La Sesta Sezione penale, in tema di abuso di ufficio, ha affermato che, ai fini della configurabilità del reato, ha efficacia retroattiva il disposto innalzamento, ex art. 50, comma 1, lett. b), d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, del limite-soglia al di sopra del quale la stipula di un contratto di appalto di servizi deve essere preceduta dall’avvio della procedura ad evidenza pubblica, dovendosi riconoscere all’indicata disposizione natura di norma extrapenale integratrice di quella penale, sicché, per effetto di detta successione mediata di leggi, viene meno la pregressa rilevanza penale di appalti di servizi di valore eccedente il previgente limite-soglia di euro 40.000,00, ma inferiore a quello successivamente introdotto, pari ad euro 140.000,00.

La Corte d’appello di Bari confermava la condanna dell’imputato poiché ritenuto responsabile del reato di abuso d’ufficio avendo, nella qualità di amministratore unico pro tempore di “(…) s.r.l.”, stipulato – in data 31 marzo 2017 – un contratto di consulenza legale il cui valore complessivo superava il limite di € 40.000 (ossia il limite normativamente previsto per i contratti c.d. sotto-soglia) senza far precedere la stipula dalla procedura ad evidenza pubblica.

Ciò posto, seguendo la ricostruzione fattuale operata sia dal giudice di primo che di secondo grado, l’imputato era, all’epoca dei fatti, amministratore unico pro tempore di una società in house (avente quale socio unico l’ASL di Bari) operante nel settore dell’ausiliariato, pulizia e manutenzione dei presidi sanitari baresi con contratto stipulato in data 31.03.2017 tra la ridetta società e un legale al quale veniva conferito mandato per le liti e per il compimento di molti altri servizi (tra i quali recupero crediti in via stragiudiziale; rilascio di pareri orali e/o scritti; redazione di modulistica aziendale; stesura di schemi di contratti tipo; evasione della corrispondenza, anche telefonica; sessioni informative sia in studio che in azienda; risoluzione di problematiche relative al rapporto con OO.SS. e dipendenti; consulenza stragiudiziale nelle procedure disciplinari; assistenza in arbitrati; riunioni sindacali; riunioni con il socio unico ASL Bari; consulenza per la progettualità per l’incremento di servizi; raccordo con gli altri avvocati a cui la società aveva affidato mandati ad litem).

La evidente ampiezza dei contenuti permetteva di qualificare il ridetto contratto come appalto di servizi e non di singoli mandati ad litem conferiti intuitu personae (come sostenuto dal ricorrente).

Di tal che, ampiamente superato il limite pari a € 40.000, la stipula del contratto non era stata fatta precedere dalla procedura ad evidenza pubblica in violazione della norma contenuta nell’art. 36 del c.d. codice dei lavori pubblici.

Secondo i giudici di merito non poteva palesarsi nessun dubbio anche in relazione alla configurazione del delitto previsto dall’art. 323 c.p. “secondo cui le regole di condotta devono essere specifiche ed espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge, non dovendo da esse residuare margini di discrezionalità”.

E, ancora, non vi era nessun dubbio in ordine alla qualifica soggettiva pubblicistica dell’imputato.

Infine, ai fini della ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato de qua, devesi rilevare che i giudici di merito avevano correttamente evidenziato come l’imputato avesse le adeguate competenze professionali per comprendere che la stipula del ridetto contratto avrebbe necessariamente richiesto

l’espletamento di una gara.

A conferma della sussistenza del dolo vi era il “carattere macroscopico” di alcune condotte poste in essere dall’imputato al fine di aggirare diverse problematiche createsi nel corso del tempo.

Ciò posto, l’imputato, per il tramite del difensore, presentava ricorso per cassazione impugnando la ridetta sentenza.

La Suprema Corte reputava il ricorso fondato per motivi diversi rispetto a quanto dedotto dall’impugnante.

Difatti, la quaestio iuris, che secondo la Sesta sezione “entra in gioco”, riguarda unicamente la configurabilità del fatto come abuso d’ufficio, sotto il profilo della condotta e, in particolare, della violazione di legge, a seguito della recente modifica della normativa sugli appalti c.d. sotto-soglia.

Preliminarmente, il Supremo Collegio ha ribadito la sicura qualificazione del contratto stipulato dal ricorrente quale appalto di servizi.

In tal senso, devesi evidenziare che già il d.l. 16.07.2020, n. 76 – convertito in L. 11.09.2020, n. 120 (c.d. “decreto Semplificazioni”) – aveva consentito l’affidamento diretto per i servizi e le forniture entro l’importo di € 139.000.

Tale misura era da considerarsi di natura squisitamente emergenziale e temporanea volta a gestire il fenomeno pandemico e le sue ripercussioni negative del medesimo sull’economia italiana.

Ciò posto, però, l’attuale art. 50 del “nuovo” codice degli appalti ha previsto l’innalzamento della soglia “a regime” portandola, per i servizi, a € 140.000 “(lasciando ferma la facoltà per l’amministrazione di ricorrere alle procedure aperte o ristrette allo scopo di testare il mercato e/o attivare la concorrenza)”.

Nel caso di specie, il valore complessivo dell’appalto di servizi era pari a € 112.176,00 e, pertanto, sotto soglia.

Di conseguenza, il problema è quello di capire se la modifica della legge extra-penale possa avere effetti retroattivi e, conseguentemente, far venire meno la rilevanza penale del fatto sulla base della “successione mediata di leggi penali”.

La risposta a tale quesito, secondo la Sesta sezione, deve essere positiva.

Difatti, già Sez. U, n. 2451 del 27/09/2007, Magera hanno precisato che “l’indagine sugli effetti penali della successione di leggi extrapenali va condotta facendo riferimento alla fattispecie astratta e non al fatto concreto, sicché non basta riconoscere che oggi il fatto commesso dall’imputato non costituirebbe più reato, ma occorre prendere in esame la fattispecie e stabilire se la norma extrapenale modificata svolga in collegamento con la disposizione incriminatrice un ruolo tale da far ritenere che, pur essendo questa rimasta letteralmente immutata, la fattispecie risultante dal collegamento tra la norma penale e quella extrapenale sia cambiata e in parte non sia più prevista come reato, con l’effetto di ricondurre il fenomeno della “successione mediata” ad una abolitio criminis parziale”.

Pertanto, è compito del giudice quello di verificare se il dato normativo, oggetto del mutamento legislativo, possa rivestire o meno “un ruolo tale per cui il suo venir meno si riflette sulla stessa offensività del reato, negandola”.

Pertanto, il fenomeno di successione mediata si verificherà:

  1. quando sia stato “depenalizzato o decriminalizzato il reato-fine di una fattispecie associativa”;
  2. quando “una riforma legislativa produca riflessi su una norma definitoria che compare nella fattispecie penale mutandone radicalmente il contenuto”;
  3. quando “ci si trovi al cospetto di una “norma penale in bianco”, e cioé di una disposizione che si limita a comminare la sanzione e rinvii, quanto all’individuazione del precetto, ad altra fonte normativa, appunto, interessata dalla novazione legislativa”.

Il caso in esame rientra nell’ipotesi prevista sub c).

Pertanto, vista la natura di norma prevalentemente in bianco dell’art. 323 c.p., la condotta penalmente rilevante potrà essere individuata solo attraverso la identificazione delle leggi riguardanti il settore della P.A. (la legge extra-penale riempie il precetto penale).

Di conseguenza, alla luce delle modifiche intervenute in materia di contratti pubblici (come precedentemente esposto), il fatto commesso dal ricorrente non costituisce più reato (art. 2 c.p.).

Sulla scorta delle superiori considerazioni, la Suprema Corte annullato l’impugnata sentenza senza rinvio perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato

 

Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 16659, dep. 19 aprile 2024, ud. 07 marzo 2024

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