In tema di valutazione della prova, le percezioni che il giudice trae direttamente dal processo e dai suoi atti, avendo natura di dati ed elementi che ritualmente entrano a far parte della sfera di cognizione del predetto, ben possono essere oggetto di valutazione e confronto con le ulteriori acquisizioni probatorie. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la valutazione, come prova a carico, del confronto, operato dallo stesso giudice di merito, tra le immagini di videosorveglianza e quelle del cartellino di riconoscimento dell’imputato sul posto di lavoro, da cui si era inferita l’identità del volto dei soggetti effigiati).

La Corte di appello di Palermo confermava la sentenza emessa dal giudice di primo grado con la quale veniva dichiarata la penale responsabilità del ricorrente in ordine ai reati previsti dalle norme contenute negli artt. 56, 110, 112, n. 4, 628, commi 1 – 3, n. 1, c.p. e 110, 112, n. 4, 582, 585, 576, n. 1, c.p..

Ciò posto, con il relativo atto di gravame, l’imputato lamentava mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione dell’impugnata sentenza – con riferimento alla individuazione del medesimo quale autore dei reati a lui contestati  – avendo la Corte di appello disatteso il contenuto della relazione tecnica del P.M. la quale, dalla disamina contenutistica delle immagini dell’impianto di videosorveglianza dell’istituto bancario, aveva escluso la possibilità di identificare l’autore della rapina nell’imputato e avendo (sempre la Corte) valorizzato “elementi indiziari sprovvisti dei requisiti richiesti dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen.”.

La Suprema Corte rigettava il ricorso rappresentando come la motivazione giudiziale fosse priva di vizi logici e come la medesima avesse dato ampiamente conto delle ragioni poste a base della penale responsabilità dell’imputato attraverso “l’indicazione di plurimi indizi gravi, precisi e concordanti” utili all’identificazione di quest’ultimo durante lo svolgimento del fatto criminoso (nel caso di specie l’imputato avrebbe ricoperto il ruolo di “palo” durante una rapina).

Di tal che, secondo il Supremo Collegio, il giudice di secondo grado avrebbe correttamente fatto uso delle dichiarazioni rese degli agenti di P.G. che, nell’immediatezza, avevano rappresentato di aver riconosciuto il ricorrente tramite la visione delle immagini del sistema di video-sorveglianza e di averlo visto più volte in compagnia di altro soggetto “(reo confesso per il reato de quo) nel corso di altre attività di indagine”.

Pertanto, tale “individuazione non risulta priva di rilievo se si considera che il giudice del merito dà atto di come colui che svolgeva le funzioni di palo – e ritenuto essere l’imputato – ebbe modo di scoprirsi parzialmente il volto, rendendo ben visibile bocca, naso ed occhi (sulla valenza di indizio grave e preciso del riconoscimento dell’imputato nel soggetto ripreso in un filmato registrato dalle telecamere di sicurezza presenti sul luogo di consumazione del delitto, operato dal personale di polizia giudiziaria, v. ex multis, Sez. 2, n. 42041 del 27/06/2019, Impolito, Rv. 277013 – 01)”.

E ancora, i Giudici di legittimità hanno sottolineato come “l’esito positivo del confronto delle immagini di videosorveglianza, operato dallo stesso giudice del merito, con quelle del cartellino (del ricorrente)” hanno condotto a ritenere sussistente un rapporto di identità tra l’imputato e il soggetto effigiato nelle immagini.

In tal senso, devesi rilevare che “le percezioni che il giudice trae direttamente dal processo e dai suoi atti – trattandosi di dati ed elementi che ritualmente entrano a far parte della sfera di cognizione – (costituiscono) oggetto di valutazione e confronto con le ulteriori acquisizioni probatorie (Sez. 6, n. 25383 del 27/05/2010, Rv. 247826 – 01)”.

Ciò posto, la Suprema Corte ha rilevato come, nel giudizio di legittimità, il sindacato sulla correttezza del procedimento indiziario non può vertere nella “rivalutazione della gravità, della precisione e della concordanza degli indizi, in quanto ciò comporterebbe inevitabilmente apprezzamenti riservati al giudice di merito, ma deve tradursi nel controllo logico e giuridico della struttura della motivazione, al fine di verificare se sia stata data esatta applicazione ai criteri legali dettati dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. e se siano state coerentemente applicate le regole della logica nell’interpretazione dei risultati probatori (Sez. 1, n. 42993 del 25/9/2008, Rv. 241826)”.

Inoltre, il giudice di merito può fondare il proprio convincimento attraverso la “loro concatenazione logica (ossia degli indizi), dalla quale risulti che il complesso degli indizi possiede quella univocità e concordanza atta a convincere della loro confluenza nella certezza in ordine al fatto stesso” (cfr.Sez. 1, n. 978 del 12/10/1982, dep. 1983, S., Rv. 157266, Sez. 2, n. 28388 del 21/04/2017, Leo).

Infine, non rileva, in termini di decisività, il fatto che la consulenza tecnica del pubblico ministero non abbia condotto ad esiti positivi in ordine alla identificazione dell’imputato tra i soggetti effigiati nelle immagini dell’impianto di videosorveglianza posto che “il principio di libera valutazione della prova concerne anche la prova tecnica e, pertanto, il giudice, quale “peritus peritorum”, può esprimere il proprio giudizio in motivato contrario avviso rispetto a quello del perito” (cfr. Sez. 2, n. 12991 del 19/02/2013, Stagno, Rv. 255196-01).

 

Sez. 2, Sentenza n. 45851 del 15/09/2023 Ud. (dep. 14/11/2023) Rv. 285441-01

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