Il criminologo
e la green criminology
Lo studioso del crimine che si approccia per la prima volta alle violazioni ambientali non può prescindere dall’avere una struttura teorica che si disvelerà poi fondamentale per le future attività di ricerca e di investigazione. È inevitabile porsi una domanda una semplice: Che cos’è la green criminology?

Cristian Rovito – Sociologo e Criminologo Ambientale
Lungo la scia degli insegnamenti della scuola australiana, la green criminology si riferisce allo studio dei criminologi su tre aree d’indagine:

a) Environmental harms (danni all’ambiente)
in cui sono ricomprese definizioni di crimine più ampie rispetto a quelle strettamente legali;

b) Environmental laws (leggi ambientali)
inclusiva della fase applicativo – repressiva e interpretativo – applicativa, con particolare riferimento all’analisi e all’approfondimento della giurisprudenza;

c) Environmental regulation
regolazione/gestione/governance ambientale, nella quale ci si concentra sui sistemi legislativi (penale, civile e amministrativo) il cui focus è orientato alla gestione dell’ambiente, intesa nel senso della protezione e preservazione di particolari contesti e matrici ambientali, nonché del contrasto degli effetti negativi di particolari processi industriali.

La green criminology…
orienta il suo sguardo sulle questioni relative all’ambiente, da intendersi nella sua più ampia accezione, e del danno, da considerarsi in termini sia ecologici, sia strettamente giuridici. La criminologia ambientale persegue un fine che ha certamente una valenza sociale, nel senso che si configura anche come strumento finalizzato a denunciare diversi casi di sostanziale ingiustizia sociale ed ecologica, assolvendo ad una non trascurabile funzione/capacità critica verso gli stati nazionali e le multinazionali che causano direttamente o indirettamente danni a quegli ecosistemi che vengono sistematicamente sfruttati per ragioni prevalentemente economico – capitalistiche. Un oggetto di studio è inevitabilmente quello della criminalità ambientale, di modo che i criminologi “verdi” (ambientali) studiano anche attività dannose per l’ambiente non ancora classificate come reati.


Nel vasto panorama della green criminology, sono diversi i modi con cui i criminologi si occupano di criminalità ambientale. Se da un lato ci sono studiosi per i quali, la criminalità ambientale è quella che deriva prevalentemente in termini definitori da un approccio legale – normativo, per cui “è tutto ciò che la legge stabilisce debba essere”; dall’altro ci sono ricercatori che si focalizzano sul danno ambientale che indipendentemente dallo status giuridico viene considerato un reato sociale ed ecologico. Di assoluto interesse sul piano dell’approccio teorico alle “questioni criminali ambientali” è ancora il paradigma cui ricorre il criminologo critico, per il quale, si è dinanzi ad un reato ogniqualvolta vi sia un danno arrecato all’ambiente o agli animali.

A corroborare il delineato quadro definitorio e teorico, da qui la sfida e l’interesse per la materia, concorrono altri paradigmi di autorevoli studiosi del crimine per così dire “ordinari”. Per Adolfo Ceretti il discorso criminologico consente di vedere certi fatti e di dare loro un’articolazione all’interno della sua logica. Essa non si limita a privilegiarli, ma impone un certo sguardo nel campo che forma, valutando tali fatti. Il criminologo costruisce, in base ai suoi criteri, ciò che altrove viene enunciato come riflessione sul male e sulla consapevolezza: anch’egli quando prende la parola, impone una sua ottica, “fa vedere”. Per Gabrio Forti è necessario sottolineare che nel maneggiare la miscela esplosiva fattuale – quindi anche la normativa del crimine ambientale, il criminologo con la sua scelta chiama a vita una realtà prima inesistente. Di modo che si trova nell’impossibilità di definire il proprio oggetto in termini naturalistici, dovendosi riferire ad un criterio, se non necessariamente penale, comunque normativo. L’operazione mentale con la quale sceglie di includere nel proprio campo di studio un determinato fatto sociale, qualificandolo criminale, ma anche deviante, aggiungendoci poi l’aggettivazione “ambientale”, non è del tutto dissimile dalla sussunzione demandata al giurista.
Del resto, nello specifico campo dell’ambiente raggiungere l’obiettivo definitorio risulta ancora più difficile in ragione del fatto che le forme più gravi di danno costituiscono (ed hanno costituito per anni!) de facto azioni rientranti nella normale pratica sociale, essendo, tra l’altro, del tutto legali anche se costitutive di veri e propri disastri ambientali. Le alterazioni dell’ambiente, unitamente ad altre forme identificano dei mutamenti che, sebbene difficili da definire a causa della loro complessità ed eterogeneità, sono riconducibili all’azione irresponsabile dell’uomo.
Non è quindi un caso che il criminologo ambientale, rispetto a quello “ordinario”, si trovi ad operare in un immenso laboratorio di sperimentazione teorico – filosofica, politica e per certi aspetti pratico – operativa. Come studioso del crimine ambientale e come professionista, il criminologo verde ha il compito di occuparsi di tante queste questioni ambientali, per fornire un contributo alle soluzioni di problemi certamente ambientali ma inevitabilmente di grande effetto ecologico e sociale, oltreché politico ed economico.

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