Le Sezioni Unite penali hanno affermato che: – ai sensi dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., il giudice dell’esecuzione deve considerare come “pena più grave inflitta”, che identifica la “violazione più grave”, quella concretamente irrogata dal giudice della cognizione siccome indicata nel dispositivo di sentenza; – ai sensi degli artt. 671 cod. proc. pen. e 187 disp. att. cod. proc. pen., in caso di riconoscimento della continuazione tra reati giudicati separatamente con rito abbreviato, fra cui sia compreso un delitto punito con la pena dell’ergastolo per il quale il giudice della cognizione abbia applicato la pena di anni trenta di reclusione per effetto della diminuente di un terzo ex art. 442, comma 2, terzo periodo, cod. proc. pen. (nel testo vigente sino al 19 aprile 2019), il giudice dell’esecuzione deve considerare come “pena più grave inflitta” che identifica la “violazione più grave” quella conseguente alla riduzione per il giudizio abbreviato.

La Prima Sezione penale, con ordinanza datata 21 dicembre 2022, ha rimesso un ricorso alle Sezioni Unite rappresentando la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale afferente la interpretazione della norma contenuta nell’art. 187 disp. att. c.p.p. e, in particolare, la quaestio iuris avente a oggetto il riconoscimento della disciplina della continuazione tra reati oggetto di sentenze di condanna irrevocabili emesse all’esito di distinti giudizi abbreviati.

Il quesito è stato così formulato: “Se il riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., tra reati giudicati separatamente con rito abbreviato, fra cui sia compreso un delitto punito con la pena dell’ergastolo per il quale il giudice della cognizione abbia applicato la pena di anni trenta di reclusione per effetto della diminuente di un terzo ex art. 442, comma 2, terzo periodo, cod. proc. pen. (nel testo vigente sino al 19 aprile 2019), comporti che, in sede esecutiva, per “pena più grave inflitta” che identifica la “violazione più grave” ai sensi dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., debba intendersi quella risultante dalla riduzione per il rito speciale ovvero quella antecedente alla suddetta riduzione”.

Preliminarmente, devesi rilevare che le Sezioni Unite hanno precisato che la “discrepanza” interpretativa della suindicata norma ha ad oggetto il tema della applicazione della disciplina della continuazione e le conseguenti modalità di calcolo in caso di condanne per reati puniti con la pena dell’ergastolo o per i quali debba trovare applicazione la norma contenuta nell’art. 78 c.p..

Difatti, solo per questa categoria di reati “ha incidenza l’individuazione della pena base sulla quale operare gli aumenti a titolo di continuazione, potendo solo in tal caso mutare il computo (cosi come la natura) della pena finale; viceversa, nessuna incidenza si determina per le pene temporanee, essendo sostanzialmente irrilevante, per la medesimezza del risultato finale, che la riduzione per il rito venga effettuata sui singoli addendi (le frazioni di pena da unificare) ovvero sulla pena finale”.

Ciò posto, vi sarebbero, sostanzialmente, due differenti orientamenti giurisprudenziali in contrasto tra loro.

Il primo ha stabilito che per “pena più grave inflitta” debba essere identificata la “violazione più grave” secondo quanto previsto dalla norma contenuta nell’art. 187 disp. att. c.p.p. e, pertanto, quella antecedente alla riduzione per il rito abbreviato (conf. Sez. U, n. 45583 del 25/10/2007, P.G. in proc. Volpe e altri, Rv. 237692 – 01; Sez. 1, n. 37168 del 19/07/2019, Ben Salam, Rv. 276838 – 01; Sez. 1, n. 31041 del 20/04/2018, Gatto, non mass.; Sez. 5, n. 43044 del 04/05/2015, Dedinca, Rv. 265867 – 01; Sez. 1, n. 20007 del 05/05/2010, Serafino, Rv. 247616 – 01; Sez. 1, n. 26758 del 29/05/2009, Signore, non mass.; Sez. 5, n. 18368 del 09/12/2003, dep. 2004, Bajrami, Rv. 229229 – 01; Sez. 1, n. 6217 del 07/04/1994, Pusceddu, Rv. 197840 – 01).

Tali pronunce fondano il proprio ragionamento sul fatto che “il riconoscimento in sede esecutiva della continuazione tra i reati oggetto di condanne emesse all’esito di distinti giudizi abbreviati comporta, previa individuazione del reato più grave, la determinazione della pena base nella sua entità precedente all’applicazione della diminuente per il rito abbreviato, l’applicazione dell’aumento per continuazione su detta pena base e infine il computo sull’intero in tal modo ottenuto della diminuente per il rito abbreviato” (cfr. Sez. 1, n. 20007 del 2010, Serafino, cit.).

Tale argomentazione trova il proprio fondamento giuridico nella natura squisitamente processuale della diminuente prevista dalla norma contenuta dalla norma nell’art. 442, comma 2, c.p.p.  trattandosi, difatti, di una semplice operazione aritmetica la quale risulta essere la conseguenza della scelta, da parte dell’imputato, del rito c.d. abbreviato.

Il secondo filone interpretativo ha, invece, stabilito che “ai fini dell’individuazione della violazione più grave nel reato continuato in sede esecutiva, il giudice deve tenere conto della sanzione più severa concretamente inflitta (nella specie, previa riduzione di un terzo nel caso di condanna pronunciata con rito abbreviato)” (fra le altre Sez. 1, n. 48204 del 10/12/2008, Abello, Rv. 242660 – 01).

Seguendo tale modus operandi, ai fini della corretta applicazione della norma contenuta nell’art. 187 disp. att. c.p.p., è necessario avere riguardo alla pena risultante dall’applicazione della riduzione per la scelta del rito.

Il principio sancito dalla pronuncia da ultimo indicata (ossia Sez. 1, n. 48204 del 2008, Abello) è stato generalmente condiviso da varie decisioni, fra le quali, possono essere segnalate “Sez. 1, n. 36463 del 28/04/2021, Rullo, non mass.; Sez. 1, n. 58481 del 10/10/2018, Zarrillo, non mass.; Sez. n. 20206 del 27/03/2018, Tomarelli, non mass. (ove, espressamente, in motivazione, si fa riferimento alla necessitad di considerare la pena più grave concretamente inflitta al netto della riduzione); Sez. 1, n. 8978 del 26/05/2016, dep. 2017, Valenti, non mass.; Sez. 1, n. 4135 del 27/01/2015, dep. 2016, Bassora, Rv. 267302 – 01 (in motivazione); Sez. 1, n. 7150 del 28/04/2015, Paoltroni, non mass. (ove si rinviene la chiara affermazione che la riduzione per il rito precede e non segue la determinazione degli addendi) e Sez. 1, n. 12585 del 12/03/2015, Piperis, non mass. Sez, 1, n. 13756 del 2020, Morelli, Rv. 278977 – 01, citata dalla difesa del ricorrente Giampa a supporto della propria tesi, ha avuto ad oggetto una fattispecie solo in parte sovrapponibile a quella presa in considerazione dall’ordinanza della Prima Sezione. Si trattava del riconoscimento della continuazione tra due omicidi volontari (e reati connessi) giudicati, in cognizione, con due sentenze di condanna alla stessa pena di anni trenta di reclusione, ciascuna emessa all’esito di giudizio abbreviato”.

Pertanto, il secondo “filone” ha proceduto al calcolo della pena “al lordo” della riduzione per il rito.

Ciò posto, nel caso sottoposto all’attenzione della Prima Sezione, con sentenza n. 20007 del 2010 (ric. Serafino) (trattasi della pronuncia che funge quale file rouge secondo il primo filone interpretativo), il giudice dell’esecuzione, seguendo il principio stabilito dalla pronuncia da ultimo indicata,  pervenne a determinare la pena base per il reato più grave in quella dell’ergastolo e, senza indicare l’aumento della pena a titolo di continuazione, la quantificò nella pena finale dell’ergastolo con isolamento diurno di un anno (nel merito si stabilì che “quando concorrono più delitti, per ciascuno dei quali deve infliggersi la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni, si applica l’ergastolo (dovendo essere individuata) nella citata disposizione lo sbarramento all’applicazione della pena temporanea entro il limite di trent’ anni nel caso di delitti punti con l’ergastolo sostituito dalla reclusione per effetto del rito abbreviato”).

E, ancora, tra le pronunce costituenti il “nucleo portante” del primo orientamento vi sarebbe la già citata sentenza n. 13756 del 2020, emessa dalla Prima Sezione, secondo cui, a fini della determinazione della pena, è necessario “tenere conto della «pena da espiare in concreto», ossia di quella «al netto della riduzione per il rito».

Orbene, le Sezioni Unite, di fronte alla evidente e netta contrapposizione esistente tra le opzioni ermeneutiche dianzi indicate, hanno aderito al secondo orientamento condividendo il ragionamento logico-giuridico secondo il quale “ai fini dell’individuazione della violazione più grave nel reato continuato in sede esecutiva, il giudice deve tenere conto della sanzione più severa concretamente inflitta (nella specie, previa riduzione di un terzo nel caso di condanna pronunciata con rito abbreviato)”.

Il Supremo Collegio, nella sua più autorevole composizione, ha sottolineato come, in ossequio al criterio d’interpretazione letterale previsto dalla norma contenuta nell’art. 12 delle preleggi, “l’uso del participio passato «inflitta», contenuto nell’art, 187 disp. att. cod. proc. pen., con riferimento alla «pena più grave», identificante, a sua volta, 1a «violazione più grave», inequivocamente rimanda alla pena in concreto irrogata dal giudice della cognizione siccome indicata nel dispositivo di sentenza e, in caso di pena inflitta in sede di giudizio abbreviato, a quella risultante dalla riduzione di un terzo per il rito”.

Tale soluzione risulta assolutamente coerente con la natura “derogatoria” della norma contenuta nell’art. 187 disp. att. c.p.p. rispetto alla norma di carattere generale ex art. 81 c.p. come già sottolineato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 25939 del 28/02/2013, Ciabotti (in tale occasione venne enunciato il principio di diritto secondo cui “in tema di reato continuato, la violazione più grave va individuata in astratto in base alla pena edittale prevista per il reato ritenuto dal giudice in rapporto alle singole circostanze in cui la fattispecie si è manifestata e all’eventuale giudizio di comparazione fra di esse” e che “l’art. 187 disp. att. cod. proc. pen. è […] espressamente e logicamente limitato alla fase dell’esecuzione, in cui si può solo prendere atto della valutazione effettuata dal giudice della cognizione, sicché, per esaminare sentenze o decreti irrevocabili ai fini del concorso formale o della continuazione, ¢i si deve necessariamente riferire alle pene più gravi che siano state concretamente inflitte”).

Di analogo tenore è stato il pronunciamento n. 28569 del 18/05/2017 delle Sezioni Unite che, occupandosi del rapporto intercorrente tra la norma contenuta nell’art. 81 c.p. e l’art. 671 c.p.p., hanno affermato che “nel riconoscimento del concorso formale o della – continuazione in sede esecutiva il giudice, nella determinazione della pena, è tenuto al rispetto, oltre che del criterio indicato dall‘art. 671, comma 2, cod. proc. pen., anche del limite del triplo della pena stabilita per la violazione più grave previsto dall’art. 81, commi primo e secondo, cod. pen.” rilevando come la norma contenuta nell’art. 187 disp. att. c.p.p. trovi fondamento nell’esigenza di adattare l‘istituto della continuazione “alle caratteristiche proprie dell’esecuzione” considerato che “mentre nel processo di cognizione l’individuazione della violazione più grave è affidata alla valutazione discrezionale, per quanto vincolata, del giudice, nella fase esecutiva essa, pur a fronte alla cedevolezza, pro reo, del giudicato, non può che incontrare il limite della pena più grave già inflitta. Nell‘uno come nell’altro caso, quindi, la pena-base è sempre quella per la violazione più grave, rispettivamente da determinare o già determinata”.

Ciò posto, sempre le Sezioni Unite, con pronunciamento n. 45583 del 27/10/2007, sia pure incidentalmente, hanno fornito un “assist” a favore dell’opzione ermeneutica che fonda il ricalcolo della pena ex art. 187 disp. att. c.p.p. partendo dalla pena-base “concretamente applicata, al netto della riduzione operata per effetto del giudizio abbreviato”.

Pertanto, una corretta lettura della norma dianzi citata “richiede che, nella sequenza delle operazioni per la determinazione del trattamento sanzionatorio del reato continuato in fase esecutiva, la riduzione per il giudizio abbreviato assume rilievo in limine, dovendosi avere riguardo alla pena concretamente inflitta in esito all’applicazione della riduzione premiale del rito, e ciò con riferimento sia al reato base che ai reati satellite e prima, eventualmente, dell’applicazione del criterio moderatore di cui all’art, 78 cod. pen. (cosi, Sez. 1, n. 42316 del 2010, Cutaia, cit.)”.

Non convince, pertanto, la tesi che, valorizzando la natura squisitamente processuale della diminuente prevista dall’art. 442, comma 2, c.p.p., afferma come la riduzione per il rito abbreviato (trattandosi di mera operazione aritmetica) sia priva di conseguenze sostanziali e, pertanto, inidonea a incidere, in concreto, sulla individuazione della nozione giuridica di “pena” anche ai fini previsti dall‘art. 187 disp. att. c.p.p..

Il rischio sarebbe quello di non comprendere il vero senso della diminuente “trascurando, al contempo, di considerare che da essa scaturiscono, indefettibilmente, conseguenze di carattere sostanziale”.

In tal senso, devesi evidenziare le Sezioni Unite “Piccillo” del 1992 stabilirono che “la diminuzione di un terzo della pena e la sostituzione dell’ergastolo con la reclusione di trenta anni costituiscono trattamenti penali di favore con caratteristiche peculiari, perché si ricollegano ad un comportamento dell’imputato successivo al reato e di natura processuale, ma secondo queste Sezioni unite la peculiarità dei trattamenti non rende inoperante il limite di cui si è detto. È vero che, nonostante autorevoli opinioni dottrinali in senso diverso, la giurisprudenza di questa Corte e della Corte costituzionale tende ad escludere la riferibilità dell’art, 25, comma 2, Cost. alle norme processuali, ma nella specie gli aspetti processuali sono strettamente collegati con aspetti sostanziali, perché tali certamente sono quelli relativi alla diminuzione o alla sostituzione della pena e tali sono stati considerati anche dalla Corte costituzionale, da ultimo nella sentenza n. 23 del 1992 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di varie disposizioni concernenti il giudizio abbreviato, nella parte in cui non consentivano al giudice del dibattimento di verificare se il processo avrebbe potuto essere definito allo stato degli atti e di applicare in caso affermative la riduzione di pena. Sottrarre al giudice del dibattimento il controllo sulla definibilità allo stato degli atti avrebbe infatti limitato secondo la Corte costituzionale “in modo irragionevole il diritto di difesa dell’imputato, nell‘ulteriore svolgimento del processo, su di un aspetto che ha conseguenze sul piano sostanziale”. Non importa stabilire la natura della diminuzione o della sostituzione della pena, importa piuttosto rilevare che essa si risolve indiscutibilmente in un trattamento penale di favore e che ai fini della presente decisione rilevano gli aspetti sostanziali della disposizione concernente tale trattamento, aspetti che sarebbe difficile contestare avendo presente un caso come quello oggetto del presente ricorso nel quale l’adozione del giudizio abbreviato ha determinato una diminuzione di pena di otto anni e sei mesi di reclusione. Né secondo queste Sezioni unite può rilevare in senso negativo il fatto che il trattamento penale di favore dipenda da un comportamento successivo alla commissione del reato perché la garanzia dell’art. 25, comma 2, Cost. deve essere intesa nel senso che se la legge ricollega ad una condotta, anche successiva al reato, un trattamento penale non può un’eventuale pronuncia di incostituzionalità di quella legge comportare un trattamento svantaggioso per chi ha tenuto quella condotta”.

La natura sostanziale della citata diminuente è, ancora, emersa dalla sentenza emessa dalla Corte EDU in data 17/09/2009 (caso Scoppola c. Italia) secondo la quale “la specificazione introdotta dal d.l. n. 341 del 2000 alla modifica apportata dalla legge n. 479 del 1999 all‘art. 442, comma 2, cod. proc. pen. deve essere considerata non l’interpretazione autentica della suddetta norma, ma una nuova disposizione che stabiliva la riduzione di pena da applicare, per la scelta del rito abbreviato, in caso di condanna alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno; norma che, avendo natura sostanziale e non processuale, non poteva essere applicata retroattivamente, in quanto meno favorevole all’imputato”.

Si pensi, ancora, alla sentenza n. 210 del 2013 con la quale la Corte costituzionale “ha dichiarato costituzionalmente illegittimo – per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’articolo 7 CEDU, come riscontrata dalla sentenza Corte EDU, 17/09/2009, Scoppola c. Italia – l’art. 7, comma 1, del d.l. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4” o alla sentenza n. 34233 del 19/04/2012 delle Sezioni Unite le quali, in tale occasione, hanno stabilito che “tra le diverse leggi succedutesi nel tempo che prevedono la specie e l’entità della pena da infliggere all’imputato in caso di condanna all’esito del giudizio abbreviato per i reati astrattamente punibili con l’ergastolo, la legge intermedia più favorevole non trova applicazione quando la richiesta di accesso al rito speciale non sia avvenuta durante la vigenza di quest’ultima, ma soltanto successivamente, nel vigore della legge posteriore che modifica quella precedente”.

Altro caso eclatante è il pronunciamento delle Sezioni Unite n. 18821 del 24/10/2013 con il quale è stato enucleato il principio di diritto secondo cui “non può essere ulteriormente eseguita, ma deve essere sostituita con quella di anni trenta di reclusione, la pena dell‘ergastolo inflitta in applicazione dell’art. 7, comma primo, d.l. n. 341 del 2000 all’esito di giudizio abbreviato richiesto dall’interessato nella vigenza dell’art. 30, comma primo, lett. b), legge n. 479 del 1999 – il quale disponeva, per il caso di accesso al rito speciale, la sostituzione della sanzione detentiva perpetua con quella temporanea nella misura precisata – anche se la condanna è divenuta irrevocabile prima della dichiarazione di illegittimità della disposizione più rigorosa, pronunciata per violazione dell’art. 117 Cost, in riferimento all’art. 7, par. 1, della Convenzione Edu, laddove riconosce il diritto dell’interessato a beneficiare del trattamento “intermedio” più favorevole, in quanto il divieto di dare esecuzione ad una sanzione penale contemplata da una norma dichiarata incostituzionale dal Giudice delle leggi esprime un valore che prevale su quello della intangibilità del giudicato e trova attuazione nell’art. 30, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87”.

Il dato essenziale emergente da tali pronunce è stato quello di riconoscere agli aspetti processuali, tipici del giudizio abbreviato (quali la diminuzione o la sostituzione della pena), uno stretto collegamento con quelli sostanziali.

Sulla scorta di tali considerazioni, condividendo pienamente la tesi secondo la quale è innegabile la natura sostanziale delle conseguenze trattamentali della pena irrogata a seguito dell’accesso al rito abbreviato nel pieno rispetto delle norme contenute negli artt. 2 c.p. e 25 Cost., le Sezioni Unite hanno enucleato i seguenti principi di diritto:

«1) ai sensi dell’art, 187 disp. att. cod. proc. pen., il giudice dell’esecuzione deve considerare come “pena più grave inflitta”, che identifica la “violazione più grave”, quella concretamente irrogata dal giudice della cognizione siccome indicata nel dispositivo di sentenza;

 

2) ai sensi degli artt. 671 cod. proc. pen. e 187 disp. att. cod. proc. pen., in caso di riconoscimento della continuazione tra reati giudicati separatamente con rito abbreviato, fra cui sia compreso un delitto punito con la pena dell’ergastolo per il quale il giudice della cognizione abbia applicato la pena di anni trenta di reclusione per effetto della diminuente di un terzo ex art. 442, comma 2, terzo periodo, cod. proc. pen. (nel testo vigente sino al 19 aprile 2019), il giudice dell‘esecuzione deve considerare come “pena più grave inflitta” che identifica la “violazione più grave” quella conseguente alla riduzione per il giudizio abbreviato».

 

Cass. Pen. Sez. U., sent. n. 7029, deposito del 16 febbraio 2024

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