“Non sono utilizzabili ai fini della deliberazione informazioni tratte in camera di consiglio da un sito internet (nella specie, di meteorologia), in quanto trattasi di acquisizione unilaterale di elementi conoscitivi che determina l’impiego a fini decisori di prove diverse da quelle legittimamente acquisite in dibattimento nel contraddittorio tra le parti”.
A cura di Marco Latella (Avvocato del foro di Locri e componente del comitato di redazione della Camera Penale di Locri)
La Corte di Assise di appello di Palermo, in riforma della sentenza pronunciata dalla Corte di Assise di Agrigento, assolveva un soggetto accusato dei reati di omicidio aggravato e di rapina aggravata rispettivamente con la formula “per non avere commesso il fatto” (per il primo delitto) e “perché il fatto non sussiste” (per il secondo).
Il fatto omicidiario sarebbe stato causato da plurime lesioni cranioencefaliche inferte tramite l’utilizzo di armi improprie nella disponibilità della vittima all’interno del laboratorio presente presso la propria casa di abitazione.
Nella medesima occasione, l’autore del fatto criminoso si sarebbe impossessato di una somma imprecisata di danaro prelevandola dalle tasche dei pantaloni della vittima e dalla cassettiera dell’ufficio della persona offesa. Il reo, introdottosi nella casa senza lasciare alcun segno di effrazione, aggrediva e colpiva la vittima lasciando evidenti tracce sul pavimento avendo calpestato maldestramente le macchie di sangue presenti per terra.
In sintesi, il giudice di primo grado ha ritenuto provata la penale responsabilità dell’imputato dal momento che quest’ultimo:
- avrebbe – il giorno dell’omicidio – pedinato la persona offesa durante la mattina per circa 3 ore (dato emerso dalla disamina delle immagini di un impianto di videosorveglianza);
- si sarebbe impossessato, durante la mattinata, di alcuni attrezzi della vittima;
(Prima ipotesi: l’imputato avrebbe utilizzato la richiesta di prestito degli attrezzi – secondo la Corte di Assise di Agrigento – come pretesto per reperire denaro stante il vizio del gioco d’azzardo sofferto dall’accusato)
(Seconda ipotesi: l’imputato si sarebbe recato a rovistare nell’ufficio della vittima, a sua insaputa, per cercare soldi. In assenza di liquidità, egli si sarebbe accontentato di un martello demolitore)
- avrebbe rivisto, poco tempo dopo (sempre il giorno dell’omicidio), la persona offesa – durante una seconda visita serale – al fine di risolvere le questioni insorte durante l’incontro mattutino;
- avrebbe circolato con un’autovettura Fiat Punto in uso al medesimo, durante l’orario del decesso dell’uomo (avvenuto tra le ore 19:30 e le ore 24:00 all’interno del proprio studio) e, nello specifico, tra le ore 20:43 e le ore 20:58 del 6 dicembre 2015 (dato corroborato dalla falsità delle dichiarazioni della moglie dell’imputato che aveva affermato che quest’ultimo non sarebbe mai uscito di casa durante la serata: tale dato era contrastato, inequivocabilmente, da elementi di natura oggettiva);
- avrebbe usufruito dell’aiuto maldestro dei familiari, molto tempo dopo il fatto omicidiario, cercando di disperdere gli attrezzi rubati dall’officina e allontanare, di conseguenza, i sospetti gravanti su di sé;
- avrebbe avuto un movente per avvicinare la vittima ossia la disperata ricerca di denaro;
- avrebbe disperatamente cercato la scarpa (che aveva “imbrattato” il pavimento di sangue) presso una discarica abusiva (luogo reputato come particolarmente insolito per attività di circolazione veicolare continuativa e assidua).
Tale ultimo dato sarebbe stato dirimente per il giudice di primo grado poiché il tentativo di ricerca “ossessivo” era diretto al ritrovamento della scarpa in uso a un soggetto responsabile di un omicidio. La calzatura veniva, difatti, ritrovata – a distanza di poco tempo – non dal presunto colpevole, ma dalla P.G. all’interno della discarica abusiva.
La Corte di Assise di Agrigento avrebbe considerato particolarmente importante il contenuto non veritiero delle dichiarazioni rese dall’imputato e dalla moglie agli investigatori, il fatto che l’imputato avesse negato l’evidente pedinamento della vittima con scuse smentite da fatti oggettivi, la maldestra condotta di occultamento/distruzione degli attrezzi sottratti alla vittima da parte dei figli dell’accusato, il tentativo di recupero della scarpa presso la discarica abusiva.
Il giudice di primo grado ha ritenuto provata la penale responsabilità dell’imputato in relazione al delitto di rapina aggravata considerandolo fatto strettamente collegato alla condotta omicidiaria.
Difatti, la vittima – pur non godendo di ottime condizioni economiche – era solita detenere denaro nelle tasche. In occasione dell’omicidio, le tasche erano totalmente vacanti. Inoltre, il cassetto della casa, ove solitamente venivano depositate le banconote della persona offesa, ere aperto e sporco di sangue. Tali elementi hanno indotto la Corte di Assise a ritenere la condotta volta alla sottrazione del denaro quale fatto antecedente al successivo evento tragico.
Di diverso avviso è stato il convincimento della Corte di Assise di appello di Palermo, la quale ha reputato il legame tra la rapina e l’omicidio come connotato da mere ipotesi e congetture stante l’assenza di un “elemento specifico e rilevante” che abbia potuto correlare la condotta generalmente tenuta dall’imputato con l’omicidio del conoscente.
Di tal che, l’impossessamento della valigia, contenente il martello demolitore di proprietà della vittima, è stato considerato un fatto del tutto diverso e scollegato dalla rapina contestata all’imputato.
Ancora, secondo il giudice di secondo grado, all’interno dei locali della piccola azienda di marmi della vittima non era stato rinvenuto alcun elemento – alla luce dell’esito dei rilievi dattilo-biologici – che permettesse di considerare l’accusato presente sul luogo del delitto al momento della commissione dal fatto omicidiario.
Inoltre, il collegamento tra l’impronta di sangue sul pavimento e il ritrovamento di una scarpa in una discarica non poteva essere considerato dotato del carattere della univocità considerato che dalla disamina del contenuto dalle captazioni in corso in quei giorni sarebbe emerso il fatto che l’imputato si fosse recato in quei luoghi alla ricerca di lumache. Tale dato era riscontrato dalla analisi delle condizioni metereologiche di quell’esatto giorno ossia il 2 ottobre 2016.
Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo e le costituite parti civili presentavano ricorso per Cassazione avverso la sentenza assolutoria.
La Prima Sezione, investita dei ricorsi, ne accoglieva i contenuti rilevando come “la Corte di Assise di appello ha riformato in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado senza un adeguato percorso logico motivazionale” non avendo proceduto, a differenza del giudice di primo grado, a “un esame globale di un insieme di elementi indiziari ritenuti certi e significativi, coordinati in una visione unitaria [limitandosi] la sentenza di appello […] ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, la valenza dimostrativa dei quali viene svalutata sulla base di congetture contraddette da precisi dati probatori, oltre che estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana. Un metodo di valutazione, questo, che si pone in netto contrasto con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di prova indiziaria (cfr. Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 04/03/2021, Rv. 280605 – 02)”.
Secondo la Suprema Corte hanno colto nel segno i motivi di doglianza afferenti l’utilizzo di prove non acquisite nel contraddittorio tra le parti, ma sulla base della sola “scienza” del giudice dal momento che l’impugnata sentenza “ha effettivamente utilizzato materiale proveniente da internet (previsioni meteorologiche) che non risulta acquisito agli atti, in violazione dei principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità”.
Risulta, in tal senso, necessario evidenziare come “non sono utilizzabili ai fini della deliberazione informazioni tratte in camera di consiglio dal sito internet google maps, in quanto trattasi di acquisizione unilaterale di elementi conoscitivi che determina l’impiego a fini decisori di prove diverse da quelle legittimamente acquisite in dibattimento nel contraddittorio tra le parti (Sez. 1, n. 36315 del 20/05/2016, Palumbo, Rv. 268262)”.
La Prima Sezione ha, conseguentemente, enucleato – con riferimento al caso di specie – il seguente principio di diritto secondo cui “non sono utilizzabili ai fini della deliberazione informazioni tratte in camera di consiglio da siti internet di meteorologia o climatologia, in quanto trattasi di acquisizione unilaterale di elementi conoscitivi che determina l’impiego a fini decisori di prove diverse da quelle legittimamente acquisite in dibattimento nel contraddittorio tra le parti”.
In tal senso, la Suprema Corte, ha sottolineato come il materiale che il giudice acquisisce in contraddittorio deve presentare una provenienza certa e, in caso di dati scientifici o elementi tecnici, deve promanare da fonti autorevoli sottoposte, comunque, al confronto dialettico tra le parti.
Altro motivo di doglianza, oggetto di accoglimento, ha riguardato il difetto di motivazione in ordine alla valutazione del compendio probatorio afferente l’annosa questione riguardante la coincidenza tra la traccia di sangue (“a forma di suola di scarpa”) presente sul luogo del delitto, la scarpa ritrovata presso la discarica abusiva e il numero di calzatura indossato dall’imputato.
Difatti, “la tabella di conversione delle taglie delle calzature” utilizzata dal giudice per assolvere l’imputato “non risulta essere quella versata dal RIS negli atti acquisiti nel contraddittorio”.
Pertanto, la Corte di Assise di appello di Palermo avrebbe impiegato un elemento di prova senza specificarne la provenienza trattandosi di elemento estraneo al processo e, di conseguenza, inutilizzabile.
Inoltre, il giudice di secondo grado avrebbe eretto una motivazione errata poiché basata sulla circostanza che l’imputato “fosse solito calzare il n. 38, del tutto diverso rispetto a quello della scarpa rinvenuta nella discarica”. Tale dato cozzerebbe, secondo il Procuratore generale, con numerosi elementi ossia con “le dichiarazioni testimoniali e le acquisizioni processuali (sequestri) […] dalle quali invece emerge, come aveva concluso il giudice di primo grado, che l’imputato calza il n. 41, non risultando, per contro, che nella sua abitazione siano state rinvenute calzature di taglia n. 38 allo stesso riferibili”.
Una situazione siffatta denota la sussistenza di evidenti vizi dell’impugnata sentenza per violazione della legge processuale e vizi motivazionali per avvenuto travisamento della prova.
Ciò posto, altra questione particolarmente interessante attiene il ragionamento indiziario adottato dal giudice di primo grado e, successivamente, “smantellato” da quello di appello.
Difatti, alla luce della ricostruzione offerta dalla Corte di Assise di Agrigento (superiormente esposta), è fondamentale – secondo la Prima sezione – “rimarcare che l’esistenza del movente, individuato dal primo giudice nella disperata ricerca di soldi, anche in quantità modesta, da dedicare al vizio del gioco, non è specificamente negata dal giudice di appello. Il movente, del resto, pur non costituendo uno specifico elemento indiziario, funge da catalizzatore dei vari indizi raccolti” (cfr. Sez. 1, n. 813 del 19/10/2016 – dep. 2017).
Le circostanze reputate essenziali dal giudice di primo grado vengono sminuite dal giudice del gravame attraverso “un ragionamento fallace e comunque inidoneo a superare le motivazioni del giudice di prima istanza”.
Difatti, secondo la Corte di Assise di Agrigento, il “rinvenimento della scarpa, è di particolare gravità considerato che pertiene al ritrovamento della scarpa in uso all’assassino nel momento della commissione dell’omicidio. L’indizio è considerato univoco atteso che la scarpa in questione è stata rinvenuta esclusivamente grazie al comportamento maldestro ma, al contempo, necessitato [dell’imputato], il quale non aveva altro motivo per recarsi in quel luogo periferico se non per ritrovare e occultare definitivamente le scarpe indossate il giorno dell’omicidio”.
Invece, secondo la Corte di Assise di appello di Palermo, l’indizio è irrilevante. Tale valutazione è, però, caratterizzata dall’uso di elementi travisati o erronei.
Secondo la Prima Sezione, il giudice dell’appello erra nel considerare non corretta l’operazione di “corrispondenza della calzata n. 41 della scarpa rinvenuta con quella indossata dall’imputato […] circa l’affidabilità e convergenza dell’indizio che era stata affermata dal primo giudice”.
Ancora, la Corte di Assise di appello commette un errore nel non reputare la “inaffidabilità della giustificazione sbandierata dall’imputato (ricerca di lumache) nel corso delle intercettazioni” al fine di motivare la propria presenza nelle vicinanze della discarica abusiva.
Inoltre, a differenza del giudice dell’appello, la Suprema Corte ha sottolineato come il giudice di primo grado abbia esaltato ulteriori elementi ossia la “accertata falsità di gran parte delle circostanze riferite [dall’imputato]” e dai familiari, “gli accordi intercorsi tra [l’accusato] e la moglie sulle versioni di volta in volta da rendere agli investigatori, per come risultano dalle captazioni dei dialoghi”, “l’avere negato nelle intercettazioni l’evidente pedinamento [della vittima] con scuse tutte smentite oggettivamente”, “la condotta di occultamento/distruzione del trapano attuata dai figli”, “la fallacia o falsità dell’alibi fornito dal coniuge per la sera del delitto”.
Tale ultimo aspetto assume – ad avviso del Supremo Collegio – carattere fondamentale al fine di comprendere se trattasi di alibi falso o fallito e, soprattutto, capire il valore da attribuire alla circostanza in esame.
Se il giudice dell’appello opta per l’esclusione della fallacia dell’alibi sottolineando l’utilizzo vietato che fa la Corte di Assise di Agrigento del ragionamento congetturale per costruire il proprio impianto motivazionale, il giudice di primo grado, invece, esalta la falsità del ridetto alibi richiamando il contenuto delle captazioni ambientali.
Pertanto, secondo la Prima Sezione, risulta fondamentale analizzare la natura dell’alibi ossia se trattasi di alibi falso o fallito e, soprattutto, la valenza del medesimo.
Sulla scorta delle superiori considerazioni, la Suprema Corte ha disposto l’annullamento con rinvio della sentenza assolutoria invitando il giudice del rinvio “a sanare i vizi motivazionali di omissione e travisamento, nonché ad approfondire l’esistenza, valenza e significato dell’alibi offerto dal coniuge circa la sera del delitto […] dopo avere sanato i vizi processuali sopra rilevati ed eventualmente espunto il materiale probatorio illegittimamente introdotto”.
Cass. Pen., Sez. I, Sentenza n. 24117 del 19/04/2024 Ud. (dep. 18/06/2024)
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