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In tema di reati divenuti perseguibili a querela per effetto della modifica introdotta dal d.lg. 10 ottobre 2022, n. 150, è consentito al pubblico ministero, ove sia decorso il termine per proporre la querela di cui all’art. 85 del d.lg. citato, modificare l’imputazione mediante la contestazione, in udienza, di un’aggravante che rende il reato procedibile d’ufficio. (Fattispecie relativa a furto di energia elettrica, in cui la Corte ha annullato la decisione di proscioglimento del Tribunale, che aveva ritenuto tardiva la contestazione suppletiva dell’aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen.).

A cura di Rocco Guttà (Avvocato del foro di Locri e componente del comitato di redazione della Camera Penale di Locri)

La sentenza in commento è di notevole rilevanza in ordine alla possibilità di contestazione delle aggravanti anche in termini non formali.

Accade che il Pubblico Ministero, impugna la sentenza del tribunale, che aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputata perché l’azione non poteva essere proseguita per difetto di querela, in relazione al reato di furto di energia elettrica, aggravato dalla violenza sulle cose, alla luce dell’entrata in vigore della nuova formulazione dell’art. 624, comma 3, cod. pen., introdotta dall’art. 2, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 150 del 2022.

Il pubblico ministero evidenziava che, nonostante abbia dichiarato alla prima udienza la propria volontà di voler contestare l’aggravante prevista dall’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen. dell’essere la cosa provento di furto destinata ad un pubblico servizio – aggravante che avrebbe reso procedibile d’ufficio il reato, come stabilito dal nuovo testo del citato art. 624, comma 3, cod. proc. pen. -, il giudice monocratico l’ha ritenuta tardiva e inammissibile, sul presupposto di un principio di antecedenza logica e cronologica dell’accertamento della mancanza di condizione di procedibilità sul potere del pubblico ministero di proporre contestazione suppletiva. Rilevava ancora che il giudice, poi, ha ritenuto che la sola indicazione della natura del bene sottratto e della persona offesa non sono sufficienti a ritenere richiamata già di fatto l’aggravante della destinazione della cosa sottratta al pubblico servizio.

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso del pubblico ministero, ricordando e ribadendo i recenti approdi giurisprudenziali, ed in particolare la recente sentenza Sez. 5, n. 14888 del 2024, secondo cui l’aggravante è da ritenersi adeguatamente contestata anche ove venga evocata non esplicitamente ma con perifrasi o espressioni che la riguardino puntualmente, idonee a consentire all’imputato di difendersi e, per questo, utili a prendere il posto della contestazione formale.

 

Tanto ha fatto riconducendo lo sviluppo di quei principi alle Sezioni Unite, nella sentenza Sez. U, n. 24906 del 18/4/2019, Sorge, Rv. 275436, che distinguendo tra aggravanti contestabili in fatto ed aggravanti con natura “valutativa”, che hanno bisogno di essere specificamente evocate nell’imputazione per potersi ritenere validamente contestate, ricostruiscono in modo articolato, e non con una soluzione rigida, la questione riguardante le modalità di contestazione delle aggravanti che non presentano la caratteristica di essere “autoevidenti”, vale a dire immediatamente percepibili da un agente “medio” nella loro portata aggravatrice del trattamento sanzionatorio, sì da potersi legittimamente ritenere contestabili “in fatto”.

Secondo le  Sezioni Unite, nel primo caso, è doverosa una contestazione che risulti chiara e precisa e che richiami l’imputato ad una difesa accorta e puntuale, visto che l’intera disciplina delle coerenza tra contestazione e sentenza è funzionale ad assicurare la piena esplicazione del diritto di difesa; ma è anche consentito che l’aggravamento derivante dalla destinazione pubblica del bene sottratto possa ritenersi adeguatamente contestato ed evidenziato mediante “espressioni evocative” che lo riguardino puntualmente, espressioni che, perciò, risultano anche idonee a prendere il posto della contestazione formale (quella cioè effettuata mediante l’indicazione dell’articolo di legge o del comma in cui è menzionata l’aggravante).

Per completezza deve anche rilevarsi che la suprema corte ha poi anche accolto il secondo motivo di gravamene che era inerente la ritenuta tardività della volontà di contestare l’aggravante, essendo questa inibita dall’ormai sopravvenuta causa di improcedibilità del reato per mancata presentazione della querela, ad opera della persona offesa, entro la data del 30 marzo 2023, secondo quanto previsto dall’art. 85 del d.lgs. n. 150 del 2022.

La Corte, con articolato e argomentato ragionamento, ricostruendo il rapporto fra contestazione suppletiva e maturata causa di improcedibilità e alla luce delle novità rappresentata dalla riforma Cartabia sul tema, ha ritenuto che deve essere riconosciuta piena efficacia giuridica e operativa alla contestazione suppletiva effettuata dal pubblico ministero di udienza, pur quando la improcedibilità si è virtualmente prodotta.

 

Cassazione penale sez. V – 02/05/2024, n. 33657

 

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