L’esimente della legittima difesa è configurabile solo qualora l’autore del fatto versi in una situazione di pericolo attuale per la propria incolumità fisica, tale da rendere necessitata e priva di alternative la sua reazione all’offesa mediante aggressione, sicché essa non è invocabile da chi si sia volontariamente esposto al pericolo, pur avendo la possibilità di sottrarsi ad esso.

Nel caso in esame il ricorrente era stato imputato della violazione degli artt. 575,52 e 59 cod. pen. e sottoposto alla misura cautelare carceraria. Secondo la ricostruzione fattuale a causa di una frase rivolta dalla moglie della vittima alla figlia dell’indagato si era scatenata un’aggressione ed alcuni membri delle due famiglie si erano ingiuriati dalle rispettive abitazioni e poi, nell’androne del palazzo;  l’indagato e la vittima si erano scontrati, ed il primo aveva colpito il secondo al ventre almeno quattro volte, con un coltello da pesca che teneva in mano. L’indagato stesso aveva ammesso il fatto, spiegando di avere preso il coltello perché temeva che  la vittima possedesse una pistola, dal momento che lo aveva più volte minacciato di usarla, e di averlo colpito perché, anche se non lo aveva visto impugnarla, temeva avesse con sé detta arma, e voleva anche proteggere la propria figlia. Non dava alcuna spiegazione sul perché  non fosse rientrato in casa, quando la vittima  lo aveva minacciato e aggredito insieme ad altri familiari, ma fosse rimasto ad attenderlo nell’androne;

L’indagato davanti al Tribunale del Riesame aveva proposto ricorso  avverso l’applicazione della misura cautelare ed  era stato rigettato. Avverso il rigetto era stato proposto ricorso alla Suprema Corte e per quel che interessa aveva sostenuto il difetto di motivazione in relazione al mancato riconoscimento da parte del Tribunale del Riesame della scriminante della legittima difesa putativa: sosteneva il ricorrente la sussistenza dell’attualità del pericolo, che per giurisprudenza costante può essere anche volontariamente causato, e il ricorrente non poteva evitarlo con la fuga, perché ciò avrebbe lasciato esposti al pericolo i suoi familiari, in particolare la figlia.

La Suprema Corte nel rigettare ha dato continuità ai principi  giurisprudenziali in base ai quali, “l’’attualità del pericolo richiesta per la configurabilità della scriminante della legittima difesa implica un effettivo, preciso contegno del soggetto antagonista, prodromico di una determinata offesa ingiusta, la quale si prospetti come concreta e imminente, così da rendere necessaria l’immediata reazione difensiva, sicché resta estranea all’area di applicazione della scriminante ogni ipotesi di difesa preventiva o anticipata”;  e ancora, “non è invocabile la scriminante della legittima difesa, reale o putativa, da parte di colui che abbia innescato o accettato un duello o una sfida, ovvero abbia attuato una spedizione punitiva nei confronti dei propri avversari, mancando, in tal caso, il requisito della convinzione – sia pure erronea – di dover agire per scopo difensivo”.

In adesione ai suddetti principi, ha ritenuto  non  scriminabile la condotta del ricorrente, che, dopo un litigio con il vicino di casa, lo aveva atteso nell’androne condominiale e temendo, a suo dire, che l’antagonista portasse con sé una pistola- circostanza rimasta indimostrata- lo aveva colpito a morte con quattro coltellate.

In altre parole, la Corte ha ritenuto  che la volontaria esposizione ad un pericolo cui è possibile sottrarsi esclude la configurabilità dell’esimente della legittima difesa. Per completezza si rileva che la Suprema Corte ha affermato che il ricorrente poteva ben rifugiarsi in strada unitamente alla figlia ove avesse ritenuto che anche la stessa era in pericolo, così precisando ancora che  ugualmente, non è invocabile la legittima difesa quando il soggetto si è volontariamente esposto al pericolo, pur avendo la possibilità di sottrarsi ad esso: “È configurabile l’esimente della legittima difesa solo qualora l’autore del fatto versi in una situazione di pericolo attuale per la propria incolumità fisica, tale da rendere necessitata e priva di alternative la sua reazione all’offesa mediante aggressione”.

 

Cassazione penale sez. I, 17/01/2024, n.9435.

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