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“La Quinta Sezione penale, in tema di misure cautelari personali, ha affermato che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 173 del 2024, è illegittimo il provvedimento con cui il giudice, che ha applicato la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, con adozione delle particolari modalità di controllo previste dall’art. 275-bis cod. proc. pen., disponga automaticamente una misura più afflittiva, ove sia accertata la non fattibilità tecnica delle anzidette modalità di controllo, dovendo, piuttosto, rivalutare la fattispecie concreta e, pertanto, aggravare od attenuare la misura, in conformità alle regole generali di adeguatezza e proporzionalità.”

A cura di Marco Latella (Avvocato del foro di Locri e componente del comitato di redazione della Camera Penale di Locri)

Il Tribunale del riesame di Milano (in accoglimento dell’appello proposto dal P.M. avverso l’ordinanza emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Busto Arstizio che aveva rigettato la richiesta di applicazione della misura cautelare personale, nei confronti dell’indagato, del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa e dai suoi familiari unitamente alle prescrizioni di cui all’art. 282-ter, commi 2 e 3, c.p.p.) applicava la misura del divieto di avvicinamento del cautelato all’ex moglie e alla figlia minore prescrivendo l’obbligo di mantenimento di una distanza non inferiore a cinquecento metri dalle medesime e il divieto di comunicazione e contatto con tutti gli altri familiari conviventi con le stesse.

Il Tribunale della libertà disponeva, inoltre, l’applicazione del braccialetto elettronico e – in caso di rifiuto all’applicazione di tale strumento da parte dell’indagato o di non fattibilità tecnica all’installazione dello stesso – il T.d.L. avrebbe disposto la misura cautelare personale più grave del divieto di dimora nel Comune di Saronno al fine di garantire una effettiva ed adeguata distanza tra l’uomo e le persone offese.

L’indagato proponeva, per il tramite del difensore di fiducia, ricorso per Cassazione e la Quinta sezione lo accoglieva alla luce delle argomentazioni giuridiche di seguito esplicitate.

Orbene, la Suprema Corte accoglieva il gravame limitatamente al secondo motivo di doglianza a mezzo del quale il ricorrente aveva lamentato la violazione della norma contenuta nell’art. 282-ter, comma 1, c.p.p. (anche alla luce della interpretazione adeguatrice operata dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 173 del 2024) considerato che l’impugnato provvedimento aveva stabilito che, in caso rifiuto all’applicazione del braccialetto elettronico o di impossibilità tecnica all’installazione del medesimo, sarebbe stato automaticamente disposto l’aggravamento della misura con quella del divieto di dimora presso il Comune di Saronno.

Ciò posto, la Quinta sezione ha evidenziato:

  • che la norma contenuta nell’art. 282-ter c.p.p. è stata introdotta a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 9, comma 1, lettera a), del d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, nella legge 23 aprile 2009, n. 38;
  • che, attraverso il medesimo decreto legge, è stato altresì introdotto il reato di “atti persecutori” (art. 612 bis c.p.) rispetto al quale la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla p.o. aveva un precipuo scopo di carattere protettivo;
  • che con la “legge sullo stalking” la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa è divenuta una misura cautelare autonoma assolutamente indispensabile (a dispetto della precedente previsione normativa secondo cui il divieto di avvicinamento era da considerarsi “un’eventuale prescrizione accessoria dell’’ordine di allontanamento ex art. 282-bis cod. proc. pen.”) al fine di garantire protezione anche in caso di relazioni tra soggetti non conviventi;
  • che la norma contenuta nell’art. art. 15, comma 2, della legge 19 luglio 2019, n. 69 (meglio conosciuta come legge sul “codice rosso”) ha previsto, altresì, la possibilità di applicare al soggetto cautelato il c.d. braccialetto elettronico;
  • che, con l’entrata in vigore dell’art. 12, comma 1, lettera d), numero 1), della legge 24 novembre, n. 168 (c.d. “nuovo codice rosso”) è stato modificato il comma 1 dell’art. 282-ter c.p.p.. Tale modifica ha determinato l’introduzione delle seguenti “novità” nella subiecta materia:
  • obbligo di una distanza “comunque non inferiore a cinquecento metri” tra il cautelato e la p.o. e/o i luoghi dalla stessa abitualmente frequentati;
  • applicazione del divieto di avvicinamento “disponendo l’applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall’articolo 275-bis”;
  • possibilità – in caso di accertata “non fattibilità tecnica” delle modalità di controllo indicate ai punti precedenti – da parte del giudice di disporre “l’applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi”;
  • che, infine, la norma contenuta nell’art. 12, comma 1, lettera d), numero 2), della legge 24 novembre n. 168, “intervenendo sul comma 2 dell’art. 282-ter cod. proc. pen., ha stabilito, a tutela anche dei prossimi congiunti della persona offesa e delle persone con questa conviventi o a questa legate da relazione affettiva, una distanza «comunque non inferiore a cinquecento metri» e l’assunzione della misura cautelare «disponendo l’applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall’articolo 275-bis»”.

Alla luce di tale excursus normativo, i Giudici di legittimità hanno evidenziato come le ultime prescrizioni introdotte dal “nuovo codice rosso” hanno indotto il G.I.P. presso il Tribunale ordinario di Modena a sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 282-ter, commi 1 e 2, c.p.p. per violazione delle norme contenute negli artt. 3 e 13 della Costituzione “nella parte in cui, disciplinando la misura cautelare del divieto di avvicinamento, «non consente al giudice, tenuto conto di tutte le specificità del caso concreto e motivando sulle stesse, di stabilire una distanza inferiore a quella legalmente prevista di 500 metri» e «prevede che, qualora l’organo delegato per l’esecuzione accerti la non fattibilità tecnica delle modalità di controllo, il giudice debba necessariamente imporre l’applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi, senza, invece, possibilità di valutare e motivare, pur garantendo le esigenze cautelari di cui all’art. 274 cod. proc. pen., la non necessita di applicazione del dispositivo elettronico di controllo nel caso concreto»”.

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 173 del 2024, pur disallineandosi dai dubbi di legittimità costituzionale paventati dal G.I.P. di Modena, ha deciso di fornire un’interpretazione adeguatrice sul punto. Pertanto, il Giudice delle Leggi ha sottolineato come “almeno per l’ipotesi di mancato funzionamento del dispositivo del braccialetto elettronico riconducibile a ragioni tecniche, il giudice non è tenuto a imporre la misura più grave del divieto di avvicinamento, ma deve rivalutare le esigenze cautelari della fattispecie concreta, potendo, all’esito della rivalutazione, in base ai criteri ordinari di adeguatezza e proporzionalità, scegliere non solo una misura più grave (in primis, il divieto od obbligo di dimora ex art. 283 cod. proc. pen.), ma anche una misura più lieve (segnatamente, l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria ex art. 282 cod. proc. pen.)”.

Il ragionamento della Corte Costituzionale poggia le proprie basi sul “modulo di rivalutazione delle esigenze cautelari” delineato dalle Sezioni Unite (cfr. Sez. U, n. 20769 del 28/04/2016, Lovisi). Di conseguenza, nel caso in cui sia impraticabile dare specifica attuazione al divieto di avvicinamento con contestuale applicazione del braccialetto elettronico “per ragioni di non fattibilità tecnica”, sul giudice incomberà l’onere di “rivalutare la fattispecie concreta senza alcun automatismo, bensì, applicando le regole generali di adeguatezza e proporzionalità, aggravare o attenuare la misura cautelare di carattere personale”.

Ciò posto, devesi rilevare che la sentenza della Corte Costituzionale puntualizza l’importanza della “non fattibilità tecnica del braccialetto elettronico” e non anche il caso in cui “la misura non possa trovare applicazione per il mancato consenso dell’indagato”. Tale ultima ipotesi (rifiuto), difatti, giustificherebbe l’aggravamento della misura precedentemente applicata.

Orbene, nel caso di specie, la Quinta sezione ha evidenziato come il Tribunale del Riesame di Milano abbia, invece, “operato un automatismo “indistinto”, contemplando l’aggravamento della misura disposta del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa con quella, più grave, del divieto di dimora nel Comune di Saronno, anche per il caso in cui l’organo delegato per l’esecuzione accerti la non fattibilità tecnica del braccialetto elettronico, caso che, in conformità alle

indicazioni rivenienti dalla sentenza n. 173 del 2024, impone, invece, una rinnovata valutazione delle esigenze cautelari”.

Sulla scorta di tali considerazioni, la Suprema Corte, al fine di dirimere il controverso automatismo operato dal Tribunale della libertà, ha disposto l’annullamento senza rinvio dell’impugnata ordinanza limitatamente all’applicazione subordinata della più grave misura del divieto di dimora presso il Comune di Saronno.

 

Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 8379, dep. 28 febbraio 2025, ud. 29 gennaio 2025

 

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