La sentenza di patteggiamento con cui sia stata concessa la sospensione condizionale della pena non subordinata, come concordato tra le parti, agli obblighi di cui all’art. 165, quinto comma, cod. pen., necessariamente previsti in relazione ai reati ivi contemplati, non è ricorribile per cassazione, non determinando tale omissione un’ipotesi di illegalità della pena.

Il Pg ricorre avverso la sentenza di patteggiamento con la quale il Giudice aveva concesso la pena sospesa senza applicare l’art. 165 cp. In particolare, a seguito della modifica apportata all’art. 165 cod. pen. dall’art. 6 della legge 19 luglio 2019, n. 62, entrato in vigore prima della realizzazione della condotta contestata, nei casi di condanna per i delitti contemplati da tale disposizione, tra cui quelli di cui agli artt. 609-bis e 609-ter cod. pen. ascritti all’imputato, il beneficio della sospensione condizionale della pena deve obbligatoriamente essere subordinato alla partecipazione del condannato a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni qualificati; nonostante ciò il Tribunale, nel recepire l’accordo intervenuto tra l’imputato e il pubblico ministero, che prevedeva il riconoscimento del beneficio della sospensione della pena senza alcuna condizione, aveva omesso di apporla e di subordinarvi tale beneficio, con la conseguente nullità della sentenza.

Sul punto esistono due indirizzi che si contrappongono essenzialmente sul concetto di pena illegale.

Un primo orientamento è contrario alla impugnabilità con ricorso per cassazione delle sentenze di applicazione della pena su richiesta che abbiano illegittimamente disposto la sospensione condizionale della pena senza subordinarla all’adempimento di uno degli obblighi previsti come condizione necessaria per l’applicazione di tale beneficio; orientamento che si fonda sulla esclusione della riconducibilità di tale vizio alla nozione di illegalità della pena. La nozione di «pena illegale» infatti deve essere, secondo questo primo indirizzo, nettamente distinta da quella di «pena illegittima» e le disposizioni sulla sospensione condizionale della pena sono estranee al concetto di pena.

Un secondo orientamento è invece favorevole alla proposizione del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., con cui il pubblico ministero contesti l’omessa subordinazione della sospensione condizionale della pena a uno degli obblighi previsti dalla legge come condizione necessaria per il riconoscimento di tale beneficio, in quanto la nozione di “pena illegale” comprende anche gli istituti che incidono sulla effettiva e concreta applicazione delle sanzioni.

  1. Le Sezioni Unite, nel dare continuità sia alla nozione di “pena illegale”, sia a quanto chiarito con la sentenza Liguori a proposito della sospensione condizionale della pena e della sua subordinazione, chiariscono innanzitutto che nella categoria della pena illegale rientrano ipotesi ontologicamente non omogenee, elaborate secondo prospettive e a fini profondamente diversi: si parla di illegalità originaria in caso di applicazione di una sanzione diversa da quella prevista dall’ordinamento; di illegalità conseguente ad abolitio criminis, a sopravvenienza di una lex mitior, a declaratoria di incostituzionalità di una norma incidente nel trattamento sanzionatorio.

È pena illegale ab origine quella che non corrisponde, per specie ovvero per quantità, sia in difetto sia in eccesso, a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice. La nozione di pena illegale, dunque, non può estendersi «sino al punto da includere profili incidenti sul regime applicativo della sanzione, a meno che ciò non comporti la determinazione di una pena estranea all’ordinamento per specie, genere o quantità», in quanto la pena può essere considerata illegale non quando consegua a una mera erronea determinazione del trattamento sanzionatorio, alla quale l’ordinamento reagisce approntando i rimedi processuali delle impugnazioni, ma solo quando non sia prevista dall’ordinamento, ovvero sia superiore o inferiore ai limiti edittali previsti dalla legge o sia più grave per genere e specie di quella individuata dal legislatore. E’, quindi, solamente la violazione delle cornici edittali – che sono la manifestazione e il frutto del potere legale di determinazione della pena – a integrare la pena illegale, e che «ogni altra violazione delle regole che occorre applicare per la definizione della pena da infliggere integra un errato esercizio del potere commisurativo e dà luogo a una pena che è illegittima», ma non illegale.

  1. Dall’altro lato la sospensione condizionale della pena si qualifica, sin dalla sua introduzione, come una misura, in senso lato, alternativa alla detenzione, rispondente alla ratio di sottrarre alla privazione della libertà e alla restrizione in carcere chi non avesse ancora conosciuto l’esperienza detentiva, orientata a ridurre il fenomeno della detenzione breve (o brevissima). Essa assolve a una duplice funzione: da un lato è negativamente volta a evitare l’esecuzione della pena, dall’altro, pur risultando uno strumento “alternativo” al carcere, conserva una positiva portata sanzionatoria, in quanto il condannato dovrà astenersi dal commettere ulteriori reati della stessa indole di quello per cui sia già intervenuta una affermazione di responsabilità e sarà anche obbligato ad adempiere alle eventuali prescrizioni cui il beneficio sia stato subordinato.

Tale ricostruzione porta dunque a escludere che la sospensione condizionale della pena possa essere ricondotta alla nozione di “pena” rilevante ai fini della verifica della sua “legalità”, in quanto essa implica la già avvenuta determinazione della pena con una sentenza di condanna, cioé la traduzione della pretesa punitiva, della punibilità astratta, in concreta (cfr. Corte cost., sent. n. 295 del 1986), e si configura come una “astensione a tempo” dall’esecuzione della pena, che non implica alcuna limitazione della liberta personale del condannato (cosi Corte cost., ord. n. 296 del 2005, che, nella motivazione ha sottolineato come nella sospensione condizionale della pena manchi del tutto un assoggettamento a restrizione della liberta personale del condannato).

Come chiarito dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 295 del 1986, la sospensione condizionale della pena (alla quale il legislatore dedica ben sei articoli) non ha effetti definitivi immediati: essa apre una vicenda che soltanto alla fine del termine indicato dall’art. 163 cod. pen. conduce all’eventuale estinzione di alcuni effetti penali. Se l’esecuzione della pena rimane sospesa è perché si produce in concreto (e soltanto in virtù del suo instaurarsi) una nuova fattispecie che inibisce l’esecuzione della pena inflitta al termine della vicenda giuridica aperta dalla concessione del beneficio e, qualora si avverino una serie di elementi positivi e negativi (decorso del tempo, adempimento degli obblighi eventuali, di cui all’art. 165 cod. pen., mancanza di revoca del beneficio), determina l’estinzione degli effetti penali di cui all’art. 167 cod. pen.

Risulta evidente, dunque, l’estraneità del beneficio della sospensione condizionale alla nozione di pena, in quanto la sospensione condizionale determina una astensione a tempo dall’esecuzione della pena, che è stata già determinata con la sentenza di condanna e di cui, accordando il beneficio, si sospende l’esecuzione, cosicché il riconoscimento del beneficio non incide, immediatamente, sulla pena, potendo eventualmente e successivamente determinarsi gli effetti estintivi di cui all’art. 167 cod. pen. (nel caso di astensione dalla commissione di altri reati nel termine stabilito, cioè al positivo superamento della prova cui il condannato è stato ammesso).

L’arricchimento degli obblighi e delle prescrizioni cui il condannato può (o deve) essere assoggettato non muta la natura e il carattere della sospensione condizionale della pena; questa, infatti, conserva, pur in presenza della imposizione di detti obblighi, il suo carattere esterno alla pena, della quale, pur in presenza di detti obblighi, alcuni da imporre necessariamente per poter accordare il beneficio, continua a sospendere l’esecuzione, presupponendone la già avvenuta e completa determinazione con la sentenza di condanna.

Ne consegue che non può certamente discorrersi di illegalità della pena (che è già stata interamente e definitivamente determinata), con riferimento alla sua sospensione condizionale, che, come evidenziato, determina solo una astensione a tempo dalla sua esecuzione e il possibile verificarsi degli effetti estintivi di cui all’art. 167 cod. pen. Il carattere afflittivo di alcuni di detti obblighi, che in alcuni casi, come quello di cui all’art. 165, quinto comma, cod. pen. (che rileva nel caso in esame), consistono in un programma di prescrizioni cui il condannato è obbligato se vuole conseguire l’effetto estintivo di cui all‘art. 167 cod. pen., non muta la ricordata natura della sospensione condizionale della pena e non consente neppure, come affermato in alcune decisioni di assimilare tali obblighi alle pene, il cui elenco è tassativamente indicato dall’art. 17 cod. pen. e il cui contenuto è, altrettanto tassativamente, disciplinato nei capi II e III del titolo II del libro I del codice penale.

La sola afflittività del contenuto delle prescrizioni o degli obblighi imposti al condannato con la sentenza di condanna con la quale è stato accordato il beneficio della sospensione condizionale non consente di includerli tra le pene, che, come ricordato, sono tassativamente previste dall’art. 17 cod. pen., trattandosi, in realtà, non di sanzioni, ma di comportamenti imposti al condannato in funzione special-preventiva, strumentali al conseguimento del ricordato effetto estintivo (che deriva dalla astensione dalla commissione di altri reati e dall’adempimento di detti obblighi): non si tratta, dunque, di pene, ma di obblighi, tanto che in dottrina si è utilizzata la nozione di sospensione condizionale con obblighi o “con prova”, come modello contrapposto a quello della sospensione condizionale semplice, non vincolata all’adempimento di particolari obblighi. Ne deriva l’estraneità della sospensione condizionale della pena, pur se condizionata a obblighi o prescrizioni, alla nozione di pena, nell’interpretazione che ne è stata costantemente data dalla giurisprudenza di legittimità, alla luce della univoca e tassativa previsione dell’art. 17 cod. pen. e dei principi di legalità e tassatività applicabili al riguardo.

Pur concorrendo alla esecuzione, o eseguibilità, della pena, la sospensione condizionale è accessoria a essa come stabilita con la sentenza di condanna, ne determina solo una temporanea inibizione all’esecuzione e può provocare, in presenza della astensione dalla commissione di ulteriori reati e dell’adempimento degli obblighi, gli effetti estintivi di cui all’art. 167 cod. pen. Ciò comporta anche l’impossibilità di qualificare “illegale”, nel senso elaborato da tempo dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, una pena di cui sia stata accordata la sospensione condizionale (in difetto dei presupposti di applicabilità di tale istituto) od omettendo le prescrizioni o gli obblighi previsti come necessari, posto che la sospensione condizionale non concorre a definire la nozione di pena e quindi le eventuali violazioni di legge verificatesi nel riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena non ne possono determinare l’illegalità (che sola consente la proposizione del ricorso per cassazione, unitamente agli casi altri previsti dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.).

 

Cass. SS.UU. n. 5352 del 28 settembre 2023 (dep. 06 febbraio 2024)

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