La Sezione V Penale, con la sentenza n. 47553 del 2023, ha affermato il principio di diritto secondo il quale nel caso di sequestro ai fini di confisca della carta di circolazione e della targa dell’autovettura, rilasciate dai funzionari della motorizzazione civile, poiché ottenute attraverso l’induzione in errore di quest’ultimi tramite la presentazione di false dichiarazioni – le quali si siano fondate su una procedura volta a far apparire l’importazione intracomunitaria del mezzo come realizzata  direttamente da parte del privato (non intenzionato alla rivendita e dunque non tenuto al versamento dell’IVA) e non, in realtà, da parte di una società intermediaria tenuta al versamento dell’IVA non versata e costituente condizione per la immatricolazione regolare ai sensi del D.L. n. 262 del 2006, art. 1, commi 9 e 10) –  trova applicazione la disciplina della confisca facoltativa ai sensi dell’art. 240 c.p., commi 1 e 3, in luogo di quello della confisca obbligatoria dell’art. 240 c.p., comma 2, n. 2, e 4, vertendosi in tema di prodotto del reato e non di beni intrinsecamente pericolosi.

Il G.I.P. presso il Tribunale di Velletri emetteva un decreto di sequestro per equivalente per oltre 235mila euro nei confronti dei titolari di una società dedita alla importazione di veicoli dall’estero, i quali si sarebbero resi responsabili di numerose violazioni tributarie e, soprattutto, dell’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.

Ciò posto, tra i beni oggetto di sequestro vi erano le carte di circolazione e le targhe delle autovetture importate senza versamento dell’IVA e nazionalizzate presso la Motorizzazione civile atteso che le medesime (ossia le autovetture) risultavano, con induzione in errore, falsamente acquistate dal privato.

Il Tribunale del riesame, su istanza presentata da uno degli acquirenti degli autoveicoli, disponeva l’annullamento del sequestro preventivo rappresentando la sussistenza della buona fede dell’istante (soggetto terzo estraneo al delitto) e la possibilità della restituzione dei beni sottoposti a confisca obbligatoria al terzo estraneo al reato nel caso in cui il porto, l’uso o la detenzione della res sia consentita mediante autorizzazione amministrativa.

Il Pubblico Ministero, impugnando l’ordinanza, ricorreva per Cassazione lamentando l’avvenuta violazione di legge posto che le targhe e i documenti, oggetto di sequestro, costituivano corpo del reato e cose pertinenti al reato di induzione nel falso ideologico.

Di conseguenza, l’organo inquirente chiedeva l’annullamento del provvedimento stante l’irregolarità fiscale nella procedura di acquisto dall’estero dell’autoveicolo atteso il mancato pagamento dell’IVA da parte della società dedita alla importazione di veicoli dall’estero posto che il ridetto pagamento spettava alla medesima (ossia alla società) e non al privato.

Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, depositava requisitoria e conclusioni scritte con le quali chiedeva il rigetto del ricorso proposto atteso:

  • che il procedimento verteva sulla tematica del sequestro preventivo di cose appartenenti al terzo in buona fede;
  • che la libera disponibilità della targa e dei documenti di circolazione di proprietà del terzo estraneo all’illecito e in buona fede – nel caso in cui il sequestro preventivo sia di natura impeditiva – non costituisce, di per sé, una forma di pericolo di aggravamento e/o di protrazione delle conseguenze del reato o di reiterazione dello stesso o di altri fatti aventi rilevanza penale;
  • che, difatti, il terzo, essendo soggetto estraneo al reato, può – all’esito del recupero dell’IVA non versata – procedere a una rettifica amministrativa dei documenti considerato che la norma contenuta nell’art. 240, comma 3, c.p. “vieta la confisca allorquando la cosa appartenente al terzo in buona fede può essere oggetto di regolarizzazione amministrativa (Sez. 3, n. 57595 del 25/10/2018)”;
  • che, infine, la disciplina del sequestro finalizzato alla confisca “non può essere applicata verso colui che non abbia tratto vantaggi dall’altrui attività criminosa e che sia in buona fede, non potendo conoscere, con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta, l’utilizzo del bene per fini illeciti (Sez. 3, n. 45558 del 16/11/2022)”.

La Suprema Corte dichiarava inammissibile il ricorso sulla base delle argomentazioni, di seguito, riportate.

Primariamente, secondo il Supremo Collegio, il Tribunale del riesame di Roma aveva correttamente applicato la norma contenuta nell’art. 240, comma 4, c.p. la quale, testualmente, prevede che “la disposizione del numero 2 (cfr. art. 240 comma 2, n. 2, c.p.: “È sempre ordinata la confisca:2) delle cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione e l’alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna”) non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa”.

La disciplina dianzi indicata costituisce, pertanto, una deroga alla confisca obbligatoria.

In tal senso, devesi evidenziare che la confisca non trova applicazione se la cosa appartiene a un soggetto estraneo alla fabbricazione, all’uso, al porto, alla detenzione e se l’alienazione del bene può, comunque, essere consentita mediante autorizzazione amministrativa.

In casi consimili, i beni non possono essere qualificati “intrinsecamente pericolosi”.

Nel caso di specie, l’unico problema atteneva l’omesso versamento dell’IVA il quale risultava facilmente risolvibile attraverso la mera applicazione del D.L. n. 262 del 2006, art. 1, comma 9 (convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2006, n. 286, art. 1, comma 1) il quale prevede che “Ai fini dell’immatricolazione o della successiva voltura di autoveicoli, motoveicoli e loro rimorchi, anche nuovi, oggetto di acquisto intracomunitario a titolo oneroso, la relativa richiesta è corredata di copia del modello F24 per il versamento unitario di imposte, contributi e altre somme, a norma del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17 e successive modificazioni, recante, per ciascun mezzo di trasporto, il numero di telaio e l’ammontare dell’IVA assolta in occasione della prima cessione interna” e che, come sancito dal comma 10 del ridetto articolo, “l’immatricolazione è subordinata alla presentazione della certificazione doganale attestante l’assolvimento dell’IVA”.

Pertanto, trattavasi, nella fattispecie in esame, non di confisca obbligatoria bensì facoltativa.

Ciò posto, la Suprema Corte poneva la propria attenzione sul concetto di “prodotto del reato”, “profitto” e “prezzo” del medesimo.

E, invero, come stabilito dalle Sezioni Unite, con pronunciamento n. 9149/1996, “in tema di confisca, il prodotto del reato rappresenta il risultato, cioè il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita; il profitto, a sua volta, è costituito dal lucro, e cioè dal vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato; il prezzo, infine, rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato e costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l’interessato a commettere il reato”.

Di tal che, nel caso in esame, secondo la Suprema Corte è necessario tutelare il terzo in buona fede estraneo al reato vista “la totale estraneità dell’acquirente dell’autovettura, nonché la sua buona fede, ed avendo lo stesso versato il prezzo senza trarre un vantaggio consapevole dalla condotta di reato”.

Conclusivamente argomentando, il Supremo Collegio ritorna sulla nozione di “persona estranea al reato” in danno della quale non possono essere confiscati cose o beni ad essa appartenenti ai sensi dell’art. 240, comma 3, c.p..

Il Giudice di legittimità specificamente la definisce (ossia la “persona estranea al reato”) come:

  • il soggetto “che non ha concorso nella commissione del reato, nè ha tratto vantaggio dall’altrui attività criminosa, serbando una condotta in buona fede (Sez. 3, n. 45558 del 16/11/2022)”;
  • il soggetto “che non abbia ricavato vantaggi ed utilità dal reato e che sia in buona fede, non potendo conoscere – con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta – l’utilizzo del bene per fini illeciti (Sez. 3, n. 29586 del 17/02/2017)”.

Sulla scorta di tali considerazioni, la Suprema Corte ha affermato il principio di diritto secondo cui “trova applicazione la disciplina della confisca facoltativa ai sensi dell’art. 240 c.p., commi 1 e 3, in luogo di quello della confisca obbligatoria dell’art. 240 c.p., comma 2, n. 2, e 4, vertendosi in tema di prodotto del reato e non di beni intrinsecamente pericolosi, in ordine alla carta di circolazione e alla targa dell’autovettura rilasciati dai funzionari degli uffici della motorizzazione civile, ottenuti a seguito di presentazione di false dichiarazioni idonee a indurre in errore, facendo apparire l’importazione intracomunitaria avvenuta direttamente da parte del privato, non intenzionato alla rivendita e dunque non tenuto al versamento dell’Iva, allorquando invece l’acquisto sia avvenuto da parte di una società che funga da intermediaria, tenuta al versamento dell’Iva non versata e costituente condizione per la immatricolazione regolare ai sensi del D.L. n. 262 del 2006, art. 1, commi 9 e 10, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2006, n. 286, art. 1, comma 1”.

 

Cass. Pen., Sez. V, ud. 5 ottobre 2023 (dep. 27 novembre 2023), n. 47553

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