La Sesta Sezione penale, ha enucleato il principio secondo cui “qualora nel medesimo procedimento, iscritto prima del 31 agosto 2020, siano state autorizzate intercettazioni in epoca precedente e successiva rispetto a tale data, si applica esclusivamente la disciplina previgente rispetto alle modifiche apportate dal d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, posto che la disciplina transitoria dell’art. 2, comma 8, del suddetto decreto, deroga al principio tempus regit actum e individua la disciplina applicabile con riguardo all’iscrizione del procedimento penale e non alla data dei singoli decreti autorizzativi” e il principio secondo il quale “in tema di reati contro la pubblica amministrazione, sono utilizzabili le intercettazioni mediante captatore informatico eseguite nei luoghi di cui all’art. 614 cod. pen. tra il 31 gennaio 2019 e il 31 agosto 2020, anche se non vi era motivo di ritenere che vi si stesse svolgendo attività criminosa”.

Il tribunale del riesame di Palermo rigettava l’appello proposto ex art. 310 c.p.p. avverso l’ordinanza emessa dal competente giudice locale con cui era stata rigettata la richiesta di revoca della misura cautelare degli arresti domiciliari applicata all’indagato in relazione al reato, cui la misura era correlata, previsto dalla norma contenuta nell’art. 318 c.p..

Il ricorrente, impugnata l’ordinanza reiettiva emessa dal tribunale del riesame, deduceva:

  • la inutilizzabilità delle intercettazioni eseguite mediante captatore informatico (le quali, nel caso di specie, costituivano l’unica fonte dalla quale desumere la gravità indiziaria), installato sul cellulare in uso ad uno dei coindagati, rilevando come il relativo decreto autorizzativo veniva emesso in data 17 settembre 2020 e faceva, pertanto, leva sulla disciplina normativa prevista dall’art. 13 del d.l. n. 152 del 1991 (trattavasi, difatti, nella fattispecie, di un’indagine focalizzata su reati contro la P.A. con pena non inferiore nel massimo a cinque anni di reclusione). Di tal che, la dedotta inutilizzabilità avrebbe riguardato intercettazioni ottenute mediante captatore e disposte senza il rispetto dei limiti normativamente previsti per i luoghi di privata dimora essendo stata applicata in malam partem la relativa disciplina prevista per i soli reati di criminalità organizzata;
  • la illegittimità costituzionale degli artt. 266, commi 2 e 2-bis, c.p.p. e dell’art. 13 del d.l. n. 152 del 1991, alla luce della interpretazione offerta dalle Sezioni Unite “Scurato”, stante la avvenuta violazione degli artt. 2, 3, 14 e 15 Cost. atteso che l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità ha gettato le basi per il rilascio da parte del giudice competente di “forme di autorizzazione “in bianco”” in relazione alle quali la captazione sarebbe sempre consentita anche in assenza di un luogo specificamente indicato nonostante la norma contenuta nell’art. 266, comma 2, c.p.p. richieda espressamente che, per le intercettazioni ambientali in luoghi di privata dimora, sia necessario che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa;
  • violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta persistenza delle esigenze cautelari.

La Sesta Sezione rigettava il ricorso sulla base delle argomentazioni giuridiche, di seguito, indicate

Dopo un preliminare excursus normativo afferente la subiecta materia, la Corte ha rilevato come, nel caso di specie, fosse necessario sgomberare qualsiasi dubbio in ordine alla disciplina concretamente applicabile ovvero se avesse dovuto trovare applicazione la disciplina prevista dall’art. 6 del d.lgs. n. 216 del 2017 o quella prevista dall’art. 266, comma 2-bis, c.p.p. (quest’ultima è la disciplina reputata “da applicare” dalla difesa poiché il decreto autorizzativo delle operazioni di intercettazione, facendo espresso riferimento ad un reato di corruzione commesso dopo la data del 31 agosto 2020, avrebbe determinato la applicazione della previsione normativa prevista dalla norma contenuta nell’art. 266, comma 2-bis c.p.p.).

Orbene, il Supremo Collegio, partendo dalla disciplina transitoria (dettata dal d.lgs. n. 161 del 2019), ha specificato come la norma contenuta nell’art. 266, comma 2-bis, c.p.p. si applica “ai procedimenti iscritti successivamente al 31 agosto 2020” posto che “il regime transitorio”, previsto dall’art. 9 d.lgs. n. 216 del 2017, faceva riferimento alle “operazioni di intercettazione relative a provvedimenti adottati successivamente all’entrata in vigore della riforma”.

L’obiettivo del legislatore è stato quello di evitare che, nel medesimo procedimento, si potesse incorrere nel rischio di applicare due diverse discipline normative a seconda del momento di emissione del decreto autorizzativo delle operazioni di intercettazione.

Difatti, la soluzione migliore è stata quella di “ancorare la disciplina normativa applicabile all’epoca di iscrizione del procedimento, con la conseguenza che le intercettazioni autorizzate, anche in epoca successiva al 31 agosto 2020, sono regolate dalla disciplina previgente”.

Nel caso di specie, tra l’altro, la Sesta Sezione ha sottolineato come non sussistesse il problema della unitarietà o meno del procedimento atteso che i reati in questione (ipotesi di corruzione emerse progressivamente nel corso delle indagini) erano sicuramente connessi ex art. 12 c.p.p. dovendosi escludere, pertanto, la possibilità di trovarsi di fronte a “procedimenti diversi” (cfr. Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, Cavallo, Rv. 277395).

Di conseguenza, la Suprema Corte ha reputato necessario enucleare, nel presente caso, il principio secondo cui qualora nel medesimo procedimento, iscritto prima del 31 agosto 2020, siano state autorizzate intercettazioni in epoca precedente e successiva rispetto a tale data, si applica esclusivamente la disciplina previgente rispetto alle modifiche apportate dal d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, posto che la disciplina transitoria dell’art. 2, comma 8, del suddetto decreto, deroga al principio tempus regit actum e individua la disciplina applicabile con riguardo all’iscrizione del procedimento penale e non alla data dei singoli decreti autorizzativi”.

Di tal che, la disciplina da applicare, nel caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte, non è quella prevista a seguito della introduzione dell’art. 266, comma 2-bis, c.p.p. (n.d.r. in vigore per i procedimenti successivi al 31 agosto 2020), bensì quella precedentemente in vigore ossia quella prevista dall’art. 6, d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216 come modificata da parte della l. 9 gennaio 2019, n. 3.

In tale spazio temporale, difatti, le intercettazioni mediante captatore informatico (con riferimento ai reati contro alla P.A. come previsto dal ridetto art. 6) potevano essere disposte senza la necessità di specificare il motivo di natura investigativa né se nei luoghi di privata dimora si stesse svolgendo l’attività criminosa.

Pertanto, altro principio affermato dalla Suprema Corte è stato quello secondo cui in tema di reati contro la pubblica amministrazione, sono utilizzabili le intercettazioni mediante captatore informatico eseguite nei luoghi di cui all’art. 614 cod. pen. tra il 31 gennaio 2019 e il 31 agosto 2020, anche se non vi era motivo di ritenere che vi si stesse svolgendo attività criminosa.

Il principio, da ultimo esposto, ha trovato fondamento nel fatto che tra il 31 gennaio 2019 e il 31 agosto 2020 era in vigore:

  • la disciplina introdotta dall’art. 6 del d.lgs. n. 216 del 2017 (che ha parzialmente esteso ai procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, la disciplina delle intercettazioni prevista per i delitti di criminalità organizzata dall’art. 13 del d.l. n. 152 del 1991)”;
  • la disciplina prevista dalla norma contenuta nell’ 1, comma 3, della l. n. 3 del 2019 (la quale, abrogando il comma 2 dell’art. 6 del citato d.lgs. n. 216 del 2017, ha eliminato la restrizione dell’uso del captatore informatico nei luoghi indicati dall’art. 614 cod. pen.), atteso che la prima di tali norme, non rientrando tra quelle per le quali l’art. 9 del medesimo d.lgs. n. 216 del 2017 ha disposto il differimento dell’entrata in vigore, è efficace dal 26 gennaio 2018, mentre la seconda è efficace dal 31 gennaio 2019 (conf. Sez. U, civ., n. 741 del 15/1/2020, Rv. 656792)”.

Il secondo motivo di doglianza, invece, avente a oggetto la questione di legittimità costituzionale è stato reputato dalla Suprema Corte infondato e non proponibile per difetto di rilevanza.

Difatti, la ridetta questione avrebbe imposto in capo al ricorrente di dedurre specificamente da quale parte dell’ordinanza impugnata e dell’ordinanza genetica fosse emerso che le intercettazioni abbiano avuto quale “bersaglio” la captazione ambientale in luoghi di privata dimora.

E, ancora, la manifesta infondatezza della questione trovava ragione nel fatto che la scelta legislativa di consentire l’uso del captatore informatico in relazione ai più gravi delitti contro la pubblica amministrazione non si pone in contrasto con il diritto alla segretezza della corrispondenza e di qualsiasi forma di comunicazione previsto dall’art. 15 Cost., limitando la compressione di tale diritto a fronte di specifiche esigenze di repressione di ipotesi delittuose di rilevante offensività (come già rilevato da Sez. 6, n. 3664 del 25/10/2023, dep. 29/1/2024, D.C.).

Il ricorso veniva, pertanto, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

 

Cass. pen., Sez. VI, ud. 30 gennaio 2024 (dep. 1 marzo 2024), n. 9158

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