In tema di misure di prevenzione patrimoniali, la confisca può essere disposta nei confronti di soggetto residente all’estero, fermo restando il presupposto della correlazione temporale, anche relativamente a beni di valore sproporzionato rispetto al reddito lecito prodotto, non essendo limitata al caso dei beni che siano frutto di attività illecite e ne costituiscano il reimpiego.

In tema di misure di prevenzione patrimoniali, è deducibile con ricorso per cassazione la violazione del diritto alla prova di cui all’art. 7, comma 4-bis, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ancorché la relativa inosservanza non sia prevista a pena la nullità.

La Corte di appello di Roma – sezione misure di prevenzione – confermava il decreto emesso dal Tribunale capitolino con il quale era stata disposta la confisca di una serie di beni mobili e immobili riferibili sia al soggetto proposto sia a terzi interessati.

Il proposto e i terzi interessati impugnavano il decreto emesso dal giudice di secondo grado con tre rispettivi ricorsi per Cassazione.

Ciò posto, la Suprema Corte è intervenuta sul tema afferente la legittimità della procedura volta alla confisca dei beni nella disponibilità di un soggetto residente all’estero in caso di evidente sproporzione tra il valore dei medesimi e il reddito lecitamente prodotto.

Preliminarmente, il Supremo Collegio ha rilevato che la norma contenuta nell’art. 18, comma 4, del d.lgs. n.159 del 2011 funge da norma idonea a limitare il potere di disporre la confisca dei beni riferibili “al soggetto portatore di pericolosità (in presenza di correlazione temporale) in ipotesi di accertata sproporzione tra valore degli investimenti e redditività lecita”.

Di tal che, la disciplina avente a oggetto la confisca di prevenzione ha, ormai, quale precipuo scopo quello di dotare lo Stato di uno “strumento ‘recuperatorio’ delle utilità patrimoniali riferibili al soggetto inquadrato in una delle fattispecie tipiche di pericolosità e «derivanti» dalla attività illecita posta in essere nel periodo temporale caratterizzato dalla particolare condizione soggettiva”.

Pertanto, il parametro della sproporzione deve essere interpretato quale “mero parametro probatorio di accertamento indiziario della ‘provenienza’ dei beni dalla attività delittuosa commessa dal soggetto, e non un presupposto di diritto sostanziale” (cfr. Corte cost. n.24 del 2019: “la circostanza che la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o all’attività economica, da mero indicatore dell’origine illecita dei beni come era nella disciplina originaria del 1982), sia stato elevato, a partire dal 1993, a requisito alternativo e autonomo rispetto alla dimostrazione dell’origine illecita stessa, non modifica la ratio delle misure in parola: la verifica giudiziale della sproporzione, infatti, continua ad avere senso in quanto idonea a fondare una ragionevole presunzione relativa all’origine illecita del bene, allorché contestualmente risulti la pregressa attività criminosa di colui il quale abbia la disponibilità del bene e – in sede di valutazione dei presupposti della confisca – non riesca a giustificarne la legittima provenienza”).

Ciò posto, particole attenzione assumono non solo la valutazione della natura fittizia (o meno) della residenza all’estero del soggetto proposto, ma, anche, la applicazione del “criterio di accertamento della derivazione (dei beni)” dal quale deve risultare la “sproporzione tra valore dei beni e redditività lecita del periodo”.

Altra questione assolutamente rilevante attiene al rispetto del diritto alla prova del soggetto proposto nel procedimento di prevenzione.

Di conseguenza, il potere di ammissione delle prove (di qualunque natura), del quale è investito il giudice, è qualificabile come un potere-dovere in capo al medesimo al fine di filtrare le prove ed evitare l’assunzione di quelle irrilevanti, superflue e vietate dalla legge.

Il dato superiormente esposto trova conferma in un recente arresto delle Sezioni Unite (sent. n. 25951 del 2022, Lapelosa) secondo cui “L’adeguamento del sistema della prevenzione ai principi costituzionali e convenzionali, inciso sia da novelle legislative che da pronunce giurisprudenziali, ha così ridefinito non solo il perimetro sostanziale della materia ma anche quello procedimentale, determinando la progressiva giurisdizionalizzazione del procedimento, accompagnata da un graduale allineamento dapprima ai principi generali del giudizio ordinario e poi a quelli propri del giusto processo”.

Orbene, se le misure di prevenzione personali e patrimoniali richiedono una effettiva ricognizione, da parte del giudice, della sussistenza della pericolosità del soggetto, a maggior ragione, anche in caso di confisca c.d. “disgiunta”, il giudice deve accertare “l’esistenza o meno della pericolosità – anche storica – del proposto e tale accertamento non può che essere governato dalla disposizione di legge di cui all’art. 7 del d.lgs. n.159 del 2011 (che include, come si è detto, il diritto alla prova)”.

In tale contesto normativo, devesi rilevare che anche i terzi proprietari o comproprietari dei beni sequestrati devono avere “la facoltà di chiedere l’acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca”.

Ciò posto, sia in caso di richiesta di ammissione di una prova tanto da parte del soggetto proposto quanto dai terzi interessati, le violazioni del procedimento ammissivo della medesima (ossia della prova) devono ritenersi «violazioni della legge processuale».

In tal senso, devesi evidenziare che il ricorso per Cassazione avverso il decreto emesso nel procedimento di prevenzione è possibile per ogni violazione di legge e non soltanto per le violazioni “presidiate da sanzione di nullità”.

Altro profilo meritevole di considerazione attiene le modalità di esercizio del potere/dovere del giudice di ammissione della prova.

Difatti, “la introduzione del diritto alla prova nel procedimento di prevenzione non comporta la ‘necessaria assunzione in contraddittorio’ di ogni elemento di prova, restando utilizzabili (salvo il caso di prove vietate o illecite) gli atti depositati dall’autorità proponente in sede di instaurazione del procedimento”.

La richiesta di ammissione della prova orale, però, non può essere ritenuta a priori superflua soprattutto quando “la escussione in contraddittorio – anche di una fonte di prova ricompresa nel materiale cartaceo oggetto di deposito – possa risultare utile a verificare i profili di attendibilità del dichiarante o ad incrementare la conoscenza su punti controversi dell’inquadramento soggettivo di pericolosità o del giudizio di riferibilità (o di sproporzione) dei beni al soggetto proposto”.

Quanto, invece, alla decisione giudiziale fondata sul contenuto degli atti del procedimento, quest’ultima “non è vincolata né alla tipologia di pericolosità prospettata dall’organo proponente né alle valutazioni operate (anche in sede di sequestro) sulla estensione temporale del periodo di pericolosità” atteso che il giudizio di prevenzione permette l’utilizzo di “conformazioni giudiziali” afferenti sia la categoria tipica di pericolosità sia degli altri parametri rilevanti ai fini della decisione (cfr. Sez. I n. 32032 del 10.6.2013, rv 256450).

Ciò posto, con riferimento al ruolo assunto dal terzo interessato o comproprietario di uno o più beni destinati alla confisca, risulta essenziale ai fini della decisione la valutazione della condizione di ‘buona fede’ (nel senso di non coinvolgimento e ignoranza dell’attività illecita svolta dal soggetto pericoloso)da parte del terzo.

Tale condizione può ritenersi soddisfatta nel caso in cui il terzo interessato o il comproprietario del bene (destinato alla confisca) abbia impiegato risorse proprie ai fini dell’acquisto della res o di parte di essa.

La situazione fattuale dianzi esposta “spezza il nesso di ‘riferibilità’ del bene al soggetto portatore di pericolosità” (cfr. Sez. I n. 42238 del 2017: “va precisato, in premessa, che la questione in diritto riguarda la interpretazione della disposizione di cui all’art. 24 co.1 del d.lgs. n.159 del 2011, nella parte in cui detto articolo di legge prevede la confisca dei beni «riferibili» al soggetto pericoloso, anche se formalmente intestati a terzi. La condizione del titolare, in tesi di accusa solo ‘formale’, del bene, è oggetto di particolare protezione da parte dell’ordinamento, nel senso che al fine di pervenire alla ablazione patrimoniale (con sacrificio del diritto di proprietà, qualificato come apparente) è necessario che l’accusa fornisca (al di là delle ipotesi di presunzione relativa di cui all’art. 26 co.2 dell’attuale testo di legge) la prova concreta della fittizietà dell’intestazione (tra le molte, per la particolare chiarezza, v. già Sez. 1 n. 6279 del 10.11.1997, rv 208941 sul testo previgente: in tema di provvedimenti di natura patrimoniale correlati all’applicazione di misure di prevenzione, incombe all’accusa l’onere di dimostrare rigorosamente, ai fini del sequestro e della confisca di beni intestati a terzi, l’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi del carattere puramente formale di detta intestazione, funzionale alla esclusiva finalità di favorire il permanere del bene in questione nella effettiva ed autonoma disponibilità di fatto del proposto; disponibilità la cui sussistenza, caratterizzata da un comportamento uti dominus del medesimo proposto, in contrasto con l’apparente titolarità del terzo, dev’essere accertata con indagine rigorosa, intensa ed approfondita, avendo il giudice l’obbligo di spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia sulla base non di sole circostanze sintomatiche di spessore indiziario, ma di elementi fattuali connotati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza ed idonei, pertanto, a costituire prova indiretta dell’assunto che si tende a dimostrare”).

La ratio è quella di accertare che il bene, destinato alla confisca, sia il frutto dell’avvenuto impiego di risorse provenienti dal soggetto pericolo e non, invece, dall’intestatario formale.

Pertanto, devesi rilevare che la decisione giudiziale deve essere subordinata alla effettuazione di una accurata indagine volta a stabile se le risorse economiche, utili all’acquisto della res o all’applicazione di migliorie sulla medesima, siano riconducibili o meno al soggetto pericoloso.

Il ragionamento superiormente esposto trova il proprio fondamento nel fatto che il titolare formale (terzo interessato o comproprietario) non è colui sul quale deve gravare l’obbligo di dimostrazione della buona fede al momento dell’acquisto non trattandosi di un soggetto che sta invocando, in tale sede, la tutela del proprio diritto di credito.

La allegazione di circostanze fattuali da parte di quest’ultimo possono essere, comunque, particolarmente utili per dimostrare “la «coincidenza» tra l’intestazione formale e l’impiego di risorse proprie o comunque ‘diverse’ da quelle provenienti dal soggetto pericoloso (dunque la «realtà» dell’acquisto)”.

Conclusivamente argomentando, il titolare formale che abbia impiegato risorse proprie del tutto “sganciate” da profili illeciti è immune dal provvedimento di confisca perché (come precedentemente detto) l’utilizzo di risorse lecite “spezza il nesso di riferibilità del bene alla persona pericolosa, con le conseguenze prima evidenziate”.

Sez. 1, Sentenza n. 44214 del 05/06/2023 Cc. (dep. 03/11/2023) Rv. 285502-01

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