interesse dell’imputato avverso una sentenza pronunciata all’esito del giudizio svoltosi, ai sensi del D.P.R. 15 luglio 1988 n.574, in lingua tedesca, Sez. 1, n. 5887 del 5/5/1997, Gruber, Rv. 207929).

 

Per altro, le nuove disposizioni stabiliscono peculiari adempimenti, un «sacrificio» per l’imputato rispetto alla celebrazione della fase processuale del giudizio di impugnazione, mentre il giudizio che consegue alla opposizione è un giudizio di primo grado. La quinta sezione con la sentenza n. 39166 del 04/07/2023, argomentando in ordine all’applicabilità dell’art. 581, comma 1-quater anche al ricorso per cassazione, ha evidenziato come «nel sistema del diritto processuale penale italiano, il legislatore ha delineato un modello di esercizio del diritto di difesa (e, conseguentemente, anche del diritto alla impugnazione) differenziato in relazione alle varie fasi e tipologie di processo» (Sez. U, n. 8914/2017 – dep. 2018, Aiello, Rv. 272011 – 01, che richiama Sez. U, n. 31461 del 27/06/2006, Passamani, n.m. sul punto, e Sez. 2, n. 40715 del 16/07/2013, Stara, Rv. 257072); difatti, «l’effettività del diritto di difesa […] non richiede necessariamente che le medesime modalità di esercizio e le correlative facoltà siano uniformemente assicurate in ogni grado del giudizio, poiché tale diritto può conformarsi secondo schemi normativi diversi a seconda delle caratteristiche proprie della fase di giudizio nella quale deve essere esercitato. Ne discende che al legislatore va riconosciuta ampia discrezionalità nel graduare diversamente le forme e le modalità mediante le quali la difesa tecnica e personale viene garantita all’imputato» (Sez. U, n. 8914/2017 – dep. 2018, cit.)».

 

In sostanza, è assolutamente ragionevole che gli adempimenti richiesti per il giudizio di impugnazione proprio, che incide sulla scadenza dei termini di improcedibilità ex art. 344-bis cod. proc. pen., siano differenti da quelli richiesti per dare inizio al giudizio di primo grado, con l’istaurazione per la prima volta del contraddittorio, lì dove non trova applicazione la disciplina della improcedibilità. E, oltre ad essere razionale, è anche costituzionalmente coerente garantire l’esercizio immediato — e senza adempimenti aggiuntivi — del diritto di difesa con l’opposizione, in assenza della istaurazione del precedente giudizio di primo grado. Non appaia fuori luogo il richiamo — ispirato dalla unitaria funzione del contraddittorio quale requisito del giusto processo, perché funzionale alla decisione e alla sua motivazione, come sancito dall’art. 111, commi 1, 2 e 7, Cost.— alla dinamica processuale civile del procedimento monitorio, dove pure l’opposizione funge da «leva» per dare inizio al giudizio in contraddittorio, ma non costituisce una impugnazione: difatti, è stato autorevolmente affermato che l’opposizione prevista dall’art. 645 cod. proc. civ. non è una “actio nullitatis” o un’azione di impugnativa nei confronti dell’emessa ingiunzione, ma un ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio, non quale giudizio autonomo, ma come fase ulteriore – anche se eventuale – del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo (Sez. U. civ., n. 927 del 13/01/2022, Rv. 663586 – 02).

 

Non c’è dubbio che sia ragionevole, attraverso i commi 1-ter e 1-quater dell’art. 581, “lo scopo perseguito dal Legislatore, ossia la proposizione di impugnazioni consapevoli da parte dell’imputato […] senza che dai più stringenti requisiti posti dalla stessa norma a pena di inammissibilità derivi un pregiudizio per lo stesso imputato”. Analogo scopo, però, non sussiste per l’opposizione a decreto penale, anche perché il rischio di una mancata conoscenza da parte del condannato del decreto — e quindi della necessità di opporvisi — è escluso dall’art. 460, comma 4, cod. proc. pen., che impone la revoca del decreto di condanna in caso di irreperibilità dell’imputato come anche, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 504 del 18 novembre 2000, nel caso in cui non sia possibile la notifica al domicilio dichiarato. Difatti, la Corte delle leggi ha chiarito che «se la ratio che sorregge la specifica disciplina di cui all’art. 460, comma 4, cod. proc. pen., è quella di ancorare il regime della notificazione alla conoscenza effettiva del decreto penale, in modo che il destinatario dell’atto sia posto in condizione di esercitare concretamente la scelta tra opposizione e acquiescenza; se, in attuazione di questa ratio, il legislatore ha ritenuto che l’opzione tra acquiescenza e opposizione, a causa delle rilevanti conseguenze che ne derivano, non può essere demandata esclusivamente al difensore, e ha quindi stabilito l’incompatibilità tra il decreto penale di condanna e la irreperibilità dell’imputato, non vi è ragione per cui la revoca del decreto penale non debba essere prevista anche nel caso in cui, essendo inidonea o insufficiente la dichiarazione di domicilio, la notificazione dovrebbe essere eseguita mediante consegna al difensore a norma dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen. Anche in tale ipotesi, infatti, l’impossibilità di eseguire la notificazione al domicilio dichiarato dall’imputato comporta l’alta probabilità che questi non abbia conoscenza effettiva del decreto e che l’eventuale proposizione dell’opposizione sia rimessa esclusivamente alla valutazione e alla iniziativa del difensore».

 

In sostanza, la necessità di una conoscenza effettiva del decreto da parte del condannato, difettando la quale la stessa condanna viene revocata, palesa in tutta la sua evidenza l’assenza della necessità della procura speciale e dell’elezione di domicilio: il decreto di condanna resta in vita solo se conosciuto effettivamente dal condannato, così da consentirgli l’opposizione. La disparità tra tali situazioni palesa ancor più come gli oneri processuali di diligenza, richiesti all’impugnante, a riprova della consapevolezza del giudizio e della volontà di impugnare, oltre che per consentire una celere notifica della citazione (mandato a impugnare e elezione di domicilio), non siano necessari per l’opponente, che non vedrebbe mai iniziato il giudizio di primo grado se non quando ha ricevuto ritualmente la notifica del decreto di condanna ai sensi dell’attuale art. 157-ter cod. proc. pen., pena la revoca del decreto di condanna; né tantomeno correrebbero i termini di improcedibilità non previsti per il primo grado.

 

La superfluità di tali oneri rende gli stessi inidonei a raggiungere uno scopo «legittimo», condizione che anche recentemente la Corte Edu ha ribadito nel valutare la violazione del diritto di accesso alla giustizia in relazione alle cause di inammissibilità. Ed infatti Corte Edu, Sezione 5, ud. 02/05/2023, Rocchia contro Francia ha riaffermato che il diritto di accesso a un tribunale, garantito dall’articolo 6§1 della Convenzione, deve essere «concreto ed effettivo» e non «teorico e illusorio» (Bellet c. Francia, 4 dicembre 1995, § 36, serie A n. 333 B). Al §22 ha chiarito che «Il diritto a un tribunale, di cui il diritto di accesso costituisce un aspetto (Golder c. Regno Unito, 21 febbraio 1975, § 36, serie A n. 18), non è assoluto, e si presta a restrizioni implicite, in particolare per quanto riguarda le condizioni di ammissibilità di un ricorso. Tuttavia, queste ultime non possono limitare l’accesso a un tribunale in modo tale o a tal punto che il diritto risulti leso nella sua stessa sostanza. Esse devono perseguire uno scopo legittimo e deve esistere un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e lo scopo perseguito (Guérin c. Francia, 29 luglio 1998, § 37, Recueil des arréts et décisions 1998, V)». La delibazione richiesta per verificare la legittimità delle condizioni di inammissibilità deve svilupparsi anche intorno ai seguenti criteri, sintetizzati dalla Corte Edu nella causa Zubac c. Croazia ([GC], n. 40160/12, §§ 78-86, 5 aprile 2018: la prevedibilità della restrizione, la questione di stabilire chi debba sostenere le conseguenze negative degli errori commessi nel corso del procedimento (Zubac, sopra citata, §§ 90-95), la questione se le restrizioni in esame evidenzino un «formalismo eccessivo» (Zubac, sopra citata, §§ 96-99, Walchli c. Francia, n. 35787/03, §§ 29 36, 26 luglio 2007, e Willems e Gorjon c. Belgio, nn. 74209/16 e altri 3, § 80, 21 settembre 2021).

 

Nel caso all’esame della Corte, non vi è dubbio che l’adempimento richiesto dalle norme richiamate dal G.i.p. non sia prevedibile per l’opponente, in quanto non contemplato esplicitamente, appunto tassativamente, quale causa di inammissibilità. Le conseguenze dell’inammissibilità risultano ricadere sul condannato, che verrebbe a trovarsi gravato da un decreto di condanna irrevocabile pur avendo dimostrato, con l’opposizione (ritenuta inammissibile), di voler attivare la fase del contraddittorio propria del primo grado di giudizio; infine, per le espresse ragioni, l’onere di depositare il mandato a impugnare e l’elezione o la dichiarazione di domicilio, con l’atto di opposizione, risulta un requisito del tutto sproporzionato e non richiesto dallo scopo che è quello, alla luce del delineato favor oppositionis, di consentire al condannato di esercitare pienamente il diritto di difesa nel primo grado di giudizio.

Pertanto in relazione all’atto di opposizione a decreto penale di condanna non trova applicazione la disciplina dell’art. 581, commi 1-ter e 1-quater, cod. proc. pen. in quanto l’art. 461, comma 1, richiama esclusivamente le modalità di presentazione dell’atto di impugnazione, previste dall’art. 582, e non anche la forma dell’impugnazione e i requisiti di ammissibilità previsti dall’art. 581, cosicché, all’estensione della disciplina delle impugnazioni osta sia il principio di tassatività delle cause di inammissibilità, sia anche l’equiparazione tout court dell’opposizione all’atto di impugnazione, che va invece operata in quanto compatibile con il principio del favor oppositionis.

 

Cass. Sez. V n. 4613 del 9 gennaio 2024 dep. il 1 febbraio 2024

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