La Seconda Sezione penale ha affermato che il giudice di primo grado in sede di condanna dell’imputato ovvero il giudice di appello chiamato a pronunciarsi ex art. 95 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, è tenuto a valutare i criteri direttivi di cui all’art. 133 cod. pen., sia i fini della determinazione della pena da infliggere, sia, in esito a tale operazione, ai fini dell’individuazione della pena sostitutiva ex art. 58 legge 24 novembre 1981, n. 689, dovendo esservi continuità e non contraddittorietà tra i due giudizi, così da favorire tanto più l’applicazione di una delle sanzioni previste dall’art. 20-bis cod. pen. quanto minore risulti, rispetto ai limiti edittali, la pena in concreto inflitta.

La Suprema Corte, con la pronuncia allegata, ha parzialmente accolto il ricorso presentato nell’interesse di un imputato dichiarato, dalla Corte di appello di Torino, penalmente responsabile del delitto di ricettazione e condannato alla di mesi 3 di reclusione ed euro 300,00 di multa.

La Seconda Sezione ha rilevato come fosse fondato il motivo di doglianza afferente la dedotta violazione di legge penale e il rilevato difetto di motivazione dell’impugnata sentenza in relazione all’omessa pronuncia giudiziale in ordine alla sostituzione della pena detentiva con altra misura extra-carceraria.

In tal senso, il Supremo Collegio, dopo aver dato preliminarmente atto dell’entrata in vigore della norma contenuta nell’art. 20 bis c.p., rubricata “Pene sostitutive delle pene”, ha rilevato come dalla disamina contenutistica della Relazione Illustrativa che ha “accompagnato” la c.d. Riforma Cartabia (che ha introdotto l’art. 20 bis c.p.) è possibile evincere che “La legge delega attribuisce al giudice di merito il potere di sostituire la pena detentiva anticipando alla fase della cognizione, a titolo di vera e propria pena (anche se sostitutiva), alcune forme di esecuzione extra-carceraria che nell’ordinamento penitenziario vigente sono definite come “misure alternative alla detenzione” ”.

Di tal che, il giudice di merito, in caso di emissione di una sentenza di condanna a una pena detentiva breve, deve adempiere a un ulteriore compito rispetto ai classici schemi afferenti la dosimetria della pena.

Tale onere si fonda in una attenta valutazione, da parte del giudice procedente, in ordine alla sussistenza, nel caso sottoposto alla giudiziale attenzione, di “modelli sostitutivi della pena detentiva, che contribuiscano in modo più adeguato alla rieducazione del condannato, purché assicurino, anche attraverso opportune prescrizioni, la prevenzione del pericolo che il condannato commetta altri reati”.

Il giudice dovrà, pertanto, ottenere una serie di informazioni (tramite il coinvolgimento degli uffici di esecuzione penale esterna) al fine di valutare, in caso di emissione di una sentenza di condanna inferiore agli anni 4, se sia possibile applicare una pena sostitutiva alla pena carceraria che sia in grado di “assicurare la funzione rieducativa pur prevenendo il pericolo di commissione di ulteriori reati”.

L’obiettivo di fondo è stato quello di dare concreta applicazione a quel finalismo rieducativo richiamato dalla norma contenuta nell’art. 27, comma 3, Cost.

Difatti, non sempre la privazione totale della libertà personale del condannato consente il raggiungimento degli auspicati effetti risultando, in taluni casi, addirittura “sproporzionato rispetto alla gravita del reato”.

Il dibattito dottrinale, avente a oggetto la questione della anticipazione – durante la fase di cognizione (o merito) – di valutazioni tipicamente riconducibili alla fase esecutiva (e generalmente assegnate al tribunale di sorveglianza), si fonda sull’importanza del sistema delle pene sostitutive brevi introdotte dalla c.d. Riforma Cartabia volte ad assicurare una concreta rieducazione del condannato.

In tal senso, devesi rilevare che le modifiche apportate alla legge 681/1989 dal d. lgs. 150/2022 hanno condotto a una rivisitazione del dovere del giudice di merito, in caso di irrogazione di una pena detentiva entro il limite dei 4 anni,

In particolare, egli è chiamato a valutare se la pena può essere sostituita con quella della semilibertà o della detenzione domiciliare.

In caso di pena fino ai 3 anni, il decidente dovrà valutare se sussistono le condizioni per la “sostituzione” della medesima anche con il lavoro di pubblica utilità.

Infine è l’art. 59 della legge 681/1989, così come modificata dal d. lgs. 150/2022, a fungere da fondamentale limite al fine di permettere al giudice della cognizione di comprendere in quali casi non può procedere alla predetta sostituzione.

Difatti, l’operazione dianzi indicata non sarà possibile nei confronti di un condannato che “ha commesso il reato per cui si procede entro tre anni dalla revoca della sanzione sostitutiva o durante l’esecuzione della stessa”, che “deve essere sottoposto a misura di sicurezza personale” o che abbia commesso, nel caso sottoposto alla giudiziale “sostituzione”, “uno dei reati di cui all’art. 4 bis ordinamento penitenziario”.

Nel caso di specie, secondo il ricorrente, la sussistenza di precedenti condanne risultanti dalla disamina contenutistica del casellario giudiziale, non può costituire di per sé condizione ostativa alla concessione della richiesta sostituzione.

Difatti, il legislatore ha espressamente indicato i casi in cui non è possibile procedere all’ applicazione di pene sostitutive (cfr. art. 59).

La presenza di precedenti non rientra tra tali casi.

Difatti, secondo il legislatore, la sussistenza di precedenti condanne risultanti dal casellario giudiziale dell’imputato non possono incidere ai fini della concessione di una pena sostitutiva.

Di tal che, “deve essere escluso che il giudice di merito possa respingere la richiesta di applicazione delle pene sostitutive in ragione della sola presenza di precedenti condanne, ricavando da solo questo elemento un giudizio negativo tale da negare il beneficio e ciò perché, il rinvio all’art. 133 cod .pen. contenuto nell’art. 58 L. 689/81 come riformulato, va letto in stretta connessione con successivo art. 59 cit. che pure ha previsto quali condizioni ostative circostanze tutte relative al reato per cui si procede e non riferibili ai precedenti”.

Pertanto, quello che viene richiesto dal giudice del merito, nel caso in cui non intendesse applicare la ridetta “sostituzione”, è un attento giudizio prognostico, tramite specifica motivazione, circa la sussistenza di una pericolosità qualificata e un concreto pericolo di violazione delle condizioni che verrebbero imposte al condannato.

Tale valutazione non può, però, fondarsi unicamente dalla lettura dei precedenti dell’imputato.

Di tal che, come nel caso di specie, ricade anche sul giudice dell’appello, ritualmente investito della questione afferente la applicabilità di pene sostitutive a quella inflitta in primo grado, l’obbligo di tenere in considerazione i criteri direttivi previsti dalla norma contenuta nell’art. 133 c.p. e quelli richiamati dalla norma contenuta nell’art. 58 della L. 689/81.

Sulla scorta delle superiori considerazioni, la Suprema Corte ha enucleato il principio di diritto secondo cui “il giudice di primo grado in sede di condanna dell’imputato ovvero il giudice di appello chiamato a pronunciarsi ex art. 95 D. Lgs 150/2022 è tenuto a valutare i criteri direttivi di cui all’art. 133 cod. pen. sia ai fini della determinazione della pena da infliggere sia, subito dopo, ai fini della individuazione della pena sostitutiva (ex art. 58 D. Lgs 150/2022) con l’ovvia conseguenza che tra i due giudizi deve esservi continuità e non insanabile contraddittorietà, favorendosi l’applicazione di una delle sanzioni previste dall’art. 20 cod. pen. tanto minore rispetto ai limiti edittali risulti la pena in concreto inflitta”.

 

Cass. Pen., Sez. II., Sent. n. 8794/2024, dep. 28 febbraio 2024, ud. 14 febbraio 2024

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