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Recentemente il palazzo di giustizia di Brescia ha ospitato una mostra dedicata al tema della violenza contro le donne, sette installazioni che raccontavano le botte, le grida, i sensi di colpa, le bugie e simboleggiavano tutte le donne, vittime di violenza.

A cura di Michele Bontempi – penalista del Foro di Brescia

Nessuno degli organizzatori si è posto la domanda se il tribunale, luogo dove ha sede il giudice, che deve essere per dettato costituzionale terzo e imparziale (e ancora prima apparire tale), possa ospitare una istallazione che colpisce in modo così forte i sentimenti – comuni a tutti gli esseri umani – di solidarietà verso le vittime e di lotta contro un fenomeno criminale che oggi va sotto il nome di “codice rosso”.
Il Presidente della Corte di appello – sollecitato dalla camera penale – ha risposto che non si può neppure ipotizzare che un giudice sia influenzabile a scapito della sua imparzialità solo per aver visto una mostra nel corridoio del Tribunale.
Non è questo il punto.
I Giudici, anch’essi, sono prima di tutto esseri umani dotati di sensibilità e sentimenti e soggetti – come tutti – a meccanismi culturali, psicologici ed auto cognitivi che possono influenzare le loro decisioni.
Certo, teoricamente, appena varcata l’aula di udienza, dovrebbero necessariamente lasciarli fuori ed entrare solo con spirito di indipendenza e imparzialità.
Ma, proprio per questo, perché sollecitare un lato sensibile come la naturale solidarietà verso le vittime di violenza? E perché – soprattutto- in Tribunale?
Il tribunale è la sede della razionalità, unica strada maestra che può portare ad una giustizia imparziale, non può invece essere la casa dei sentimenti, neppure quelli nobili e giusti.
La giustizia deve essere – ma ancora prima – deve apparire a tutti imparziale e ciò per una fondamentale ragione di trasparenza.

Sono convinto che gli organizzatori abbiano scelto apposta come luogo simbolo della mostra il tribunale, cioè il luogo in cui le vittime delle violenze chiedono giustizia.
Ma la giustizia non ha bisogno di allestimenti che inducano a reazioni emotive di chi è chiamato a pronunciarsi rispetto a fatti di reato che, fuori dal tribunale, sono un fenomeno della società, ma dentro le aule diventano una singola accusa che deve essere provata e dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio prima di sfociare in una condanna.
La giustizia non è memoria e non è neppure finalizzata all’evoluzione e al miglioramento della cultura e della società, questi valori vengono coltivati fuori dal processo e non dovrebbero mescolarsi con la giustizia, che non è mai di parte, altrimenti non è più giustizia.

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