La Prima Sezione, con la allegata pronuncia è intervenuta sul “divieto, non derogabile, di destinazione del giudice onorario di pace a comporre i collegi che giudicano i reati indicati nell’art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen., introdotto dall’art. 12 d.lgs. 13 luglio 2017, n. 116” ribadendo che, trattandosi di “una limitazione alla capacità del giudice ex art. 33 cod. proc. pen.”, la sua violazione “è causa di nullità assoluta ai sensi dell’art. 179 cod. proc. pen., in relazione all’art. 178, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., insanabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento”. Infine, sempre nella medesima pronuncia, la Suprema Corte ha enucleato un interessante principio di diritto afferente la non automatica cessazione della misura cautelare in atto applicata nel caso di annullamento con rinvio della sentenza impugnata considerato che “detta cessazione va ordinata dalla Corte solo nei confronti delle misure cautelari emesse nel corso del giudizio di appello e nell’ipotesi (in cui) l’annullamento della sentenza di appello venga disposto senza rinvio, purché, in quest’ultimo caso, non comporti a norma dell’art. 185, comma 3, cod. proc. pen. la regressione del procedimento ed una nuova decorrenza dei termini di custodia cautelare ai sensi dell’art. 303, comma 2, cod. proc. pen.”.

La Corte di appello di Catania, in parziale riforma della sentenza emessa dal giudice di primo grado, dichiarava la penale responsabilità dell’imputato in relazione ai reati di violenza sessuale aggravato per essere stato commesso ai danni di minore infra-quattordicenne (capo 1), di corruzione di minorenne (capo 2), di violenza sessuale commesso ai danni della figlia minore aggravato per essere stato commesso ai danni di minore infra-quattordicenne (capo 3) e rideterminava la pena inflitta nei confronti del medesimo – previo riconoscimento del fatto di minore gravità di cui all’art. 609-bis, ultimo comma, c.p. con riferimento al capo 3) dell’imputazione – in anni sette e mesi sei di reclusione.

Ciò posto, impugnata la ridetta sentenza, il ricorrente lamentava, tra i vari motivi del relativo ricorso, violazione di legge processuale per essere stata la sentenza di primo grado emessa con la partecipazione a quasi tutte le udienze dibattimentali, all’istruttoria e alla decisione, di giudici onorari quali componenti del collegio del Tribunale di Catania.

Tale modus procedendi sarebbe, pertanto, stato in palese contrasto con quanto stabilito dalla norma contenuta nell’art. 12, d.lgs. n. 116 del 2017 determinando, conseguentemente, la configurazione di una nullità assoluta ex artt. 178, lett. a) e 179, comma 1 e 33 c.p.p.

In tal senso, il ricorrente ha rilevato come la norma contenuta nell’art. 12 d. lgs. n. 116 del 2017 non permette al GOT di presenziare nei collegi che devono procedere al giudizio in relazione a fatti – reato di cui all’art. 407, comma secondo, lett. a) cod. proc. pen. (n.d.r. i reati per i quali si procedeva, nel caso di specie, rientravano sotto il n. 7-bis del ridetto art. 407).

Una situazione siffatta avrebbe, pertanto, determinato una nullità assoluta ed insanabile per vizio di costituzione dell’organo giudicante inficiando sia la sentenza di primo grado sia quella d’appello.

La Suprema Corte reputava il ricorso fondato rilevando come sia necessario dare continuità a un principio già affermato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 3, n. 39119 del 06/07/2023, Rv. 285112) secondo cui il divieto, non derogabile, di destinazione del giudice onorario di pace a comporre i collegi che giudicano i reati indicati nell’art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen., introdotto dall’art. 12 d.lgs. 13 luglio 2017, n. 116, determina una limitazione alla capacità del giudice ex art. 33 cod. proc. pen., la cui violazione è causa di nullità assoluta ai sensi dell’art. 179 cod. proc. pen., in relazione all’art. 178, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., insanabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento.

Pertanto, è di evidenza assoluta come, nel presente caso, siano difettate le condizioni di capacità del giudice attesa la presenza di un magistrato onorario, quale componente del collegio del tribunale di Catania, il quale ha partecipato all’intero processo.

In tal senso, sottolinea il Supremo Collegio, assumono decisivo rilievo:

  • la norma contenuta nell’art. 11, comma 6, del d. lgs. 13 luglio 2017 la quale ha stabilito che Non possono essere assegnati, a norma del comma 1, ai giudici onorari di pace: a) per il settore civile: 1) i procedimenti cautelari e possessori, fatta eccezione per le domande proposte nel corso della causa di merito e del giudizio petitorio nonché dei procedimenti di competenza del giudice dell’esecuzione nei casi previsti dal comma 2 dell’art. 615 del codice di procedura civile e dal comma 2 dell’art. 617 del medesimo codice nei limiti della fase cautelare; 2) i procedimenti di impugnazione avverso i provvedimenti del giudice di pace; 3) i procedimenti in materia di rapporti di lavoro e di previdenza ed assistenza obbligatorie; 4) i procedimenti in materia societaria e fallimentare; 5) i procedimenti in materia di famiglia; b) per il settore penale: 1) i procedimenti diversi da quelli previsti dall’art. 550 del codice di procedura penale; 2) le funzioni di giudice per le indagini preliminari e di giudice dell’udienza preliminare; 3) i giudizi di appello avverso i provvedimenti emessi dal giudice di pace; 4) i procedimenti di cui all’art. 558 del codice di procedura penale e il conseguente giudizio;
  • la norma contenuta nel successivo art. 12, rubricata “Destinazione dei giudici onorari di pace nei collegi civili e penali” secondo cui “I giudici onorari di pace che sono inseriti nell’ufficio per il processo e rispetto ai quali non ricorrono le condizioni di cui all’art. 9, comma 4, possono essere destinati a comporre i collegi civili e penali del tribunale, quando sussistono le condizioni di cui all’art. 11 e secondo le modalità di cui al medesimo articolo. I provvedimenti di destinazione devono essere adottati entro la scadenza del termine perentorio di dodici mesi dal verificarsi della condizione di cui all’art. 11, comma 1, lettera a) ovvero, relativamente alle condizioni di cui alle lettere b), c) e d) del predetto comma, dalla pubblicazione dei dati di cui al comma 9 del medesimo articolo. Ai giudici onorari di pace destinati a comporre i collegi possono essere assegnati esclusivamente procedimenti pendenti a tale scadenza. La destinazione è mantenuta sino alla definizione dei relativi procedimenti. Del collegio non può far parte più di un giudice onorario di pace. In ogni caso, il giudice onorario di pace non può essere destinato, per il settore civile, a comporre i collegi giudicanti dei procedimenti in materia fallimentare e i collegi delle sezioni specializzate e, per il settore penale, a comporre i collegi del tribunale del riesame ovvero qualora si proceda per i reati indicati nell’art. 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale.

E’ evidente che l’intenzione del legislatore è stata quella di porre un divieto assoluto concernente la capacità del giudice onorario di pace nello svolgimento di determinate funzioni collegiali.

In tal senso, devesi evidenziare che l’art. 30, comma 6, del d. lgs. 13 luglio 2017 , in tema di disciplina transitoria, stabilisce  che “Per i procedimenti relativi ai reati indicati nell’art. 407, comma 2, lett. a) del codice di procedura penale, iscritti alla data di entrata in vigore del presente decreto, i divieti di destinazione dei giudici onorari di pace di cui al comma 5 nei collegi non si applicano se, alla medesima data, sia stata esercitata l’azione penale” e al comma 7 statuisce che “Per i procedimenti di riesame di cui all’art. 324 del codice di procedura penale il divieto di destinazione dei giudici onorari di pace di cui al comma 5 nei collegi non si applica se la notizia di reato è stata acquisita dall’ufficio di procura prima dell’entrata in vigore del presente decreto”.

È chiaro, pertanto, che per i procedimenti iscritti a partire dalla data di entrata in vigore del suddetto decreto non sono ammesse deroghe e una eventuale violazione del dictum normativo determina la configurazione di una ipotesi di nullità assoluta prevista dall’art. 179 c.p.p. in relazione all’art. 178, comma 1 lett. a) c.p.p..

Altro dato particolarmente rilevante, sottolineato dalla Prima Sezione, è dato dal fatto che l’introduzione di una disciplina organica della magistratura onoraria (cfr. D.lgs. n. 13 luglio 2017, n. 116 – Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace -, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della L. 28 aprile 2016, n. 57) specificamente riguardante la modifica delle modalità di assegnazione dei giudici onorari e di assegnazione di questi ultimi all’interno dei collegi penali e civili, non permette più di condividere i precedenti di legittimità (maggioritari) secondo i quali “l’integrazione di un collegio da parte di un giudice onorario in veste di supplente non viola l’art. 43-bis del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, che si riferisce all’esercizio delle funzioni del Tribunale in composizione monocratica, né è causa di nullità processuale, atteso che detta previsione introduce un mero criterio organizzativo di ripartizione dei procedimenti tra i giudici ordinari e quelli onorari” (cfr. Sez. 5, n. 47999 del 27/05/2016, Rv.268465 – 01) o secondo cui “la trattazione da parte di un giudice onorario di un procedimento penale diverso da quelli indicati dall’art. 43-bis, comma 3, lett. b) del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, ossia in relazione a reati non previsti nell’art. 550, comma 1, c.p.p., non è causa di nullità, in quanto la disposizione ordinamentale introduce un mero criterio organizzativo dell’assegnazione del lavoro tra i giudici ordinari e quelli onorari” (cfr. ex multis, Sez. 4, n. 9323 del 14/12/2005, Iannaco, Rv. 233911 – 01).

Di tal che, nel caso di specie, la presenza di un GOT all’interno del collegio del Tribunale di Catania, pronunciatosi (il collegio) in relazione a una serie di reati previsti dalla norma contenuta nell’art. 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale (ossia il delitto previsto dagli artt. 609-bis nelle ipotesi aggravate ex art. 609-ter cod. pen.), ha determinato la nullità della sentenza di primo grado (e quella derivata ex art. 185 c.p.p. della sentenza d’appello impugnata).

Nel caso in esame, non ha potuto trovare applicazione la disposizione transitoria di cui al suindicato art. 30, atteso che l’azione penale è stata esercitata in data 16-20.07.2020 con il deposito della richiesta di giudizio immediato (decreto di rinvio a giudizio è del 29.07.2020) e, quindi, successivamente all’entrata in vigore del predetto decreto legislativo (15.8.2017).

Infine, altro profilo particolarmente interessante, affrontato dalla Prima Sezione, è stato quello afferente la mancata declaratoria di cessazione della misura cautelare in atto da parte della Suprema Corte.

Difatti, la norma contenuta nell’art. 624 bis c.p.p. dispone che la cessazione della misura vada ordinata dalla Corte solo nei confronti delle misure cautelari emesse nel corso del giudizio di appello e nell’ipotesi, in cui sembrerebbe rientrare quella sub iudice, che l’annullamento della sentenza di appello venga disposto senza rinvio (cfr. Sez. 2, n. 13953 del 21/02/2020, Rv. 279146 – 02).

Orbene, nel caso di specie, la situazione processuale verificatisi non è prevista in nessuna delle ipotesi previste dal ridetto articolo del codice di rito.

Difatti, la sentenza di annullamento senza rinvio, assumendo diversi effetti, può assumere il carattere:

  • di decisione a puro effetto rescindente quando cassa il provvedimento e “cancella” il giudizio lasciando così impregiudicate le successive vicende della res in iudicium deducta;
  • di decisione rescindente con contestuale giudizio rescissorio quando la Suprema Corte annulla provvedimento giurisdizionale sostituendolo con una propria decisione.

Ebbene, in nessuno dei casi previsti dal codice di procedura penale rientra il caso in esame.

In tal senso, devesi rilevare che la giurisprudenza di legittimità, con orientamento costante e consolidato, ha stabilito che, la pronuncia di annullamento senza rinvio della Corte di cassazione con trasmissione degli atti al giudice competente per il merito rientra tra le cause che determinano la regressione del procedimento ed una nuova decorrenza dei termini di custodia cautelare ai sensi dell’art. 303, comma 2, cod. proc. pen. (cfr. Sez. 6, n. 47240 del 17/11/2021, Rv. 282451 – 01; Sez. 6, n. 39266 del 05/07/2013, Rv. 257088 – 01; Sez. 1, n. 4045 del 06/07/1998, 13/08/1998, Rv. 211273 – 01, ed altre conformi).

Sulla scorta di tali considerazioni è stato enucleato il principio di diritto secondo cui «All’annullamento da parte della Cassazione della sentenza di appello non consegue automaticamente la cessazione della misura cautelare in atto, dovendosi interpretare l’art. 624-bis cod. proc. pen. nel senso che detta cessazione va ordinata dalla Corte solo nei confronti delle misure cautelari emesse nel corso del giudizio di appello e nell’ipotesi che l’annullamento della sentenza di appello venga disposto senza rinvio, purché, in quest’ultimo caso, non comporti a norma dell’art. 185, comma 3, cod. proc. pen. la regressione del procedimento ed una nuova decorrenza dei termini di custodia cautelare ai sensi dell’art. 303, comma 2, cod. proc. pen.».

 

Cass. pen., sez. I, ud. 9 gennaio 2024 (dep. 4 marzo 2024), n. 9199

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