La terza sezione, con la pronuncia allegata, ribadisce che il travisamento della prova per invenzione “sussiste allorquando il giudice del merito, nell’esaminare gli elementi istruttori acquisiti agli atti, ne individui come decisivi taluni che, invece, non risultino presenti ”.

E, ancora, la Suprema Corte, ritornando sul tema della valutazione frazionata delle dichiarazioni rese dal testimone, afferma che tale operazione “è legittimamente esercitata in quanto fra le varie parti del narrato ritenute attendibili non sussista una interferenza fattuale e logica – ossia un rapporto di causalità necessaria o di imprescindibile antecedenza logica – con quelle giudicate inattendibili, tale da minare la credibilità complessiva e la plausibilità dell’intero racconto”

La Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza emessa dal G.U.P. presso il Tribunale di Lucca – con cui detto organo giudicante, in esito al prescelto giudizio abbreviato, aveva condannato l’imputato alla pena di anni 3 e mesi 8 di reclusione per i reati previsti dalle norme contenute negli artt. 81, 582, 585, comma 1, in relazione all’art. 576, comma 1, n. 5, e comma 2, n. 2 c.p. (capo 1 dell’imputazione imputazione) e 81, 605, 610, 609-bis, 609-septies, commi 1 e 4, n. 4, e 612, comma 2, c.p. (capo 2 dell’imputazione) – assolveva il medesimo dal reato di violenza sessuale con la formula “perché il fatto non sussiste”, rideterminava la pena in anni 1 e mesi 4 di reclusione e concedeva il beneficio della sospensione condizionale della pena.

Ciò posto, l’imputato, la parte civile costituita e la Procura generale presso la Corte di appello di Firenze presentavano ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dal giudice di secondo grado.

La terza sezione, investita dei ricorsi, accoglieva il contenuto dei medesimi e disponeva, sulla base delle argomentazioni di seguito indicate, l’annullamento dell’impugnata sentenza in relazione:

  • alla conferma – operata dalla Corte di appello di Firenze – del giudizio di penale responsabilità, già reso dal giudice di primo, con specifico riferimento ai reati di lesioni personali, violenza privata, minaccia aggravata e sequestro di persona (avvinti tra loro dal vincolo della continuazione);
  • alla riforma – operata dalla Corte di appello di Firenze – della sentenza emessa dal G.U.P. presso il Tribunale di Lucca a seguito della quale (riforma) l’imputato era stato assolto dal reato di violenza sessuale per insussistenza del fatto.

Secondo la Suprema Corte, il giudice di secondo grado avrebbe proceduto a una ricostruzione dei fatti del tutto autonoma e disancorata rispetto a quella fornita tanto dalla persona offesa quanto dall’imputato sulla base di “una intuizionistica visione degli avvenimenti non supportata da alcun dato probatorio”.

I fatti oggetto del presente procedimento traggono origine da un’amicizia sorta tra l’imputato e la persona offesa i quali avevano iniziato a frequentarsi, anche personalmente, sino al giorno in cui si sarebbero verificate le condotte criminose contestate all’imputato e, nello specifico, la commissione dei reati di lesioni personali, minaccia aggravata, sequestro di persona e violenza sessuale.

Secondo il dire dell’imputato, quest’ultimo non avrebbe privato la donna – dopo la consumazione del rapporto sessuale – del proprio telefono cellulare, non la avrebbe minacciata di morte e non la avrebbe, conseguentemente, privata della propria libertà personale (chiudendo la porta di casa a più mandate).

Invece, secondo il propalato della persona offesa, non vi sarebbe stata la consumazione di un vero e proprio rapporto sessuale e il medesimo non sarebbe stato, comunque, consensuale.

La Corte di appello di Firenze ha fondato il proprio convincimento su una ricostruzione fattuale del tutto diversa.

Difatti, il giudice di secondo grado ha rilevato come, durante la consumazione di un rapporto sessuale consensuale, i due avrebbero avuto una lite (per motivi poco chiari) con uso della violenza fisica da parte dell’imputato.

E, ancora, il giudice dell’appello ha evidenziato come tale ricostruzione sarebbe l’unica plausibile per giustificare il fatto che la donna, recatasi immediatamente al pronto soccorso, non avrebbe specificato di aver subito alcuna violenza sessuale avendo “percepito la prima parte della serata (…quella cioè nella quale si era verificato il consensuale congresso carnale fra i due…ndr) in tali termini (…parrebbe intendersi in termini di ritenuta violenza fisica…ndr)” e avendo solo “successivamente, ripensando e rimeditando su quanto occorsole e rifiutando in blocco l’esperienza vissuta”.

Pertanto, la Corte di appello di Firenze giungeva alla conferma della penale responsabilità dell’imputato, ad esclusione del reato di violenza sessuale, rilevando come le lesioni subite dalla persona offesa sarebbero state causate dall’imputato prima del rapporto sessuale essendo “maggiormente plausibile” che il rapporto sia avvenuto in un momento antecedente alla causazione delle lesioni refertate pur in assenza di una “tranquillante certezza” sul punto.

Difatti, la collocazione dell’inflizione delle ridette lesioni in una fase coeva alla consumazione del rapporto dianzi indicato avrebbe permesso all’imputato di “ammantare le stesse come consensualmente volute dalla partner e conseguentemente qualificare come totalmente consenziente (recte: consensuale) il rapporto sessuale”.

Ciò posto, la terza sezione ha evidenziato come la ricostruzione operata dal giudice di secondo grado non troverebbe riscontro istruttorio negli atti processuali e si porrebbe in totale antitesi rispetto al narrato della persona offesa (la quale aveva sostenuto di essere stata malmenata, chiusa in casa, privata del telefono e di aver subito le conseguenze della condotta sessualmente violenta posta in essere dall’imputato).

Difatti, secondo il Supremo Collegio, risulta inspiegabile il fatto secondo cui la Corte di appello di Firenze abbia deciso di sposare una “terza via narrativa” in termini opposti rispetto a quanto narrato dai protagonisti della vicenda.

In casi consimili, ad avviso della terza sezione è evidentemente sussistente il travisamento della prova per invenzione “il quale sussiste allorquando il giudice del merito, nell’esaminare gli elementi istruttori acquisiti agli atti, ne individui come decisivi taluni che, invece, non risultino presenti (sulla nozione di travisamento della prova, ora per soppressione ora per invenzione, si vedano per tutte: Corte di cassazione, Sezione II penale, 25 giugno 2019, n. 27929; Corte di cassazione, Sezione II penale, 26 novembre 2013, n. 47035, secondo le quali esso si manifesta, rispettivamente, allorché si introduce nella motivazione della sentenza una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova pur sussistente e decisiva ai fini della pronuncia)”.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ribadisce come non sia possibile procedere a una valutazione frazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa posto che la valutazione c.d. frazionata delle dichiarazioni rese da un testimone nel corso del giudizio “è legittimamente esercitata in quanto fra le varie parti del narrato ritenute attendibili non sussista una interferenza fattuale e logica – ossia un rapporto di causalità necessaria o di imprescindibile antecedenza logica – con quelle giudicate inattendibili, tale da minare la credibilità complessiva e la plausibilità dell’intero racconto (per tutte: Corte di cassazione, Sezione V penale, 11 settembre 2020, n. 25940)”.

L’intera ricostruzione ipotetica fornita dal giudice di secondo grado nel corpo della impugnata sentenza, oltre a determinare la configurazione del travisamento della prova per invenzione in relazione al reato di violenza sessuale, riflette i propri “deleteri” effetti anche con riguardo alla parte del provvedimento giurisdizionale che ha condotto alla declaratoria di penale responsabilità in relazione al reato di sequestro di persona.

Difatti, la Corte di appello di Firenze ha considerato l’imputato responsabile del reato previsto dalla norma contenuta nell’art. 605 c.p. per avere serrato la porta di accesso della sua abitazione per paura di essere denunciato dalla donna.

Però, secondo il Supremo Collegio, la tesi ricostruttiva del giudice dell’appello aveva come presupposto logico la rilevanza penale delle lesioni riportate dalla persona offesa.

Di tal che, la apodittica ricostruzione degli avvenimenti precedenti al contestato sequestro di persona si riflette, inequivocabilmente, non solo su tale segmento motivazionale evidentemente viziato (afferente il reato di sequestro di persona), ma anche sulla porzione argomentativa afferente la dichiarazione di penale responsabilità dell’imputato con riguardo al reato di minacce aggravate.

Di conseguenza, il deleterio “effetto cascata” derivante dalla censurata ricostruzione “alternativa” effettuata dalla Corte di appello di Firenze ha indotto la Suprema Corte ad accogliere il ricorso della pubblica accusa, della parte civile e della difesa dell’imputato disponendo l’annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte fiorentina per un nuovo giudizio in ordine all’intera vicenda.

 

Cass. pen., sez. III, ud. 16 gennaio 2024 (dep. 13 maggio 2024), n. 18609

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