Ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, l’aumento di pena per la recidiva che integri una circostanza aggravante ad effetto speciale non rileva se la stessa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione previsto per il reato come originariamente contestato.

Nell’aprile scorso, su ricorso della difesa, la quinta sezione aveva rimesso gli atti alle Sezioni Unite rilevando un contrasto nella giurisprudenza di legittimità in relazione alla possibilità di contestare, ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen., una circostanza aggravante a effetto speciale (nel caso di specie la recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale) anche successivamente al decorso del termine di prescrizione, calcolato alla luce dell’originaria imputazione. Il contrasto, secondo l’ordinanza di rimessione, era essenzialmente incentrato sulla natura della contestazione dell’aggravante: secondo un primo indirizzo la natura è “costitutiva” (non potendo essere relegata ad un mero status desumibile dal certificato penale ovvero dal contenuto dei provvedimenti di condanna), secondo il contrapposto indirizzo, invece, la natura sarebbe meramente ricognitiva, considerato che ogni circostanza è preesistente rispetto alla contestazione e ontologicamente indipendente da essa.

Le Sezioni Unite, nel condividere la soluzione adottata dal primo dei due indirizzi, precisano innanzitutto che non è in discussione la facoltà da parte del pubblico ministero di procedere alla contestazione suppletiva della recidiva, che peraltro non richiede l’autorizzazione del giudice (nei casi di cui all’art. 517 cod. proc. pen. «il pubblico ministero contesta all’imputato» una circostanza aggravante), a differenza di quanto previsto per la contestazione del fatto nuovo, in presenza dei presupposti previsti dall’art. 518, comma 2, del codice di rito. Piuttosto la rilevanza della questione attiene alla «determinazione dei rapporti tra “l’apparente” decorso del termine prescrizionale postulato dal secondo orientamento e la regola che prevede l’obbligo di immediata declaratoria, d’ufficio, della causa estintiva e, quindi, tra la predetta “apparenza” e l’evidenza connessa all’operatività di tale obbligo», tema correttamente indicato nella ordinanza di rimessione come snodo cruciale al fine di dirimere il contrasto di giurisprudenza. L’aspetto decisivo, non sufficientemente considerato nelle pronunce adesive al secondo degli orientamenti contrapposti e nella requisitoria del Sostituto Procuratore generale, riguarda, dunque, la portata del fondamentale principio previsto dall’art. 129 cod. proc. pen. e i suoi effetti.

Principio affrontato da numerose pronunce delle Sezioni Unite ad iniziare dalla sentenza Conti (Sez. U, n. 17179 del 27/02/2002, Rv. 221403-01), ove si sono evidenziate le funzioni fondamentali che assolve la norma prevista dall’art. 129 del codice di rito: favorire l’imputato innocente (o comunque da prosciogliere), prevedendo l’obbligo dell’immediata declaratoria di cause di non punibilità «in ogni stato e grado del processo», e agevolare in ogni caso l’esito del processo, quando non appaia concretamente realizzabile la pretesa punitiva dello Stato, cosicché «l’art. 129 si muove nella prospettiva di troncare, allorché emerga una causa di non punibilità, qualsiasi ulteriore attività processuale e di addivenire immediatamente al giudizio, anche se fondato su elementi incompleti ai fini di un compiuto accertamento della verità da un punto di vista storico». Con specifico riferimento alla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, si è osservato che essa, «anche se in apparenza può confliggere con l’interesse dell’imputato ad una più ampia possibilità di vedere proseguire l’attività processuale in vista di un auspicato proscioglimento con formula liberatoria di merito, in realtà non mortifica tale interesse (che può trovare sempre la sua massima espansione, attraverso la rinuncia alla prescrizione secondo la sentenza costituzionale n. 275/90) e lo contempera, alla luce della normativa vigente, con l’aspetto, non meno rilevante, dell’exitus del processo quale obiettivo da perseguire, la cui importanza non può certamente sottovalutarsi, posto che la disciplina d’impulso alla sollecita definizione del processo tutela un fondamentale interesse di carattere costituzionale (art 111/2° Cost.: ragionevole durata del processo) che non può essere considerato aprioristicamente di rango inferiore ad altri interessi pur apprezzabili e, in ogni caso, sempre tutelabili».

La sentenza De Rosa (Sez. U n. 12283 del 25/01/2005, De Rosa, RV. 230529-01), in continuità con Sez. U Conti, ricostruì ancora più compiutamente le ragioni giustificative della norma, evidenziando che essa enuncia una regola di condotta rivolta al giudice, data la sua collocazione sistematica nell’ambito del capo relativo ad “atti e provvedimenti” giudiziali, e «prevede l’obbligo (recte dovere) dell’immediata declaratoria, d’ufficio, di determinate cause di non punibilità che il giudice “riconosce” come già acquisite agli atti. Si è di fronte ad una prescrizione generale di tenuta del sistema, nel senso che, nella prospettiva di privilegiare l’exitus processus ed il favor rei, s’impone al giudice il proscioglimento immediato dell’imputato, ove ricorrano determinate e tassative condizioni, che svuotano di contenuto – per ragioni di merito – l’imputazione o ne fanno venire meno – per la presenza di ostacoli processuali (difetto di condizioni di procedibilità) o per l’avverarsi di una causa estintiva – la effettiva ragion d’essere»; sicchè l’espressione «”immediata declaratoria”, presente soltanto nella rubrica dell’art. 129 c.p.p., assume una valenza diversa da quella percepibile prima facie: non denuncia una connotazione di “tempestività temporale” assoluta, fino a legittimare, pur nel silenzio della norma, il rito c.d. de plano […]; ma evidenzia la precedenza che tale declaratoria deve avere, ove ne ricorrano le condizioni, su altri eventuali provvedimenti decisionali adottabili dal giudice».

Con la sentenza Tettamanti (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Rv. 244274-01), le Sezioni Unite hanno affermato che, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione“, ossia di percezione ictu oculi che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento.

Nel solco della ricordata elaborazione giurisprudenziale si colloca la sentenza Perroni (Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, Rv. 278870-01), che ha ricordato che l’art. 129 cod. proc. pen. è norma che la Corte di legittimità ha sempre interpretato «come espressiva di un obbligo per il giudice di pronunciare con immediatezza, nel momento di sua formazione ed indipendentemente da quello che sia “lo stato e il grado del processo” (clausola, questa, significativamente menzionata dalla norma), sentenza di proscioglimento», e ha osservato che, ove il principio dell’immediatezza del proscioglimento «fosse ritenuto generalmente derogabile in ragione della necessità di accertare il fatto in vista della confisca urbanistica, ovvero in senso chiaramente sfavorevole all’imputato, non ci si potrebbe sottrarre all’evidente sperequazione che verrebbe in generale in tal modo a crearsi nel caso, invece, di accertamenti da operare in melius, essendosi sempre esclusa da questa Corte la possibilità di prosecuzione a tal fine del processo proprio per il contrasto della stessa con quanto disposto dall’art. 129 cod. proc. pen.».

Va ricordata, infine, la sentenza Fazio (Sez. U, n. 19415 del 27/10/2022, dep. 2023, Rv. 284481-01), con la quale le Sezioni Unite hanno da ultimo ribadito che – come rimarcato nella sentenza De Rosa – la norma prevista dall’art. 129 cpp costituisce una «prescrizione generale di tenuta del sistema».

I condivisi principi affermati in numerose pronunce delle Sezioni Unite impongano di escludere la rilevanza di una contestazione suppletiva della recidiva qualificata, astrattamente idonea a spostare in avanti il tempo necessario a prescrivere, qualora la causa di estinzione del reato (non aggravato dalla recidiva) fosse già maturata prima di detta contestazione.

In tale situazione, infatti, si era già in presenza di una causa di non punibilità che il giudice del dibattimento avrebbe dovuto riconoscere e dichiarare, ai sensi dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., essendogli preclusa ogni ulteriore attività.

In situazioni non agevolmente risolvibili il giudice potrà anche sollecitare un preventivo contraddittorio specifico sul punto: ciò in quanto la prescrizione è un evento giuridico e non un mero fatto naturale, il cui accertamento non è frutto soltanto del computo aritmetico del relativo termine sul calendario, ma può implicare la risoluzione di plurime questioni, di diritto e di fatto, che costituiscono l’oggetto del giudizio sul punto della prescrizione, relative, ad esempio, all’epoca di commissione del reato, al regime applicabile, alla individuazione degli atti interruttivi e delle cause di sospensione.

La omessa pronuncia della doverosa sentenza liberatoria da parte del giudice non può creare un pregiudizio all’imputato che di detta decisione avrebbe dovuto beneficiare, facendo “rivivere“, a seguito della contestazione suppletiva della recidiva qualificata, un reato per il quale era già spirato il termine massimo di prescrizione, causa di estinzione che il giudicante avrebbe dovuto riconoscere e che, “ora per allora“, va riconosciuta e dichiarata.

Diversamente opinando, si rimetterebbe illogicamente alla diligenza del giudice di primo grado la sorte del processo, in presenza di identiche situazioni: un imputato beneficerebbe o meno della sentenza favorevole in base al tempestivo rilievo (o meno) della causa di estinzione del reato da parte del giudice stesso, avvenuto prima o dopo la contestazione suppletiva ex art. 517 cod. proc. pen. della recidiva qualificata. L’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva del reato, previsto dall’art. 129 cod. proc. pen., se correttamente e tempestivamente adempiuto dal giudice, preclude al pubblico ministero la possibilità stessa di procedere alla contestazione suppletiva, mancando lo stesso segmento processuale nel quale esercitare la facoltà.

Detto obbligo, dunque, rappresenta l’elemento dirimente della questione devoluta alle Sezioni Unite, risultando irrilevante il contrasto giurisprudenziale, richiamato nell’ordinanza di rimessione, sulla natura (dichiarativa o costitutiva) della contestazione della recidiva, come già in precedenza osservato.

 

SS.UU. del 28 ottobre (dep. il 14 dicembre) 2023 n. 49935

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