Il Commento di Michele Bontempi

“UN PROCESSO AL CONTRARIO.”
Il titolo dice “Sì alla giustizia riparativa”, in realtà è l’ennesimo caso in cui i genitori della vittima si rifiutano di incontrare l’imputato nell’ambito di un percorso di giustizia ripartiva. Troppo presto – non mi stancherò mai di ribadirlo – per poter anche solo pensare di sedersi ad un tavolo e guardare negli occhi l’assassino della propria figlia scevri da un sentimento di rifiuto; occorre – almeno – che l’accertamento giudiziale sia arrivato ad un punto fermo, ad una verità da cui partire. Che poi, per entrambi (vittime e imputato) deve essere necessariamente una verità di condanna, perché, se fosse di assoluzione, mi domando quale imputato chiederebbe mai di incontrare la vittima di un fatto che non ha commesso e quale vittima accetterebbe di mediare serenamente con una persona che – ai suoi occhi – rimane sempre l’assassino di sua figlia a cui si aggiungerebbe la frustrazione che è stato assolto.
Per non dire che – nel caso di specie – il giudice non ha neppure sospeso il processo, con la paradossale conseguenza che, qualora il percorso di giustizia riparativa dovesse partire, parallelamente il giudice sarebbe impegnato nella fase del giudizio abbreviato.
E qui domando ancora una volta ai fautori della giustizia riparativa: con quale terzietà, con quale imparzialità questo tribunale potrebbe mai giudicare un imputato, quali possibilità ci sarebbero di mandarlo assolto per un reato in relazione al quale egli sta svolgendo, in parallelo, un percorso di mediazione non con una vittima qualunque, ma con la sua vittima, cioè con quella del reato che ha commesso?

È uno dei plurimi stravolgimenti della presunzione di innocenza ai quali ci ha abituato la riforma “Cartabia”, insieme a quello – ancora più clamoroso – del criterio di giudizio dell’udienza preliminare, cioè la previsione di condanna.
Purtroppo, con la “Cartabia”, il processo accusatorio ha subito l’ennesimo e questa volta definitivo attacco mortale ad opera di chi dietro le quinte è sempre rimasto nella schiera degli “orfani” dell’inquisitorio. Già, proprio gli inossidabili “orfani” dell’inquisitorio che non si sono mai arresi e che alla fine – bisogna riconoscerlo – hanno dimostrato una caparbietà fuori misura, che deriva dalla radicale, intima concezione autoritaria della giustizia che aleggia nelle loro menti. Solo che questa volta hanno trovato il grimaldello giusto per aprire lo scrigno del tesoro appropriamdosene: l’efficienza della giustizia imposta dall’Europa per ottenere i fondi del PNRR.
E di fronte alla salvezza economica del nostro paese, portato sull’orlo del baratro da decenni di accumulo del debito pubblico a causa dell’instabilità e dell’incapacità politica, non c’è giustizia che tenga e, soprattutto, non ci sono più principi che reggono, nemmeno quelli della Carta Costituzionale.

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