La Quinta Sezione penale, in tema di reati fallimentari, ha affermato che il disposto dell’art. 342 d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, disciplinante il delitto di falso in attestazioni e relazioni, non ha determinato un effetto parzialmente abrogativo del delitto previsto dall’art. 236-bis legge fall., in quanto il legislatore delegato si è limitato a riformulare la norma incriminatrice con il solo inserimento dell’inciso «in ordine alla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti ad esso allegati», riferito all’esposizione, da parte del professionista, di informazioni false od all’omessa indicazione di informazioni rilevanti, il che rende evidente la non applicabilità della nuova norma alla valutazione prognostica del professionista, intesa come fattibilità economica del piano, peraltro non riconducibile alla fattispecie criminosa neanche sotto la vigenza del citato art. 236-bis legge fall.

Il G.U.P. presso il tribunale di Alessandria dichiarava la penale responsabilità dell’imputato in relazione al reato previsto dall’art. 236 bis Legge fall. perché, nella qualità di professionista attestatore, avrebbe esposto false informazioni o avrebbe, comunque, omesso di riferire alcune rilevanti informazioni nella relazione utilizzata al fine di essere ammesso al concordato preventivo.

Nel caso di specie, l’imputato (nel corpo della relazione di attestazione) dava unicamente atto, nello schema riepilogativo dell’atto concordatario, dell’esistenza di un apporto di terzi di presunto realizzo di euro 200.000,00 senza, però, procedere alla indicazione di nessun commento di sorta (elemento quest’ultimo rilevato particolarmente importante dal giudice di primo grado per dichiarare la penale responsabilità dell’imputato).

La Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza emessa dal G.U.P., dichiarava l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione e confermava le statuizioni civili.

Ciò posto, l’imputato, per il tramite del difensore, impugnata la sentenza da ultimo indicata, ricorreva per cassazione lamentando la violazione della norma contenuta nell’art. 606 comma I, lett. b), c) ed e) c.p.p. con riferimento agli artt. 342 del d.lgs. n. 14 del 2015 (Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza) e 2 c.p..

Difatti, secondo il ricorrente, il reato di falsità in relazioni o attestazioni, commesso dal professionista, in passato delineato dalla norma contenuta nell’art. 236-bis Legge fall., è stato oggetto di recenti modifiche da parte del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza.

Pertanto, la nuova norma (inserita nel predetto codice) si porrebbe in rapporto di specialità rispetto alla precedente.

Di tal che, l’aggiunta, da parte del legislatore, dell’inciso relativo «alla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti allegati» avrebbe limitato l’area di rilevanza penale alle sole attestazioni rilevanti e avrebbe avuto «anche a oggetto la correttezza, nel senso di esposizione veridica dei dati riportati nel piano e dei documenti ad esso allegati»,

L’intervenuta successione delle leggi nel tempo con effetto parzialmente abrogativo avrebbe dovuto, dunque, condurre il giudice di secondo grado a valutare se il fatto fosse ancora previsto dalla legge come reato e, solo in seguito, procedere alla declaratoria di prescrizione del medesimo.

La Quinta Sezione ha rigettato il ricorso sulla base delle argomentazioni giuridiche, di seguito, indicate.

Dopo un’attenta disamina contenutistica delle norme rispettivamente contenute negli artt. 236-bis Legge fall. e 342 del d. lgs. n. 14 del 2015, al fine di valutare l’eventuale sussistenza di un caso di successione di leggi nel tempo con effetti parzialmente abrogativi, il Supremo Collegio ha rilevato come il termine “informazioni” (presente nell’art. 236 bis Legge fall.) sia stato oggetto di particolare analisi sia da parte della giurisprudenza di merito sia della dottrina.

Di tal che, l’informazione assume il crisma della falsità o risulta essere stata omessa quando si riferisce ad ambedue gli oggetti dell’attività del professionista ossia la veridicità e la fattibilità.

Pertanto, secondo autorevole dottrina, obbligo del professionista attestatore era quello di attestare la veridicità dei dati aziendali presentati dal debitore e valutare la “fattibilità economica” del piano presentato dal debitore.

L’informazione poteva reputarsi falsa od omessa solo attraverso lo studio del profilo metodologico della struttura della valutazione di fattibilità e non, invece, della prognosi come tale.

Di conseguenza, la falsità era da escludersi in caso di “emissione” di giudizi prognostici di fattibilità.

Ciò posto, l’attenzione si è spostata sulla c.d. base informativa, sui criteri e i metodi impiegati per giungere all’enunciato a contenuto predittivo.

Sulla scorta di quanto superiormente esposto, la valutazione in termini di verità/falsità, secondo canoni epistemologici ormai consolidati, si fonda sull’utilizzo di “giudizi del genere anche con riferimento a enunciati valutativi”.

Il diverso punto di vista della valutazione metodologica, rigidamente orientato al controllo della correttezza e della compiutezza della base informativa e dei metodi e dei criteri valutativi impiegati deve essere effettuato tramite una fedele applicazione dei principi della tecnica professionale comunemente riconosciuti e accettati secondo le regole dell’arte.

Tale metodo appare compatibile con un giudizio di verità/falsità della prognosi.

Ciò posto, devesi evidenziare che, secondo le Sezioni Unite “Passarelli” (cfr. Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266803), è possibile fondare “la configurabilità di un giudizio di verità/falsità rispetto a enunciati valutativi, limitata al rispetto di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati”.

Se così è, la norma contenuta nell’art. 236-bis Legge fall. focalizzava la propria attenzione sulla rilevanza penale anche dell’attività posta in essere dal professionista attestatore, con riferimento alla “fattibilità economica” del piano, limitandola, però, alla correttezza e alla compiutezza della base informativa nonché alla correttezza dei metodi e dei criteri valutativi impiegati.

Una interpretazione restrittiva della ridetta norma ha indotto, pertanto, la Quinta Sezione a escludere che “il “nuovo” art. 342 del d. lgs. n. 14 del 2015 abbia determinato un effetto parzialmente abrogativo della vecchia fattispecie”.

Difatti, il termine “dati”, inserito nella norma contenuta nel “nuovo” art. 342 non presenta significato univoco posto che anche i dati aziendali sono da intendersi quali risultato di attività intellettuali consistenti nella indicazione “di grandezze economiche chiamate a esprimere il valore di negozi giuridici, rapporti contrattuali, beni immateriali, situazioni giuridiche: grandezze nelle quali la componente valutativa è sicuramente presente”.

Di tal che, la nuova norma non ha determinato effetti abrogativi parziali e “non ha reso penalmente irrilevanti le attività del professionista relative alla correttezza e alla compiutezza della base informativa nonché alla correttezza dei metodi e dei criteri valutativi impiegati per effettuare la valutazione prognostica circa la “fattibilita economica” del piano” ”.

Sulla scorta delle superiori considerazioni, la Corte ha rigettato il ricorso condannando il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

 

Cass. Pen., Sez. V, Sent. n. 3016/2024, dep. 28 marzo 2024, ud. 23 febbraio 2024

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