Non integra il reato di cui all’ art. 76 d.lg.6 settembre 2011, n. 159, la violazione del divieto di possedere o utilizzare telefoni cellulari da parte del destinatario di un mero avviso orale del questore, emesso ai sensi dell’art. 3d.lg. citato, non rientrando tale condotta, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 2 del 2023, tra quelle sanzionabili, posto che il divieto può essere disposto solo con provvedimento dell’autorità giudiziaria.

La Suprema Corte con la sentenza in oggetto ha cassato senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Nell’ipotesi specifica la Corte di Appello aveva confermato la sentenza di primo grado che aveva condannato il ricorrente per la violazione di cui agli artt. 3, comma e 76, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.

Benché il ricorrente avesse impugnato la sentenza lamentando il mancato riconoscimento della causa di esclusione della punibilità di cui all’articolo 131 bis c.p.p. e per il diniego delle circostanze attenuanti generiche, la Corte sulla scorta della decisione della Corte Costituzionale del 20.12.2022 nr. 2, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 4, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, nella parte in cui include i telefoni cellulari tra gli apparati di comunicazione radiotrasmittente di cui il questore può vietare, in tutto o in parte, il possesso o l’utilizzo, ha ritenuto il fatto non previsto dalla legge come reato.

La declaratoria d’incostituzionalità era intervenuta sul primo periodo dell’art. 3, comma 4, d.lgs. 159 del 2011, laddove disponeva che «Con l’avviso orale il questore, quando ricorrono le condizioni di cui al comma 3, può imporre alle persone che risultino definitivamente condannate per delitti non colposi il divieto di possedere o utilizzare, in tutto o in parte, qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente, radar e visori notturni».

Il Giudice delle leggi, in sostanza, considerato l’articolo 15 della Costituzione e la relativa tutela di garanzia costituzionale della libertà e della segretezza della corrispondenza individuale,  da intendersi estesa anche alle forme più avanzate di  comunicazione, ha  chiarito che laddove la disciplina del mezzo finisce per penetrare all’interno del nucleo essenziale del diritto, determina inevitabili ricadute restrittive sulla libertà di comunicazione tutelata dalla Costituzione, sottolineando che queste ricadute appaiono evidenti soprattutto nella materia delle misure di prevenzione, che sono finalizzate a consentire forme di controllo, rilevanti per il futuro, sulla pericolosità sociale di un determinato soggetto, ma non sono deputate alla punizione per le sue condotte pregresse.

Ha ritenuto in definitiva che la qualificazione della libertà di comunicazione come inviolabile implica che il suo contenuto essenziale non può subire restrizioni, se non in ragione della necessità di soddisfare un interesse pubblico costituzionalmente rilevante, a condizione che l’intervento limitativo posto in essere sia strettamente necessario alla tutela di quell’interesse e sia rispettata la duplice garanzia che la disciplina prevista risponda ai requisiti propri della riserva assoluta di legge e la misura limitativa sia disposta con atto motivato dell’autorità giudiziaria.

Nella cornice ermeneutica aperta dalla decisione del Giudice delle Leggi,  la Suprema Corte ha dunque ritenuto che il Questore non può incidere con un atto amministrativo su una tale libertà, che, essendo espressione di un potere di natura discrezionale, non può ingerirsi in un ambito individuale tutelato da una riserva di legge assoluta, che impone l’adozione di un provvedimento adottato dall’autorità giudiziaria e pertanto  la violazione del divieto di possedere o utilizzare telefoni cellulari imposto dal questore, quale prescrizione dell’avviso orale, non costituisce una condotta illecita sanzionabile ai sensi dell’art. 76 d.lgs. n. 159 del 2011

 

(Cassazione penale , sez. I , 05/10/2023 , n. 9653).

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